Bhagavad Gita cosi com’è

Bhagavad Gita cosi com’è

Introduzione

om ajnana-timirandhasya jñanañjana-salakaya
caksur unmilitam yena tasmai sri-gurave namah

Sono nato nelle più profonde tenebre dell’ignoranza, ma il mio maestro spirituale mi ha aperto gli occhi con la torcia della conoscenza. Offro a lui il mio rispettoso omaggio.

sri-caitanya-mano’bhistam sthapitam yena bhu-tale
svayam rupah kada mahyam dadati sva-padantikam

Quando Srila Rupa Gosvami Prabhupda, che ha istituito in questo mondo materiale la missione di soddisfare il desiderio di Sri Caitanya Mahaprabhu, mi darà rifugio ai suoi piedi di loto?

vande ‘ham sri-guroh sri-yuta-pada-kamalam sri-gurun vaisnavams ca
sri-rupam sagrajatam saha-gana-raghunathanvitam tam sa-jivam
sadvaitam savadhutam parijana-sahitam tam sa-jivam
sadvaitam savadhutam parijana-sahitam Krishna-caitanya-devam
sri-radha -Krishna-padan saha-gana-lalita-sri-visakhanvitams ca

Offro il mio rispettoso omaggio ai piedi di loto del mio maestro spirituale e di tutti i vaisnava. Il mio rispettoso omaggio ai piedi di loto di Srila Rupa Gosvami e di suo fratello maggiore, Sanatana Gosvami, e anche a Raghunatha Dasa Gosvami e Raghunatha Bhatta Gosvami, Gopala Bhatta Gosvami e Srila Jiva Gosvami. Offro il mio rispettoso omaggio a Sri Krishna Caitanya e a Sri Nityananda, ad Avaitacarya, Gadadhara, Srivasa e ai Loro compagni. E il mio rispettoso omaggio anche a Srimati Radharani e a Sri Krishna insieme alle Loro compagne Lalita e Visakha.

he Krishna karuna-sindho dina-bandho jagat-pate
gopesa gopika-kanta radha-kanta namo’stu te

O Krishna, Tu sei l’oceano di misericordia, l’amico degli infelici, la fonte della creazione, il maestro dei pastori, l’amante delle gopi e l’amante di Radharani. Offro a Te il mio rispettoso omaggio.

tapta-kañcana-gaurangi radhe vrndavanesvari
vrsabhanu-sute devi pranamami hari-priye

Offro i miei omaggi a Radharani, la regina di Vrindavana, dalla carnagione d’oro fuso, la figlia del re Vrsabhanu, molto cara al Signore, Sri Krishna.

vañcha-kalpatarubhyas ca krpa-sindubhya eva ca
patitanam pavanebhyo vainsnavebhyo namo namah

Offro il mio rispettoso omaggio a tutti i vaisnava, i devoti del Signore. Come alberi dei desideri essi possono esaudire i desideri di tutti gli esseri e sono pieni di compassione per le anime condizionate.

sri Krishna caitanya prabhu nityananda
sri advaita gadadhara srivasadi-gaura-bhakta-vrnda

Offro il mio rispettoso omaggio a Sri Krishna Caitanya, Prabhu Nityananda, Sri Advaita, Gadadhara, Srivasa e a tutti coloro che sulle orme di Gauranga seguono la via della devozione.

Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare
Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama Hare Hare

Lezione di Srila Prabhupada che poi è diventata l’Introduzione della Bhagavd Gita Cosi Com’è in Italiano

Lezione tenuta da SDG Srila Prabhupada a New York il 19/02/1966

Tradotta da SG Tridandi Das. direttamente dal libro in inglese.

Lezione di Srila Prabhupada in italiano sulla Bhagavad Gita cosi com’è Introduzione Parte 1

Lezione di Srila Prabhupada in italiano sulla Bhagavad Gita Introduzione Parte 2

Lezione di Srila Prabhupada in italiano sulla Bhagavad Gita Inroduzione Parte 3

Lezione di Srila Prabhupada in italiano sulla Bhagavad Gita Inroduzione Parte 4

Lezione di Srila Prabhupada in italiano sulla Bhagavad Gita Introduzione Parte 5

Lezione di Srila Prabhupada in italiano sulla Bhagavad Gita Introduzione Parte 6


La Bhagavad Gita (conosciuta anche come Gitopanisad) è considerata una delle maggiori Upanisad e costituisce l’essenza della conoscenza vedica. Ci si potrebbe chiedere perché una nuova presentazione della Bhagavad-gita, quando ne esistono già molte traduzioni nella nostra lingua.

