Lo Yoga Del Saggio Kapila
Attaccamento spirituale e distacco materiale

Attaccamento spirituale e distacco materiale
verso 18 jnana-vairagya-yuktena, bhakti-yuktena catmana
paripasyaty udasinam, prakrtim ca hatau1asam
Raggiunto il piano di realizzazione spirituale, è possibile, con la pratica della conoscenza e della rinuncia nell’ambito del servizio devozionale, vedere ogni cosa nella giusta prospettiva. Si prova allora disinteresse per la vita materiale e le influenze della natura cominciano ad allentare la presa.
Come i germi di una malattia possono infettare un organismo debilitato, così la natura materiale, cioè l’energia illusoria, può influenzare l’anima condizionata, già di per sé indebolita, ma non ha presa sull’anima liberata. La realizzazione spirituale corrisponde al piano liberato. Solo con la conoscenza e la rinuncia è possibile cogliere la propria vera natura. Senza conoscenza non c’è realizzazione. Chi comprende di essere un frammento della Persona Spirituale Suprema si distacca dall’esistenza materiale e comincia a servire Dio con devozione.
Poiché tale servizio presuppone la libertà dal condizionamento materiale, il verso afferma che solo una volta raggiunta la piena consapevolezza della propria natura eterna, e acquisita la rinuncia mediante il distacco da ogni attrattiva materiale, si può servire il Signore con una devozione pura (bhakti-yuktena). Il termine paripasyati indica che da questo momento in poi si vede tutto nella giusta prospettiva e l’influsso della natura materiale è assente. La Bhagavad-gita lo conferma con le parole brahma-bhutah prasannatma: l’anima realizzata diventa gioiosa e si libera dal dominio della materia al punto che il desiderio e l’afflizione cessano di tormentarla.
Il Signore definisce questo stato di coscienza con l’espressione mad-bhaktim labhate param, a indicare che il vero servizio di devozione è cominciato. Anche il Narada-pancharatra insegna che non appena i sensi sono purificati si possono impiegare al servizio di Krishna. Chi invece resta succube della contaminazione materiale non può essere un devoto del Signore.
Allo stato condizionato siamo controllati dalla materia, e in tal senso abbiamo già spiegato come agiscono su di noi i tre influssi della natura -virtù, passione e ignoranza. La virtù è superiore all’ignoranza e alla passione, in quanto permette di capire Krishna e trascendere del tutto le influenze materiali. Nella nostra era le persone subiscono per lo più la passione e l’ignoranza, che non consentono di servire Krishna. Per nostra stessa costituzione siamo portati a servire, e se non serviamo Krishna serviamo maya. In ogni caso, non possiamo mai essere i padroni.
Chi può affermare di non dover servire qualcuno? Serviamo la famiglia, la società, la nazione, gli affari, l’automobile e così via. Chi non trova una persona da servire compra e serve un cane o un gatto. Perché? Perché servire fa parte della nostra natura. Ciò che non sappiamo è che il servizio va offerto a Krishna. In questo mondo serviamo i nostri desideri illusori e non ne ricaviamo alcun piacere, oppure serviamo nell’ambito lavorativo per ricevere un compenso, e in tal caso serviamo il denaro. Che si tratti dei sensi o del denaro, dobbiamo comunque servire.
L’unico vero padrone è Krishna. I deva, gli uomini, gli animali e le piante sono tutti servitori. Realizzazione spirituale non significa pensare “sono diventato Brahman”, “sono diventato Bhagavan”, ma capire che ogni essere ha il preciso compito di servire Krishna. Del resto come potremmo diventare Bhagavan, il Supremo? Se fossimo Bhagavan, saremmo onnipotenti e non ci troveremmo in una condizione tanto miserabile.
