Bhagavad Gita Capitolo 9.28

La Conoscenza Più Confidenziale

Bhagavad Gita 9.28 in sanscrito

subhasubha-phalair evam
moksyase karma-bandhanaih
sannyasa-yoga-yuktatma
vimukto mam upaisyasi

Bhagavad Gita 9.28 Audio Mantra in sanscrito

subha: dei propizi; asubha: e non propizi; phalaih: risultati; evam: così; moksyase: diventerai libero; karma: dell’attività; bandhanaih: dal legame; sannyasa: di rinuncia; yoga: lo yoga; yuktaatma: con la mente fermamente stabilita su; vimuktah: liberato; mam: Me; upaisyasi: raggiungerai.

TRADUZIONE

Così sarai essente dalle conseguenze di tutte le tue buone e cattive azioni, e per questo principio di rinuncia sarai liberato e verrai a Me.

SPIEGAZIONE

Il termine yukta si riferisce a colui che agisce nella coscienza di Krishna, sotto una guida superiore. Più tecnicamente si usa l’espressione yukta-vairagya, che Rupa Gosvami spiega ampiamente:

anasaktasya visayan
yatharham upayunjatah
nirbandhah Krishna-sambhandhe
yuktam vairagyam ucyate
(Bhakti-rasamrita-sindhu 2.255)

Finché viviamo nel mondo materiale, dice Srila Rupa Gosvami, siamo costretti ad agire; ma se l’azione è compiuta per Krishna e ne offriamo a Lui i frutti, essa diventa yukta-vairagya. Compiuta nella rinuncia, l’azione purifica lo specchio della mente e l’uomo progredisce sul sentiero della realizzazione spirituale finché si abbandona interamente a Dio, la Persona Suprema, raggiungendo così la liberazione, come precisa questo verso.

Questa liberazione non lo porta semplicemente a identificarsi col brahmajyoti, ma lo conduce dal Signore Supremo, sul Suo pianeta (mam upaisyasi, “tu verrai a Me”). Ci sono cinque forme di liberazione, ² e questo verso precisa che il devoto che segue le istruzioni del Signore durante tutta la sua vita quaggiù, si eleva fino a tornare vicino al Signore dopo aver lasciato il corpo, per vivere in Sua compagnia.

Il vero sannyasi è colui che non ha altro desiderio se non quello di dedicare la sua vita al servizio del Signore; si considera sempre un eterno servitore del Signore, dipende sempre dalla Sua volontà suprema, e tutte le sue azioni, compiute per far piacere al Signore, sono un servizio offerto a Lui. Non dà molta importanza alle attività interessate o ai doveri prescritti, così come sono raccomandati dai Veda, e sui quali invece l’uomo comune deve regolare la propria vita.

Perciò, anche se il puro devoto, pienamente assorto nel servizio del Signore, sembra talvolta agire contro i doveri stabiliti dalle Scritture, in realtà non è così. Le autorità vaisnava dicono a questo proposito che neanche l’uomo più intelligente può capire i piani e le attività di un puro devoto: tanra vakya, kriya, mudra vijneha na bujhaya. (Caitanya-caritamrita, Madhya 23.39)

Sempre impegnato nel servizio del Signore, sempre assorto nella ricerca di nuovi modi per soddisfarLo, il puro devoto dev’essere visto come una persona perfettamente liberata, nel presente e nel futuro. Il suo ritorno a Dio è sicuro. Come Krishna, egli è al di là di tutte le critiche d’ordine materialistico.

Lezione Sulla Bhagavad Gita 9.28

Tenuta da SG Tridandi DAS a Terni

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