L’idea di questo libro è nata quando mi fu chiesto quale traduzione della Bhagavad gita io consigliassi e mi trovai a rispondere di non poterne consigliare alcuna benché ne esistano numerose, perché nessuna edizione, per quanto ho potuto vedere in India come in Occidente ha rispettato l’integrità originale del Testo. Ogni volta il traduttore aveva espresso le sue opinioni senza cogliere lo spirito della Bhagavad gita “così com’è”.


Le pagine stesse dell’opera ne rilevano lo spirito: chi desidera prendere una medicina deve rispettare la posologia; non si tratta di seguire il capriccio o il semplice consiglio di un amico, ma piuttosto di attenersi alle indicazioni o alla ricetta del medico.

Bhagavad Gita cosi com’è

Così è per la Bhagavad gita: l’insegnamento dev’essere ricevuto secondo l’autorità del Signore, Sri Krishna, che la enunciò di persona. A ogni pagina si afferma l’identità di Sri Krishna: Egli è Bhagavan, Dio la Persona Suprema. Il termine bhagavan, che può designare un uomo influente o un potente essere celeste, indica certamente che Krishna è un personaggio molto importante; ma si deve anche capire che Sri Krishna è Dio, la Persona Suprema.

Tutti i grandi maestri dell’India, tra cui Sankaracarya, Ramanujacarya, Madhvacarya, Nimbarka Svami, Sri Caitanya Mahaprabhu e numerosi altri, tutti esperti nella conoscenza vedica, lo hanno confermato più volte. La Brahma-samhita e tutti i Purana (in particolare il Bhagavata Purana, o Srimad-Bhagavatam) affermano, come la Bhagavad-gita, che Krishna è Dio: Krishnas tu bhagavan svayam, “Ma Sri Krishna è Dio, la Persona Suprema e originale. (Srimad Bhagavatam.,1.3.28)

Conviene dunque ricevere gli insegnamenti della Bhagavad gita nel modo indicato dalla Persona Suprema. Nel quarto capitolo il Signore dichiara:

imam vivasvate yogam
proktavan aham avyayam
vivasvan manaye praha
manur iksvakave ‘bravit
evam paramparà-praptam
imam rajarssayo viduh
sa kaleneha mahata
yogo nastah parantapa

Il Signore Si rivolge ad Arjuna, Suo discepolo e amico, spiegandogli come la Bhagavad gita fu trasmessa attraverso le varie epoche. Fu esposta dapprima al dio del sole, Vivasvan, che la trasmise poi a manu, il quale a sua volta la comunicò a Iksvaku. Lo yoga che la Bhagavadgita insegna è stato dunque trasmesso oralmente da una successione di maestri spirituali che ha origine in Krishna. Ma questa conoscenza si è perduta nel tempo, perciò il Signore deve rivelarla di nuovo ora, nel momento in cui Arjuna sta per impegnarsi nella battaglia di Kuruksetra.

Bhagavad Gita cosi com’è

E se Krishna gli confida questo sublime segreto, è perché Arjuna è Suo devoto e amico. Il Signore mostra così che la Bhagavad-gita è destinata soprattutto ai suoi devoti, che costituiscono uno dei tre gruppi di spiritualisti (gli altri due sono rappresentati dai jnani, filosofi impersonalisti, e dagli yogi, adepti della meditazione). Il Signore dice inoltre ad Arjuna di voler fare di lui il primo anello di una nuova catena di maestri spirituali (paramparà), perché quella antica si è interrotta.