Perché siamo soggetti al controllo di maya? Può Bhagavan subire l’influsso di maya? Ovviamente no. Krishna dice nella Bhagavad-gita che la natura (prakriti o maya) agisce sotto la Sua direzione. Se maya serve Krishna e se noi serviamo maya, come possiamo essere Krishna? Quando avremo riacquistato i nostri sensi spirituali, ci accorgeremo di quanto stupidi siamo stati ad abbandonare ilservizio a Krishna per servire maya. Questa è la realizzazione spirituale.
Vera conoscenza è sapersi servitori di Krishna e di nessun altro. Immersi nell’oblio, serviamo la lussuria, l’avidità, l’illusione e l’invidia (kama, lobha, moha e matsarya) senza trarne alcun piacere o beneficio. Kamadinam kati na katidha palita durnidesa: “Non c’è limite agli ordini della lussuria, per quanto sgraditi siano.” ( Bhakti-rasamrita sindhu 3.2.25) Quando realizziamo che il nostro piacere dipende solo dal servizio a Krishna, otteniamo subito conoscenza e rinuncia.
Nello Srimad-Bhagavatam (1.2.7) si legge infatti: “Grazie all’impegno nel servizio devozionale a Sri Krishna, Dio, la Persona Suprema, si acquisiscono subito la conoscenza incondizionata e il distacco dal mondo.” Raggiunto questo livello si diventa mahatma, grandi anime consapevoli che Krishna è tutto ciò che esiste. Un mahatma non sfida Krishna, né cerca di mettersi al Suo posto come fanno i mascalzoni (duratma).
Krishna dice: “I mahatma, le grandi anime che non s’illudono mai, sono protette dalla natura divina. Riconoscendo in Me Dio, la Persona suprema, originale e inesauribile, si assorbono pienamente nel Mio servizio di devozione.” (Bhagavad-gita 9.13)
Non ci si può improvvisare mahatma, perché tali grandi anime sono situate sotto la protezione della natura divina (daivi-prakriti. Esistono due categorie di prakriti: para- prakriti (o daivi-prakrit1), il mondo spirituale, e apara-prakrit i, il mondo materiale. Non appena si comprende l’inutilità di servire maya sotto forma di società, amici, nazione e così via, si acquisisce la conoscenza, quindi si realizza il Brahman (brahma bhuta) e si diventa felici (prasannatma). “Perché allora servire Krishna?” ci potremmo chiedere.
Perché essere una parte significa servire il tutto. Il Tutto Supremo è Krishna, e le anime individuali, Sue parti integranti, esistono per il Suo piacere.
Ci sono molti ishvara, persone che esercitano qualche forma di controllo, ma l’ishvara supremo è Krishna. Quando lo comprendiamo, la nostra conoscenza è perfetta e ci dedichiamo al bhakti-yoga. Gli sciocchi dicono che la bhakti è per i meno intelligenti, ma Krishna spiega nella Bhagavad-gita che dopo molte vite chi ha raggiunto la vera conoscenza si sottomette a Lui. Finché non comprendiamo Krishna, siamo degli sciocchi; possiamo presentarci come grandi studiosi ed eruditi, ma resta il fatto che siamo degli sciocchi. Se fossimo intelligenti, ci abbandoneremmo a Krishna. Questa è la conclusione delle Scritture vediche.
Esistono molte attività ( dharma), alcune pie ed altre empie, ma Krishna ci chiede di tralasciarle tutte. Arjuna pensava che combattere contro i propri parenti fosse un’attività empia, ma Krishna lo esortò a combattere comunque. Arjuna agì forse in modo empio? Certamente no, perché il servizio a Krishna trascende sia il male che il bene. Quando a mezzanotte le gopi sentivano il suono del flauto di Krishna, correvano nella foresta per incontrarlo.
