Bhagavad Gita Terzo Capitolo Verso 29 e 30
Il Karma Yoga

Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 29 e 30
Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 29 in sanscrito
prakriter guna-sammudhah
sajjante guna-karmasu
tan akritsna-vido mandan
kritsna-vin na vicalayet
Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 29 Audio Mantra in sanscrito
prakriteh: di natura materiale; guna: con le influenze; sammudhah: illusi dall’identificazione materiale; sajjante: s’impegnano; guna-karmasu; in attività materiali; tan: coloro; akritsna-vidah: persone dotate di scarsa conoscenza; mandan: pigri nel comprendere la realizzazione spirituale; kritsna-vit: chi è dotato di vera conoscenza; na: non; vicalayet: dovrebbe cercare di agitare.
TRADUZIONE
Sviato dalle influenze della natura materiale, l’uomo ignorante s’impegna completamente nelle attività materiali, a cui rimane attaccato. Ma il saggio non deve turbarlo, sebbene queste attività siano inferiori per la mancanza di conoscenza di chi le compie.
SPIEGAZIONE
Le persone prive di conoscenza spirituale si sbagliano sulla propria vera identità; hanno coscienza soltanto della materia e di tutte le sue designazioni temporanee. Il corpo materiale è un dono della natura, e colui che si preoccupa troppo del corpo è detto manda, “pigro”, perché non fa niente per comprendere l’anima spirituale. L’uomo ignorante pensa di essere il corpo, si attacca alle persone con cui ha legami di parentela, fa della propria terra natale un oggetto di culto e considera fine a se stessi i riti religiosi.
I materialisti possono vantarsi di svolgere attività sociali e altruistiche, ma dietro queste ingannevoli etichette sono sempre occupati in attività materiali. Per loro la realizzazione spirituale non è che un mito senza interesse. Queste persone confuse s’impegnano talvolta a seguire elementari princìpi morali come la non violenza e la beneficenza. Gli uomini illuminati nei princìpi della vita spirituale non devono turbare questi materialisti, ma è meglio che continuino a svolgere i loro doveri spirituali nel silenzio.
Gli uomini ignoranti non possono apprezzare le attività della coscienza di Krishna, perciò Krishna consiglia di non turbarli e di non perdere così del tempo prezioso. Ma i devoti del Signore sono più benevoli del Signore stesso perché comprendono i Suoi piani. Perciò essi affrontano ogni rischio pur di avvicinare gli ignoranti e impegnarli nelle attività della coscienza di Krishna, che sono assolutamente necessarie per l’uomo.
Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 29 e 30
Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 30 in sanscrito
mayi sarvani karmani
sannyasyadhyatma-cetasa
nirasir nirmamo bhutva
yudhyasva vigata-jvarah
Bhagavad Gita Capitolo 3 Verso 30 Audio Mantra in sanscrito
mayi: a Me; sarvani: ogni genere di; karmani: attività; sannyasya: abbandonando completamente; adhyatma: con piena conoscenza del sé; cetasa: con coscienza; nirasih: senza desiderio di profitto; nirmamah: senza sentimento di possesso; bhutva: essendo così; yudhyasva: combatti; vigata-jvarah: senza essere pigro.
TRADUZIONE
Perciò, dedicando a Me tutte le tue attività e con la mente assorta in Me, combatti, o Arjuna, libero da ogni motivazione personale, dall’egoismo e dall’indolenza.
SPIEGAZIONE
Questo verso indica chiaramente lo scopo della Bhagavad-gita. Il Signore insegna che per compiere il proprio dovere bisogna diventare perfettamente coscienti di Krishna e avere la stessa serietà con cui si segue una disciplina militare. Forse può sembrare difficile, ma bisogna ricordare che si deve svolgere il proprio dovere rimettendosi completamente a Krishna, perché questa è l’eterna posizione dell’essere vivente.
L’essere vivente non può essere felice se non coopera col Signore Supremo, perché la sua posizione naturale è di sottomettersi ai desideri del Signore Arjuna riceve dunque da Sri Krishna l’ordine di combattere, come se il Signore fosse il suo comandante militare.
Si deve sacrificare tutto alla Persona Suprema e continuare a svolgere il proprio dovere senza pretendere di essere proprietari di niente. Arjuna non deve esaminare l’ordine del Signore, deve semplicemente eseguirlo. Il Signore Supremo è l’Anima di tutte le anime; perciò colui che dipende unicamente e internamente dall’Anima Suprema senza avere alcuna considerazione personale, in altre parole, chi è pienamente cosciente di Krishna, è detto adhyatma-cetas (pienamente cosciente dell’anima). Nirasih significa che si deve agire secondo gli ordini del proprio maestro e non cercare di godere dei frutti dell’azione.
Il cassiere conta milioni di lire per il suo padrone, ma non cerca di sottrarre neppure un centesimo. Sappiamo che nulla nel mondo appartiene all’uomo, ma tutto appartiene al Signore Supremo. Questo è il vero significato del termine mayi, “a Me”. Colui che agisce nella coscienza di Krishna non si considera dunque proprietario di niente. Questo stato di coscienza è detto nirmama, “nulla mi appartiene”.
Se siamo esitanti a piegarci a un ordine così rigoroso, che esclude ogni legame di parentela, dobbiamo saper vincere questa esitazione e diventare vigata-jvara, “liberi da ogni coscienza febbricitante, da ogni indolenza”. Tutti, ognuno secondo la propria natura e posizione, hanno un particolare dovere, che dev’essere svolto nella coscienza di Krishna, come abbiamo spiegato prima. Il compimento di questo dovere ci condurrà sul sentiero della liberazione.