Desiderando ristabilire una successione di acarya per trasmettere la conoscenza esattamente come fu tramandata nella linea spirituale discendente dal dio del sole, il Signore vuole che Arjuna, a sua volta, mostri a tutti, senza eccezione, come studiare e comprendere la Bhagavad-gita. E non a caso il Signore sceglie Arjuna per dargli questo insegnamento: Arjuna è Suo devoto, Suo discepolo e intimo amico. Per capire veramente la Bhagavad-gita si richiedono dunque qualità simili a quelle di Arjuna, cioè essere un devoto, una persona unita a Krishna da una relazione diretta.

Appena diventiamo devoti del Signore, infatti, ritroviamo subito la relazione diretta che ci unisce al Signore, relazione che può manifestarsi in cinque modi diversi:

1) la relazione passiva, o neutra;
2) la relazione di servizio;
3) la relazione di amicizia;
4) la relazione di genitore;
5) la relazione amorosa.

Arjuna è unito al Signore da una relazione d’amicizia, naturalmente un’amicizia del tutto diversa da quella che conosciamo nel mondo materiale, soprattutto perché l’amicizia spirituale non è alla portata di tutti. Ogni essere ha, per natura, una relazione col Signore, ma questa relazione individuale, ora perduta, dev’essere ristabilita, e ciò è possibile solo se si raggiunge la perfezione del servizio devozionale. Tutti gli esseri sono legati a Dio, da una relazione eterna, ma sotto l’influsso della materia dimenticano completamente il Signore e il legame che li unisce a Lui.

Il risveglio di questa relazione divina (svarupa) è detto svarupa-siddhi, realizzazione perfetta della nostra condizione originale, naturale ed eterna. E’ importante studiare il modo in cui Arjuna riceve l’insegnamento del Signore:

arjuna uvaca
param brahma param dhama
pavitram paramam bhavan
purusam sasvatam divyam
adi-devam ajam vibhum
ahus tvam rsayah sarve
devarsir naradas tatha
asito devalo vyasah
svayam caiva bravisi me
sarvam etad rtam manye
yan mam vadasi kesava
na hi te bhagavan vyaktim
vidur deva na danavah

Arjuna disse:Tu sei il Brahman Supremo, la dimora ultima, il purificatore sovrano, la Verità Assoluta e l’eterna Persona Divina. Tu sei Dio, l’Essere primordiale, originale e trascendentale. Tu sei il non-nato e la bellezza che tutto pervade. Tutti i grandi saggi, come Narada, Asita, Devala, Vysa lo proclamano e Tu stesso ora me lo riveli. O Krishna, accetto come la verità più pura tutto ciò che mi hai detto.

Né gli esseri celesti né gli esseri demoniaci conoscono la Tua Persona, o Signore.” (Bhagavad Gita.,10.12.14) Dopo aver ascoltato la Bhagavad gita direttamente da Dio, Arjuna riconosce in Krishna il param brahma, il Brahman Supremo. Ogni essere individuale è brahman (anima spirituale), ma Dio, l’Essere Supremo, è il Brahman Supremo. Il termine param-dhama lo designa anche come la dimora ultima, il rifugio supremo.

Pavitram significa che Egli è puro, libero da ogni contaminazione materiale; purusam indica che è il beneficiario supremo, colui che gioisce di tutto; sasvatam, originale; divyam, che trascende la materia; adi-devam, che è Dio, La Persona Suprema; ajam, non nato; e vibhum, superiore a tutti.

Bhagavad Gita cosi com’è

Poiché Arjuna è l’amico di Krishna, si potrebbe pensare che le sue lodi siano eccessive, dettate dall’amicizia. Per allontanare questi sospetti Arjuna giustifica le sue lodi nel verso seguente, dove dimostra che egli non è il solo a riconoscere in Krishna Dio, la Persona Suprema.

Condividono questo giudizio Narada, Asita, Devala, Vyasadeva e tanti altri saggi, tutti grandi propagatori della conoscenza vedica, riconosciuta come verità eterna da tutti gli acarya. Arjuna riconosce dunque la perfezione delle parole di Krishna: sarvam etad rtam manye, “Accetto come la verità più pura tutto ciò che mi dici”.

Afferma inoltre che è estremamente difficile cogliere tutti gli aspetti personali del Signore, che neppure gli esseri celesti riescono a comprendere. E se neanche esseri così elevati riescono a conoscere perfettamente Krishna, come potrebbe conoscerlo l’uomo che non si abbandona totalmente a Lui?