Secondo le Scritture è immorale che una ragazza incontri un giovane nel cuore della notte, ma qui non c’è niente d’immorale, perché le gopi correvano da Krishna. Chaitanya Mahaprabhu era talmente rigoroso nel suo voto di rinuncia (sannyasa) che non permetteva ad alcuna donna di avvicinarlo, nemmeno per offrirGli i propri omaggi, eppure disse: “Cosa c’è di più meraviglioso dell’adorazione offerta a Krishna dalle gopi?” Sebbene la danza delle gopi con Krishna appaia immorale, Chaitanya dichiara che il legame che le unisce a Krishna rappresenta la più elevata forma di adorazione.
Qui risiede la vera conoscenza trascendentale. Il servizio a Krishna trascende sia le buone sia le cattive azioni. La moralità e l’immoralità hanno senso nell’ambito delle influenze materiali, ma il servizio a Krishna trascende il bene e il male, il peccato e la virtù. Il bhakti-yoga inizia quando si è pienamente situati nella conoscenza e nel distacco, ma la conoscenza e il distacco dalla materia, col conseguente impegno della mente nella spiritualità, si ottengono in modo del tutto naturale servendo Krishna con devozione.
Attaccamento spirituale e distacco materiale
verso 19 na yujyamanaya bhaktya, bhagavaty akhilatmani
sadrso ‘stisiva pantha, yoginam brahma-siddhaye
Nessuno yoghi potrà giungere alla completa realizzazione spirituale se non adotta l’unica via propizia: il servizio devozionale al Signore Supremo.
Il verso spiega esplicitamente che la conoscenza e la rinuncia non possono mai essere perfette se non sono abbinate al servizio devozionale. Na yujyamanaya significa “senza essere collegate”. Quando si parla di servizio, sorge la necessità di sapere a chi dev’essere offerto. Ebbene, il servizio va offerto a Dio, la Persona Suprema, l’Anima di tutto ciò che esiste, perché questa è l’unica via che porta alla comprensione spirituale. Brahma-siddhaye significa realizzare di non essere materia, ma Brahman.
l.’esatta espressione vedica è aham brahmasmi, e lo yoghi, a qualunque categoria appartenga, è tenuto a raggiungere questo traguardo. Brahma-siddhi è la consapevolezza di essere anime spirituali distinte dalla materia, ma non la si può acquisire senza un impegno serio nel servizio devozionale al Signore Supremo.
All’inizio del secondo capitolo dello Srimad-Bhagavatam è specificato che la conoscenza spirituale e la rinuncia al mondo materiale si manifestano naturalmente nella persona che offre il proprio servizio a Dio. Il devoto non ha bisogno di fare sforzi alternativi per sviluppare conoscenza e distacco, perché il servizio devozionale è di per sé così potente da rivelare tutto a chi lo pratica. Il nostro verso afferma: shivah pantha, questa è l’unica via propizia di realizzazione spirituale.
Il bhakti-yoga è dunque il sentiero più “confidenziale” per salire al piano del Brahman, e il fatto che la piena comprensione spirituale si ottenga percorrendo questo cammino indica che la cosiddetta realizzazione del Brahman, ossia del luminoso brahmajyori, non è la brahma-siddhi.
Al di là della luce del brahmajyot1 c’è la Persona Suprema. Nelle Upanishad il devoto prega il Signore di essere così gentile da rimuovere la Sua radiosità e svelargli la Sua forma eterna. Non si può dunque parlare di bhakti se non si prende coscienza della forma trascendentale del Signore. La bhakti, il servizio devozionale, implica l’esistenza dell’oggetto della devozione e del devoto, il bhakta, che la offre.
La brahma-siddhi raggiunta percorrendo lavia del servizio devozionale corrisponde quindi alla consapevolezza che Dio è la Persona Suprema, mentre la percezione della radiosità emanante dal Suo corpo non è brahma-siddhi. Nemmeno realizzare il Paramatma, l’aspetto onnipresente del Signore, corrisponde alla perfetta comprensione spirituale, in quanto il Paramatma, (akhi/atma) è solo un aspetto di Bhagavan, la Persona Suprema. Chi conosce la forma personale di Bhagavan conosce anche il Brahman e il Paramatma, e questa comprensione completa si chiama brahma-siddhi.
