Bhagavad Gita Capitolo 3 Versi 32 a 36

Il Karma Yoga

Bhagavad Gita Capitolo 3 Versi 32 a 36

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 32 in sanscrito

ye tv etad abhyasuyanto
nanutisthanti me matam
sarva-jnana-vimudhams tan
viddhi nastan acetasah

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 32 Audio Mantra in sanscrito

TRADUZIONE

Ma coloro che per invidia trascurano questi insegnamenti e non li praticano regolarmente
sono considerati privi di conoscenza, illusi e destinati a fallire nel loro tentativo di
raggiungere la perfezione.

SPIEGAZIONE

Appare chiaro da questo verso che è un errore non diventare coscienti di Krishna. Come c’è una punizione per chi disubbidisce all’ordine del capo di Stato, così ci dev’essere un castigo anche per chi disubbidisce all’ordine di Dio, la Persona Suprema. Un tale ribelle, per quanto erudito sia, ignora completamente la propria natura e quella del Brahman Supremo, del Paramatma e di Bhagavan, il Signore Sovrano, perché ha il cuore vuoto. Non c’è speranza per lui di raggiungere la perfezione dell’esistenza.

Bhagavad Gita Capitolo 3 Versi 32 a 36

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 33 in sanscrito

sadrisam cestate svasyah
prakriter jnanavan api
prakritim yanti bhutani
nigrahah kim karisyati

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 33 Audio Mantra in sanscrito

sadrisam: in accordo; cestate: agisce; svasyah: secondo le proprie; prakriteh: influenze della natura; jnana-van: saggio; api: benché; prakritim: natura; yanti: subiscono; bhutani: tutti gli esseri viventi; nigrahah: repressione; kim: che cosa; karisyati: potrà fare.

TRADUZIONE

Anche il saggio agisce secondo la propria natura, poiché è così per tutti gli esseri. A cheserve dunque reprimere questa natura?

SPIEGAZIONE

Se non si è sul piano trascendentale della coscienza di Krishna non è possibile liberarsi dalle influenze della natura materiale, come conferma il Signore stesso nel verso quattordici del settimo capitolo. Perciò anche i più grandi eruditi nella conoscenza materiale sono incapaci di uscire dal labirinto di maya, nonostante tutto il loro sapere teorico e i loro sforzi per separare dal corpo l’anima. Molti pseudo-spiritualisti pretendono di possedere una vasta scienza, ma in fondo sono completamente succubi delle influenze della natura e sono incapaci di superarle.

Dal punto di vista accademico un uomo può essere molto erudito, ma continuerà a essere prigioniero della natura materiale a causa del prolungato contatto con essa. Se siamo coscienti di Krishna, invece, possiamo sottrarci all’influsso della materia, pur continuando a svolgere i nostri doveri. Ma se non siamo pienamente coscienti di Krishna, non dobbiamo abbandonare i nostri doveri.

Nessuno deve abbandonare bruscamente i doveri prescritti e diventare così un falso yogi o uno pseudospiritualista. È meglio mantenere il proprio posto e sforzarsi di diventare coscienti di Krishna ricevendo una formazione spirituale. Solo in questo modo ci si può liberare dalle reti di maya.

Bhagavad Gita Capitolo 3 Versi 32 a 36

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 34 in sanscrito

indriyasyendriyasyarthe
raga-dvesau vyavasthitau
tayor na vasam agacchet
tau hy asya paripanthinau

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 34 Audio Mantra in sanscrito

TRADUZIONE

Si devono seguire i princìpi che regolano i sensi e il loro contatto con gli oggetti dei sensi per non cadere sotto il controllo dell’attaccamento e dell’avversione, perché entrambi sono ostacoli sulla via della realizzazione spirituale.

SPIEGAZIONE

Coloro che sono coscienti di Krishna mostrano una naturale riluttanza a impegnarsi in attività tese alla gratificazione dei sensi. Ma coloro che non sono coscienti di Krishna devono osservare le regole dettate dalle Scritture rivelate. Uno sfrenato godimento materiale ci mantiene prigionieri di questo mondo, mentre chi segue i princìpi regolatori raccomandati dalle Scritture non è travolto dagli oggetti del piacere. Il piacere sessuale, per esempio, è necessario agli esseri condizionati ed è quindi permesso, ma solo nel vincolo matrimoniale.

Secondo le norme vediche non si possono avere rapporti sessuali con una donna che non sia la propria moglie. Ogni altra donna dev’essere considerata una madre. Nonostante questa regola, l’uomo è ancora incline a cercare altre donne e se questa tendenza non è vinta ostacolerà l’avanzamento spirituale.

Finché si ha un corpo materiale è permesso soddisfarne tutti i bisogni, ma occorre osservare alcuni princìpi regolatori. Stiamo attenti però a non affidarci troppo ad essi, perché il godimento materiale anche se controllato, può sviarci. Il rischio di un incidente c’è sempre, anche su una strada perfettamente sicura.