Si deve dunque leggere la Bhagavad gita in uno spirito di devozione, senza mai pretendere di essere uguali a Krishna, senza mai considerarLo un uomo comune o al massimo un grande personaggio. Sri Krishna è Dio, la Persona Suprema. Perciò, in accordo con la Bhagavad gita e le affermazioni di Arjuna, che si sforza di coglierne il significato profondo, dobbiamo accettarlo come Dio almeno per ipotesi, altrimenti la Bhagavad-gita rimarrà per tutti noi un mistero impenetrabile.

Bhagavad Gita cosi com’è

Che cosa si propone la Bhagavad-gita? Il suo fine è quello di liberare gli uomini dall’ignoranza a cui li ha costretti l’esistenza materiale. Ogni giorno l’uomo si trova alle prese con mille difficoltà. Arjuna, per esempio, sta per affrontare una guerra fratricida; deve o non deve combattere? Chiuso nel suo profondo dilemma, egli cerca una soluzione rivolgendosi a Krishna, che gli espone allora la Bhagavad-gita. Come Arjuna, anche noi siamo immersi nell’angoscia a causa dell’esistenza materiale, che consideriamo come l’unica realtà. Ma noi non siamo fatti per soffrire, perché siamo eterni e la nostra vita in questo mondo illusorio (asat) è solo passeggera.

Tutti gli esseri umani soffrono, ma ben pochi indagano sulla loro vera natura o sulla ragione della sofferenza. Nessuno sarà veramente perfetto se non si chiede il perché della sofferenza, se non la rifiuta e sceglie di porvi rimedio. Possiamo considerarci uomini solo quando questa domanda si affaccia alla nostra mente. Il Brahma-sutra chiama questa ricerca “athatho brahmajijñasa“.

Se l’uomo non cerca la Verità Assoluta, ogni sua attività rimarrà imperfetta. La Bhagavad gita è fatta proprio per rispondere a coloro che si chiedono: “Perché siamo soggetti alla sofferenza?” , “da dove veniamo?” , “dove andremo dopo la morte?” Chi cerca sinceramente, chi vuole trovare la risposta deve, come Arjuna, mostrare un rispetto totale alla Persona Suprema.

Sri Krishna discende in questo mondo soprattutto per ricordare all’uomo il vero scopo dell’esistenza. Milioni di uomini si risvegliano grazie ai Suoi insegnamenti, e tra milioni uno forse comprenderà il legame che lo unisce a Dio; per lui Krishna espone la Bhagavad-gita.

Bhagavad Gita cosi com’è

Tutti sono divorati dalla tigre dell’ignoranza, ma su tutti, e in particolare sull’uomo, scende la misericordia del Signore. Questa misericordia, Egli la manifesta trasformando Arjuna da semplice amico in discepolo per poter dare al mondo la Bhagavad-gita.

Arjuna, compagno intimo di Krishna, non può essere sfiorato dall’ignoranza, ma se sembra esserlo durante la battaglia di Kuruksetra è per un motivo ben preciso: il Signore vuole che al momento di combattere Arjuna Gli offra l’opportunità di risolvere i suoi problemi esistenziali, per il bene delle generazioni future. In questo modo Egli può tracciare la linea di condotta che permetterà agli uomini di portare a termine la missione della vita umana.

La Bhagavad-gita c’invita a comprendere cinque verità fondamentali sulla scienza di Dio e sulla condizione originale degli esseri viventi. Dio è l’isvara, “Colui che domina”; e gli esseri individuali sono i jiva, “coloro che sono dominati”. Il fatto che noi siamo dominati è così evidente che sarebbe sciocco credersi indipendenti e negare la nostra posizione subordinata.

Gli esseri sono sempre dominati, almeno nell’esistenza condizionata. Oltre all’isvara (Dio, il controllore supremo) e i jiva (le anime individuali che Egli controlla), La Bhagavad gita ci parla della natura materiale, (la prakriti), del tempo (la durata totale dell’universo, cioè la durata della manifestazione della natura materiale) e del karma (l’azione).