Abbiamo già detto che il termine yoga significa connettere. Brahma-siddhaye indica la realizzazione spirituale, e aham brahmasmi significa “sono un’anima spirituale”. Capire di essere anime non è abbastanza, si deve progredire ulteriormente. Anche se la febbre è stata curata, per ritenersi del tutto guariti bisogna riacquistare le forze e l’appetito; soltanto allora si potrà godere di una vita sana e normale, libera dalla malattia.
Analogamente, comprendere solo la propria natura spirituale non basta, occorre impegnarsi nell’attività spirituale, la bhakti. I filosofi mayavadi pensano sia sufficiente interrompere ogni attività materiale e i buddisti auspicano il nirvana, la cessazione della vita materiale, ma né gli uni né gli altri danno ulteriori informazioni. Sta di fatto che tutti soffriamo a causa della nostra condizione materiale. Il corpo è composto di terra, acqua, fuoco, aria, etere, mente, intelligenza e falso ego.
I buddisti e i mayavadi sono per l’annientamento degli elementi costitutivi: “La terra torni alla terra,” dicono, “l’acqua torni all’acqua, il fuoco al fuoco. Annulliamoci! Se smantelliamo l’edificio del corpo e diventiamo zero raggiungeremo il nirvana, la fine del piacere e del dolore.” Entrambe queste categorie di pensatori sostengono che se riempiamo un vaso vuoto, l’acqua risuona finché il vaso non è pieno, ma una volta pieno non risuona più.
Forti di quest’analogia, dichiarano che i mantra e gli inni vedici hanno fine quando si raggiunge la realizzazione del Brahman. In altre parole, credono che il mondo materiale sia falso (mithya) e che lo si debba annullare in qualche modo. Tuttavia, realizzare il Brahman, cioè comprendere la propria identità spirituale, non è sufficiente. Occorre prendere coscienza che Bhagavan è in ogni luogo, come si legge nella Brahma-samhita (5.35): “Il potere e chi lo detiene sono un’unica entità non-differenziata. L’energia con cui milioni di universi vengono creati è in Bhagavan ed è inseparabile da Lui. Tutti gli universi si trovano in Bhagavan, che in virtù del Suo potere inconcepibile risiede simultaneamente con tutto Se stesso in ogni singolo atomo degli infiniti universi. Questo è il Signore primordiale che io adoro.“
Sri Bhagavan non è mai solo. È localizzato ma anche onnipresente. Benché situato in un posto ben preciso, è anche dappertutto. È in un luogo, ma può essere in altri luoghi. Non è come noi, che quando siamo in ufficio non possiamo essere a casa. Go/oka eva nivasaty akhilatma-bhutah. Pur vivendo eternamente a Goloka Vrindavana, Egli risiede in ogni atomo della creazione (andantara-stha-paramanu chayantara-stham).
Il nostro universo esiste per opera di Garbhodakasayi Vishnu, ma non è il solo universo, ce ne sono milioni, e tutti funzionano perfettamente grazie alla Sua presenza. Sarebbe sciocco credere che i pianeti fluttuino nello spazio senza un piano preordinato. l’esistenza di un progetto intelligente è cosa certa.
Per liberarsi dalle influenze materiali non basta acquisire conoscenza e rinuncia, ma occorre situarsi nella bhakti. Quando parliamo di bhakti alcuni dicono: “lo la offro a mia moglie. l’amo molto, mi prendo cura di lei e se non la vedo impazzisco.” La gente rivolge la propria bhakti alla famiglia, alla nazione, alla natura, agli esseri celesti e via dicendo, ma questo genere di bhakti non funziona, perché le Scritture indicano Dio come il destinatario della bhakti.