A causa di un contatto molto prolungato con la materia, il gusto per i piaceri materiali si è profondamente radicati in noi. Perciò, pur osservando tutti i princìpi regolatori possiamo sempre scivolare dalla nostra posizione. Bisogna dunque evitare in tutti i modi di attaccarsi al piacere materiale, anche se limitato. E il modo di staccarsi da ogni legame dei sensi consiste nell’attaccarsi a Krishna, ossia nell’agire sempre per amore di Krishna.

Perciò nessuno deve mai cercare di allontanarsi dalla coscienza di Krishna, tanto più che il fine della liberazione dalla schiavitù dei sensi è proprio quello di raggiungere la perfetta coscienza di Krishna.

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Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 35 in sanscrito

sreyan sva-dharmo vigunah
para-dharmat sv-anusthitat
sva-dharme nidhanam sreyah
para-dharmo bhayavahah

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 35 Audio Mantra in sanscrito

sreyan: molto meglio; sva-dharmah: il dovere prescritto individuale; vigunah: anche in modo imperfetto; para-dharmat: che il dovere prescritto di altri; su-anustitat: perfettamente compiuto; sva-dharme: i propri doveri prescritti; nidhanam: distruzione; sreyah: meglio; para-dharmah: doveri prescritti per altri; bhaya-avahah: pericoloso.

TRADUZIONE

È’ meglio compiere il proprio dovere, seppure in modo imperfetto, che compiere il dovere di un altro. È meglio fallire o morire compiendo il proprio dovere piuttosto che compiere il dovere di un altro, poiché seguire la via altrui è pericoloso.

SPIEGAZIONE

È meglio compiere il dovere che ci è assegnato, sforzandoci di essere pienamente coscienti di Krishna, piuttosto che cercare di compiere il dovere degli altri. I doveri materiali sono assegnati in funzione dei tratti psicofisiologici acquisiti sotto le influenze della natura materiale. I doveri spirituali, invece vengono indicati dal maestro spirituale e devono permetterci di servire Krishna. Perciò, invece di assumere i doveri degli altri l’uomo deve sempre sforzarsi di compiere i suoi doveri, sia materiali che spirituali, anche a rischio di perdere la vita.

I doveri spirituali possono essere differenti da quelli materiali, ma in entrambi i casi è meglio seguire le istruzioni che ci dà il maestro autorizzato. La persona soggetta alle influenze della natura materiale deve semplicemente applicare le regole adatte alla sua particolare situazione senza cercare di imitare gli altri.

Per esempio il brahmana, che è sotto l’influenza della virtù, è non violento, mentre lo ksatriya, che è sotto l’influenza della passione, può essere violento quando è necessario. È meglio per uno ksatriya subire un insuccesso applicando la violenza, piuttosto che imitare il brahmana che segue il principio della non violenza. Ciascuno deve purificare il proprio cuore, ma progressivamente, non bruscamente.

Tuttavia, colui che trascende le influenze della natura materiale ed è pienamente cosciente di Krishna può compiere qualsiasi dovere sotto la direzione di un maestro spirituale autentico. Nella pura coscienza di Krishna uno ksatriya può agire come brahmana e viceversa, perché a livello spirituale le distinzioni d’ordine materiale non valgono più.

Visvamitra, per esempio, era ksatriya di nascita, ma più tardi interpretò la parte di un brahmana, e Parasurama, che era brahmana, poté agire anche da ksatriya. Questo potere lo dovevano entrambi alla loro coscienza spirituale; ma finché noi ci troviamo sul piano materiale, dobbiamo adempiere in piena coscienza di Krishna i doveri che c’impongono le influenze della natura materiale.

Bhagavad Gita Capitolo 3 Versi 32 a 36

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 36 in sanscrito

arjuna uvaca
atha kena prayukto ‘yam
papam carati purusah
anicchann api varsrieya
balad iva niyojitah

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 36 Audio Mantra in sanscrito

arjunah uvaca: Arjuna disse; atha: poi; kena: da che cosa; prayuktah: spinto; ayam: uno; papam: peccati; carati: commette; purusah: un uomo; anicchan: senza volerlo; api: benché; varsneya: o discendente di Vrisni; balat: di forza; iva: come se; niyojitah: costretto.

TRADUZIONE

Arjuna disse:
O discendente di Vrsni, che cosa spinge l’uomo a peccare, anche contro il suo volere, come se vi fosse costretto?

SPIEGAZIONE

L’essere vivente, parte integrante del Supremo, è spirituale nella sua essenza ed è puro e libero da ogni contaminazione. Per natura, non è soggetto agli errori del mondo materiale, ma a contatto con la materia si abbandona senza esitazione a ogni sorta di attività peccaminose, spesso contro la sua volontà. La domanda di Arjuna sulla natura perversa degli esseri viventi è dunque particolarmente interessante. Talvolta l’uomo si trova costretto a commettere peccati senza volerlo. Questi atti colpevoli non sono provocati dall’Anima Suprema, ma hanno una causa ben diversa, come il Signore spiegherà nel verso seguente.

La lezione di Srila Prabhupada in audio italiano su questi versi della Bhagavad Gita sono presenti nei post precedenti.

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