Dobbiamo dunque attingere da questo Testo la conoscenza di Dio, degli esseri, della prakriti – che è la manifestazione cosmica, dove gli esseri sono impegnati in un gioco di attività molteplici-, e comprendere alla luce di questi insegnamenti come la manifestazione materiale è dominata dal tempo e come gli esseri individuali agiscono all’interno di essa.

Bhagavad Gita cosi com’è

Queste cinque verità fondamentali sono la base su cui poggia la Bhagavad gita per dimostrare che Dio, Sri Krishna, percettibile anche come principio supremo, o controllore supremo, Brahman e Paramatma, supera tutti gli altri esseri, sebbene tutti partecipino della Sua natura.

Come spiegherà la Bhagavad-gita, la natura materiale non è autonoma, ma è guidata dal Signore Supremo. Sri Krishna afferma: mayadhyaksena prakritih suyate sa-caracaram, “La natura materiale agisce sotto la Mia direzione.” Anche le meraviglie dell’universo dovrebbero farci ricordare Colui che le ha create e ne ha stabilito le leggi. Nulla può esistere senza un creatore o un controllore.

Sarebbe dunque puerile negare il controllore assoluto. Un bambino può trovare straordinario il fatto che una vettura proceda da sola, senza interventi esterni, ma l’adulto, che ne conosce il funzionamento, sa che c’è sempre un conducente all’interno. Quanto più complessa è la manifestazione dell’universo! E quanto più facile quindi comprendere che dietro di essa si trova il Signore, che ne dirige ogni minimo movimento.

Come vedremo nel corso del testo, il Signore spiega che i jiva (le anime individuali) sono parti infinitesimali del Suo Essere. Noi siamo parti integranti del Signore e partecipiamo della Sua natura come una goccia d’acqua è parte integrante dell’oceano. L’oro è sempre oro, anche se preso in minima quantità.

Bhagavad Gita cosi com’è

Così noi possediamo le qualità dell’isvara il controllore supremo, ma in quantità infinitesimale perché siamo solo minuscole particelle isvara, subordinate al tutto. Se l’uomo cerca da sempre di dominare la natura, e oggi crede di poter diventare padrone dello spazio, e perché la tendenza a regnare, che Krishna possiede pienamente, si trova anche in lui. Ma il Signore rimane pur sempre l’unico controllore assoluto.

La Bhagavad gita ci spiega anche cos’è la natura materiale. Essa è la natura o prakriti inferiore, mentre gli esseri animati costituiscono la natura o prakriti superiore. Inferiore o superiore, la prakriti è sempre sotto la direzione del Signore. Di natura femminile, essa è subordinata al Signore come la sposa al marito. Secondo la Bhagavad-gita gli esseri viventi appartengono alla prakriti, sebbene siano frammenti del Signore, come sottolinea il quinto verso del capitolo settimo:

apareyam itas tv anyam
prakritim viddhi me parm
jiva-bhutam maha-baho
yayedam dharyate jagat

La prakriti, cioè la natura materiale, è l’energia inferiore del Signore, ma oltre a questa esiste un’altra prakriti, che costituisce l’essere vivente, il jiva-bhuta.

La natura materiale è costituita dalle tre influenze della natura, la virtù, la passione e ignoranza. Il tempo eterno, situato al di là di esse, le controlla. Quando queste tre influenze materiali si combinano sotto questo controllo generano l’azione, nella cui rete l’essere condizionato ora soffre ora gode, da tempo immemorabile.

Prendiamo per esempio un uomo d’affari che lavora duramente e con intelligenza per far fortuna; questa ricchezza può procurargli gioia se fruttifica o sofferenza se va persa in un fallimento. Così, a ogni istante noi godiamo o soffriamo delle conseguenze delle nostre azioni: questo è il karma.

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Tra i cinque oggetti di studio della Bhagavad gita – l’isvara (il Signore Supremo), il jiva (l’anima individuale), la prakriti (la natura materiale), il kala (il tempo eterno) e il karma (l’azione)- quattro esistono eternamente: il Signore, l’anima individuale, la natura materiale e il tempo.