Non la si può offrire ad altri. Se qualcuno afferma di essere Dio, dovremmo chiedergli: “Vivi nel cuore di tutti? Sai ciò che sto pensando in questo momento?” Chiè dawero il Supremo dev’essere anche akhilatma; chi è ishvara dev’essere presente nel cuore di tutti. Krishna lo è (sarvasya chaham hridi sannivistah). Bisogna riflettere con ponderazione e non accettare come il Supremo qualsiasi impostore, né si deve offrire la bhakti ai deva, alla famiglia, alla nazione, alla società, alla moglie, al cane, al gatto o a chicchessia.
Questa non è bhakti, è un surrogato. In realtà, è lussuria. Se riusciamo a evocare in noi la bhakti per Krishna, per la coscienza di Krishna, la nostra vita sarà un successo. Non c’è alternativa. Il verso afferma, sadrso ‘sti shivah pantha. Il Parabrahman è Krishna, e conoscere la nostra relazione con Lui è brahma-siddhaye. È giusto capire di essere Brahman (aham brahmasmi), ma qual è la nostra relazione col Parabrahman? Si è sempre in due: Brahman e Parabrahman, atma e Paramatma, ishvara e Paramesvara, l’essere individuale e l’Essere Supremo, nitya e nityanam, cetanas e cetananam.
Quando si è in due c’è una relazione. Dovremmo quindi prendere coscienza della nostra relazione col Supremo,il Parabrahman. Questa consapevolezza è brahma-siddhaye.
Condividiamo la stessa natura del Parabrahman, ma Lui è molto grande e noi siamo molto piccoli. Il Parabrahman è uno (kaivalya), non esiste un duplicato, qualcuno uguale o superiore a Lui. Questo è il significato del termine kaivalya. La vita umana è concepita per interrogarci sul Parabrahman e sul legame che ci unisce a Lui, ma pochi s’informano in tal senso, quasi tutti preferiscono sapere quel che succede nel mondo guardando il notiziario del mattino o si affrettano al mercato per comprare al miglior prezzo. Ecco ciò che avviene nella società umana.
Questo mondo è pieno di tenebre e d’ignoranza, ma la coscienza di Krishna lo trascende. In Krishna non ci sono tenebre, c’è soltanto luce. E’ difficile trovare qualcosa di notte, ma di giorno è facile, pertanto le Scritture consigliano di lasciare il buio e andare verso la luce. Questa luce la dà il guru. “Sono nato nelle tenebre dell’ignoranza, ma il mio maestro spirituale mi ha aperto gli occhi con la torcia della conoscenza trascendentale. Offro a lui il mio rispettoso omaggio.“
Avendo assimilato l’essenza dei Veda, il guru ha il compito di trasmettere la luce della conoscenza (sruti, e la conoscenza si riceve con l’ascolto. Non è frutto della sperimentazione, perché non c’è esperimento che permetta di capire ciò che si trova al di là dei sensi materiali. Dobbiamo apprendere dai Veda qual è il sapere supremo, e poiché il suo oggetto finale è Krishna, conoscendo Lui conosceremo ogni cosa.
Non c’è sapere che sia separato da Lui. Krishna è onnipresente, non è lontano, vive nel nostro cuore. Se vede che nutriamo dell’affetto nei Suoi confronti, diventa il nostro più caro amico. Ovviamente è l’amico di tutti, ma ha una predilezione per il devoto: “Vivo nel suo cuore e gli concedo una misericordia speciale dissipando con la torcia luminosa della conoscenza le tenebre dell’ignoranza.” (Bhagavad-gita 10.11)
La conoscenza è già in noi, ma è coperta dal velo dell’ignoranza. C’è la luce e c’è il buio, e se restiamo al buio non vedremo le cose così come sono. Krishna dice che quando qualcuno si dedica incondizionatamente al Suo servizio, Lui stesso allontana dal cuore il buio dell’ignoranza. Se vogliamo davvero diventare perfetti in questa vita, non dobbiamo far altro che servire Krishna, Dio, la Persona Suprema, con amore e devozione. Egli è nel cuore di ogni essere ed è sempre attivo. Ha
trasmesso la conoscenza a Brahma, che dopo aver ricevuto il Suo insegnamento ha creato l’universo. Se ci assorbiamo nel servizio di devozione, Krishna darà il Suo insegnamento anche a noi.
Attaccamento spirituale e distacco materiale
verso 20 prasangam ajaram pasam, atmanary kavayo viduh
sa eva sadhusu krto, moksa-dvaram apavrtam
Ogni persona di conoscenza sa bene che l’attrazione per la materia è la più grande schiavitù dell’anima spirituale. Quando però l’attrazione è orientata verso i puri devoti, si aprono le porte della liberazione.
Il verso dice chiaramente che l’attrazione può essere causa di schiavitù nell’ambito della vita condizionata o condurre alla libertà. Non può essere annullata, ma solo trasferita. Quando è rivolta alle cose materiali, si chiama coscienza materiale; se invece è diretta a Krishna e a1 Suoi devoti, si chiama coscienza di Krishna. La sede dell’attrazione e quindi la coscienza.
Il verso spiega che per raggiungere la liberazione basta purificare la coscienza materiale trasformandola in coscienza di Krishna. Nonostante qualcuno affermi la necessità di abbandonare ogni attaccamento, l’essere vivente non può restare privo di desideri, in quanto per sua stessa natura è incline a desiderare qualcosa. Notiamo, ad esempio, che una persona senza figli riversa il proprio affetto su un cane o un gatto, e ciò dimostra che la tendenza affettiva non può essere eliminata; bisogna indirizzarla verso uno scopo superiore. Mentre l’attrazione per le cose materiali prolunga il nostro condizionamento, quando è rivolta al Signore o al Suo devoto diventa causa di liberazione.
Il verso ci invita espressamente a riporre il nostro affetto nei sadhu, le anime realizzate. Ma chi è un sadhu? t: un uomo che indossa vesti color zafferano e porta la barba lunga? No, è la persona che ha una fede incrollabile in Krishna e s’impegna nel Suo servizio senza mai deviare. Così lo descrive la Bhagavad-gita. Se desideriamo realizzare il Brahman e ottenere la perfezione spirituale, dobbiamo dirigere la nostra attrazione verso un sadhu, un devoto. Sri Chaitanya lo conferma dicendo che anche un solo momento in compagnia di un sadhu è sufficiente a farci raggiungere la perfezione.
Il termine mahatma è sinonimo di sadhu. Nello Srimad-Bhagavatam (5.5.2) si legge che il servizio offerto a un mahatma, un puro devoto del Signore, è la via maestra per la liberazione, mentre il servizio offerto a un materialista produce l’effetto contrario. Chi serve i materialisti grossolani, totalmente immersi nel godimento dei sensi, vedrà aprirsi le porte dell’inferno anche solo per aver frequentato questo genere di persone. Nel verso si afferma lo stesso principio.
Essere attratti dai devoti significa essere attratti dal servizio al Signore, perché da un sadhu riceveremo esclusivamente le istruzioni per adorare Dio e diventare i Suoi sinceri servitori. Questi sono i doni del sadhu. Non possiamo aspettarci che lui c’insegni come migliorare la nostra condizione materiale; c’insegnerà piuttosto a tagliare il nodo dell’attaccamento alla materia e a progredire sul sentiero devozionale. Qui risiede il vantaggio della sua compagnia. Kapiladeva spiega innanzitutto che la via della liberazione inizia con questo contatto e Sri Chaitanya lo conferma: “Tutte le Scritture rivelate concludono che anche un solo istante in compagnia di un puro devoto è sufficiente a rendere la nostra vita un successo.” (Chaitanya charitamrita, Madhya 22.54)
Si dice che l’uomo è un animale sociale e può modellare il proprio carattere in base alle compagnie che frequenta. Gli uomini d’affari, per esempio, sviluppano e migliorano le loro abilità gestionali organizzando riunioni consultive. Sono numerosi i modi di stringere rapporti e allacciare legami. Chi frequenta i materialisti si sentirà sempre più vincolato al desiderio di godere della materia, e poiché questo godimento ha come emblema la donna, tutto ciò che vi ruota intorno è definito yosit-sanga.