La manifestazioni della prakriti sono temporanee, ma non fittizie. Alcuni filosofi considerano la manifestazione della natura materiale come “illusione”, ma la Bhagavad gita e i vaisnava rifiutano tale teoria. La manifestazione dell’universo materiale non è un sogno, è reale ma effimera, come una nuvola che passa nel cielo o come la stagione delle piogge che viene a nutrire i semi; quando la nuvola si allontana o la stagione termina, il raccolto si secca.

La natura materiale segue un corso simile e si manifesta solo a intervalli: appare, rimane per un certo tempo, poi scompare. Ma poiché questo ciclo si ripete senza fine, la prakriti è eterna e reale. Il Signore la chiama “Mia prakriti” perché è una delle Sue energie, come l’essere vivente; ma a differenza di quest’ultimo, che è unito al Signore da un legame eterno, essa Ne è separata.

Il jiva si distingue dalla natura materiale anche per il fenomeno della coscienza; entrambi sono prakriti, ma l’essere vivente (prakriti superiore) possiede la coscienza, mentre la natura materiale (prakriti inferiore) ne è priva. Sebbene l’essere vivente possieda la coscienza come Krishna, l’isvara, Krishna detiene la coscienza suprema. Il tredicesimo capitolo della Bhagavad-gita stabilisce chiaramente la distinzione tra il jiva e l’isvara: entrambi sono ksetrajña, “coscienti”, ma l’uno è cosciente solo del proprio corpo, mentre la coscienza dell’Altro si estende alla totalità degli esseri.

Bhagavad Gita cosi com’è

Il jiva non può mai raggiungere la coscienza suprema, cioè eguagliare il Signore, e non deve neppure lasciarsi ingannare da teorie che affermano il contrario. Il Signore, gli esseri, la natura materiale, e il tempo sono tutti eterni e intimamente legati. Solo il karma non è eterno, anche se i suoi effetti possono provenire da azioni molto remote.

L’anima condizionata ha dimenticato il suo dharma, la sua natura originale, e a causa di quest’oblio tutto ciò che fa la imprigiona sempre più nella rete del karma. Ignara della via d’uscita, l’anima condizionata è costretta a reincarnarsi, a cambiare il “vestito”, cioè il corpo, vita dopo vita, per subire le conseguenze di tutte le sue azioni.

Dunque noi godiamo e soffriamo da tempo immemorabile delle reazioni dei nostri atti, ma esiste un metodo per spezzare la rete del karma: situarsi nella virtù e acquisire la conoscenza perfetta, cominciando con riconoscere la supremazia del Signore che è presente come Anima Suprema, come isvara “controllore” nel cuore di ogni jiva ,pronto a guidare i jiva verso la realizzazione dei loro desideri. Il karma, dunque, non è eterno.

La coscienza dell’isvara e quella del jiva partecipano della stessa natura trascendentale, e non sono il risultato di un amalgama di elementi materiali, come alcuni sostengono. La Bhagavad gita rifiuta la teoria secondo cui la coscienza apparirebbe a un certo stadio dell’evoluzione della materia.

Bhagavad Gita cosi com’è

A contatto con la natura materiale, la coscienza si manifesta in modo distorto, come una luce che appare colorata quando filtra attraverso un vetro dipinto, ma l’energia materiale non ha nessuna presa sulla coscienza del Signore. Krishna stesso lo afferma: mayadhyaksena prakritih, anche quando Egli scende in questo mondo la Sua coscienza non è contaminata dalla materia. Se così non fosse non potrebbe parlare del mondo spirituale ad Arjuna, come fa nella Bhagavad gita.

E’ impossibile infatti descrivere questo mondo finché si subisce l’influsso della materia. Al contrario dell’isvara, la nostra coscienza è attualmente contaminata dalla materia, perciò la Bhagavad Gita cosi com’è c’insegna che dobbiamo purificarla per poter agire secondo la volontà di Krishna e conoscere così la felicità. Non si tratta di fermare ogni attività, ma di purificare le nostre azioni, che prenderanno allora il nome di bhakti. Sebbene questi atti purificati, devozionali, possano sembrare del tutto ordinari, in realtà sono liberi da ogni contaminazione materiale.