Il mondo materiale è pieno di yosit-sanga, perché a tutti piace godere della materia. Nella Bhagavad-gita (2.44) leggiamo: “La risoluta determinazione a servire il Signore non trova posto nella mente confusa di coloro che sono troppo attaccati al piacere dei sensi e all’opulenza materiale“.
Purtroppo chi è molto attratto dall’opulenza e dal piacere dei sensi non può comprendere la vita spirituale ed è restio ad accettarla. Oggi la gente è pigra (manda) e poco disposta a prendere sul serio il Movimento per la coscienza di Krishna, perché la società moderna propone un modello basato su uno sfrenato appagamento dei sensi. Nei Paesi occidentali ci sono molte facilitazioni a questo riguardo, ma dalle Scritture apprendiamo che la vita umana è fatta per l’austerità (tapasya), non per il godimento.
La civiltà vedica insegnava prima di tutto il controllo dei sensi mediante la pratica del brahmacharya. I giovani (brahmacharr) imparavano a essere austeri e a non rincorrere il piacere. Dovevano chiedere donazioni di porta in porta per sostenere il proprio ashram e venivano educati a rispettare ogni donna come una madre.
Al giorno d’oggi le condizioni di vita sono talmente difficili che spesso la gente pensa al suicidio, ma Krishna chiede nella Bhagavad-gita: “Perché vuoi morire?” Alcuni cercano nella morte la fuga dalle sofferenze materiali, ma nessuno sa come fermare la morte. Morire non è affatto naturale per noi, si tratta di un’imposizione da cui dobbiamo liberarci.
Questo è il traguardo della vita umana, ma a chi interessa? L’uomo è diventato così ottuso che non si chiede nemmeno più come evitare la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte. costretto a subirle perché non usa l’intelligenza. Sanatana Gosvami disse a Chaitanya Mahaprabhu: “Mio Signore, in un modo o nell’altro mi hai portato fino ai Tuoi piedi di loto. Ora Ti chiedo qual è la mia vera posizione. Perché devo subire le sofferenze della vita materiale?“
Oggi nessuno fa questa domanda. Moksha significa liberarsi non solo da nascita, malattia, vecchiaia e morte, ma anche da tutte le altre miserie della vita. I pochi che nutrono un certo interesse per la liberazione di solito seguono una via inautentica o una dottrina di propria invenzione. Non c’è bisogno d’inventare nulla;abbiamo portato il Movimento per la coscienza di Krishna nel mondo, e grazie al nostro metodo tutti possono diventare liberi e felici, a prescindere dalla condizione in cui si trovano e dalla cultura che possiedono.
Secondo la Bhagavad-gita (9.32) chiunque può prendere rifugio in Krishna, nessuno verrà mai respinto. Nel nostro Movimento tutti sono i benvenuti. A volte ci criticano perché siamo troppo liberali, ma nella Bhagavad-gita Krishna dice chiaramente che persino chi nasce in una condizione poco privilegiata può rifugiarsi in Lui ed elevarsi al piano della liberazione.
Purtroppo in quest’era molti di coloro che nascono in famiglie colte o benestanti non s’interessano alla realizzazione spirituale, sprecano un’occasione d’oro ed esauriscono i risultati dei loro atti virtuosi. Per progredire, l’umanità ha bisogno di sadhu di prim’ordine. Se tutti sono sudra e vivono in modo dissoluto, come può esservi pace nel mondo? Per una buona organizzazione della società Krishna raccomanda il varnashram-dharma, che prevede la presenza di brahmana, ksatriya, vaisya e sudra, ma oggi a nessuno interessa ripristinare questo ordinamento sociale.
Chi è davvero un sadhu? Sadhu è chi serve Krishna e s’impegna nella coscienza di Krishna senza riserve. Un sadhu ha il compito di essere tollerante. Poiché in quest’era domina il materialismo, diventando devoti ci creiamo molti nemici, e tra questi potrebbe esserci addirittura nostro padre.
Hiranyakasipu, ad esempio, era pronto a uccidere suo figlio Prahlad, di soli cinque anni, perché era un devoto del Signore e cantava Hare Krishna. Questo è il significato del termine asura, demone. I furfanti che dicono di essere Dio non sono che demoni. Benché Hiranyakasipu sostenesse ripetutamente di essere Dio, Prahlad rifiutò la sua arroganza, lo considerava un asura e di conseguenza entrò in conflitto con lui. Quando suo padre gli chiese quale fosse l’insegnamento più importante appreso a scuola, il bambino rispose: “Per quanto posso capire, poiché abbiamo accettato un corpo materiale, dobbiamo accettare anche la morte, ma lo scopo della vita umana è moksha, la liberazione.” Purtroppo gli sciocchi non riescono a cogliere questa verità. Krishna afferma nella Bhagavad-gita (10.34): “Sono la morte e ti porterò via tutto ciò che possiedi.”
Hiranyakasipu era così potente da intimorire perfino i deva, ma in un attimo Krishna gli portò via ogni cosa. L’asura faceva i propri calcoli per non morire in alcun modo; non pensava che il Signore lo avrebbe ucciso in una forma che supera ogni immaginazione, quella di Nrisimha, l’avatara metà uomo e metà leone. Per quanto intelligenti e scaltri possiamo essere, Krishna è di gran lunga più intelligente e scaltro di noi. Vogliamo imbrogliarlo e superarlo, ma non è possibile. L’uomo crede di aver fatto molti progressi nel campo del sapere, ma a causa del suo orgoglio, maya lo ha privato della vera conoscenza.
Krishna sottrae la conoscenza alle persone atee e demoniache come Hiranyakasipu. Gli atei non sanno che Egli è sempre almeno un passo avanti a loro.
In questo mondo non possiamo far altro che lottare per la sopravvivenza. Vogliamo vivere, non vogliamo morire o subire il dolore della nascita, della malattia e della vecchiaia, ma nel corso della nostra vita dobbiamo sopportare tante sofferenze che non desideriamo. Purtroppo non siamo abbastanza intelligenti da risolvere questi problemi. Invece di compiere azioni che ci obbligheranno ad assumere un altro corpo, dovremmo seguire l’esempio di Sanatana Gosvami e chiederci come uscire da questa situazione. Sperimentiamo le problematiche del corpo, ma non vogliamo o non sappiamo liberarcene.
Ebbene, il Movimento per la coscienza di Krishna offre le informazioni necessarie per giungere alla soluzione migliore.
I mahatma, come ad esempio Haridas Thakur, sono sempre assorti nel canto del maha-mantra Hare Krishna Hare Krishna, Krishna Krishna Hare Hare I Hare Rama Hare Rama, Rama Rama Hare Hare.
Se li serviamo vedremo aprirsi per noi le porte della liberazione, ma se frequentiamo i materialisti, sempre a caccia del piacere, imboccheremo la via delle tenebre. I Veda ci raccomandano di non restare nelle tenebre, ma di andare nella luce. Ora abbiamo un corpo in cui non potremo vivere per sempre; prima o poi dovremo lasciarlo assumerne un altro, poi un altro e un altro ancora.
A quale scopo? Il mondo materiale è immerso nell’oscurità e la gente cambia un corpo dopo l’altro, ma il Movimento per la coscienza di Krishna esiste per offrire luce e libertà col metodo più semplice: il canto del mantra Hare Krishna e l’ascolto della filosofia più elevata.