Il profano non vedrà alcuna differenza tra le attività del devoto e quelle dell’uomo comune, perché ignora che gli atti del devoto, come quelli del Signore, trascendono le tre influenze della natura materiale e non sono mai macchiati da una coscienza impura o contaminati dalla materia. Ma finché non si raggiunge il livello della bhakti la nostra coscienza rimarrà contaminata.

Quando la coscienza è velata, l’essere è detto condizionato. Egli si crea allora una concezione errata del suo vero sé, s’identifica col corpo -di qui deriva il “falso ego”- e perde da quel momento ogni coscienza della sua vera natura. Perciò il primo scopo della Bhagavad-gita è quello d’insegnarci a ritrovare la nostra vera identità liberandoci dal falso ego, l’ego materiale.

Bhagavad Gita cosi com’è

Arjuna interpreta la parte dell’essere condizionato per dar modo a Krishna in persona d’istruirlo a beneficio delle generazioni future. Lo spiritualista, animato dal desiderio di liberazione, ha prima di tutto il dovere di liberarsi dal falso ego e capire di essere distinto dal corpo.

Questo è il significato che lo Srimad-Bhagavatam dà al termine mukti (liberazione); la mukti interviene quando la coscienza è purificata e libera da ogni contaminazione materiale, da ogni identificazione con la materia e con questo mondo. Insegnando l’abbandono al Signore, tutta la Bhagavad Gita cosi com’è tende a ravvivare questa coscienza pura. E’ naturale dunque che Krishna chieda ad Arjuna, a conclusione del dialogo, se la sua coscienza è ora purificata o no.

La coscienza è la percezione che si ha di sé stessi. “Io sono” pensiamo. Ma “che cosa sono?”. Questa percezione di noi stessi varia secondo la nostra purezza. Sotto l’influsso della materia ci crediamo i creatori e i proprietari di tutto quello che ci è intorno, o anche i beneficiari legittimi di tutti i piaceri del mondo.

Naturalmente si tratta di una concezione errata, che sta all’origine dell’universo materiale. Questi sono i due aspetti della coscienza materiale: “Io sono il creatore e il maestro” e “Io sono il padrone e il beneficiario di tutto”. In realtà è soltanto il Signore Supremo a godere di questi “titoli”.

L’essere individuale è solo un frammento del Signore, creato per contribuire alla Sua gioia. Il pezzo di un ingranaggio collabora al buon funzionamento di un meccanismo e un organo vitale coopera al buon andamento del corpo intero, ma né il pezzo dell’ingranaggio né l’organo vitale possono godere in modo autonomo. Così l’essere individuale ha il preciso compito di essere unito al Signore in uno spirito di “cooperazione”.

Bhagavad Gita cosi com’è

Le mani portano il cibo alla bocca, i denti lo masticano, le gambe trasportano il corpo e tutti agiscono per soddisfare lo stomaco, la “centrale d’energia” da cui dipende l’organismo intero. Nessuna parte può godere indipendentemente. Si nutre un albero annaffiando le radici, non i rami, e si nutre il corpo alimentando lo stomaco.

Questo rapporto esiste anche tra il Signore, creatore e beneficiario di tutto ciò che esiste, e gli esseri viventi, Sue creature subordinate. Essendo parti del Tutto, parti di Dio, la Persona Suprema, gli esseri devono contribuire alla Sua gioia; soltanto così troveranno la felicità, come le parti del corpo soddisfano le loro esigenze solo attraverso lo stomaco.

Ogni tentativo d’indipendenza può causare solo delusione e frustrazione, come se le dita della mano tentassero di gustare da sole il cibo invece di darlo allo stomaco. L’essere vivente deve collaborare col Signore, creatore e beneficiario supremo, se vuole conoscere la vera soddisfazione. Il rapporto che lega gli esseri individuali al Signore è simile a quello che unisce il servitore al suo maestro perché, come il servitore, l’essere vivente è felice quando ha soddisfatto il suo maestro, Dio.

Dobbiamo dunque sforzarci di soddisfare il Signore nonostante la nostra tendenza a sfruttare l’universo materiale indipendentemente da Lui e a crederci creatori e maestri, tendenza che esiste in noi perché in origine esiste in Dio, il vero creatore dell’universo.

Il controllore supremo, gli esseri che Egli domina, la manifestazione cosmica, il tempo eterno e il karma (l’azione) costituiscono dunque il Grande Tutto, completo in Sé stesso, detto Verità Suprema e Assoluta, e descritto nella Bhagavad-gita. Sri Krishna è questo Tutto perfetto, questa Verità Assoluta. Egli è Dio, la Persona Suprema, e ciò che esiste è la manifestazione delle Sue energie.

Bhagavad Gita cosi com’è

La Bhagavad-gita spiega che anche il Brahman impersonale è subordinato alla Persona Suprema (brahmano hi pratisthaham). Il Brahma-sutra lo paragona ai raggi del sole perché il Brahman è costituito dalla luce irradiante della Persona Suprema. Conoscere il Brahman è dunque solo una tappa, incompleta in sè stessa, sulla via della realizzazione della Verità Assoluta.

Lo stesso si può dire per la conoscenza del Paramatma, descritto nel quindicesimo capitolo di quest’opera, dove si afferma inoltre che la realizzazione di purusottama, di Bhagavan, Dio la Persona Suprema, è superiore a quella del Brahman impersonale e del Paramatma. La Persona Suprema è sac-cid-ananda-vigraha, come spiegano le prime parole della Brahma-samhita:

isvarah paramah Krishnah sac-cid-ananda-vigrahah
andir adir govindah sarva-karana-karanam

“Krishna, Govinda, è la causa di tutte le cause. Egli è la causa originale e la forma stessa dell’esistenza eterna, tutta di conoscenza e felicità.” Col Brahman impersonale si realizza la Sua eternità (sat) e col Paramatma la Sua conoscenza eterna (sat-cit), ma con la coscienza di Krishna, della Persona Suprema, si percepiscono contemporaneamente tutti i Suoi attributi trascendentali, sat, cit e ananda (la felicità) nella loro forma perfetta (vigraha).

Credere che la Verità Assoluta sia impersonale significa averNe una comprensione limitata, perché Dio è senza dubbio una persona, la Persona Suprema e Assoluta, come confermano tutte le Scritture vediche (nityo nityanam cetanas cetananam).

Ciascuno di noi è un individuo dotato di una personalità propria, così anche la Verità Assoluta è una persona, ed è questa la più alta realizzazione che si possa raggiungere della Verità perché include tutti i Suoi aspetti. Il tutto perfetto non può essere privo di forma, altrimenti sarebbe incompleto, e quindi inferiore alle Sue creazioni. Per essere veramente il Tutto, Esso deve includere sia ciò che è nella nostra esperienza sia ciò che la supera.

Bhagavad Gita cosi com’è

La Bhagavad gita ci descrive inoltre come Krishna, Dio, agisce attraverso le Sue numerose e immense potenze. Il mondo fenomenico, in cui viviamo, è un tutto completo in sé stesso. Secondo la filosofia sankhya, i ventiquattro elementi di cui l’universo è una manifestazione transitoria sono combinati in modo da produrre tutte le risorse indispensabili al suo mantenimento e alla sua sussistenza.

Non manca niente e niente è di troppo. Il cosmo si manifesta per un certo periodo di tempo, determinato dall’energia del Tutto supremo, poi è distrutto sempre secondo il Suo piano perfetto. Gli esseri individuali, infinitesimali unità del Tutto completo, sono anch’essi completi e hanno tutte le possibilità di conoscere l’Assoluto, il Tutto perfetto.

Se sentono una qualunque mancanza, essa non può derivare che da una conoscenza imperfetta del Tutto perfetto; ma la Bhagavad gita, che racchiude l’essenza del sapere vedico, permette di colmare queste lacune.

Conoscenza vedica è completa e infallibile

La conoscenza vedica è completa e infallibile, e in India tutti la riconoscono come tale. Per esempio, la smriti, o norma vedica, ingiunge a chiunque tocchi degli escrementi di purificarsi subito con un bagno, ma queste stesse Scritture considerano lo sterco di mucca un purificatore molto efficace.

Noi accettiamo queste due affermazioni, apparentemente contraddittorie, perché provengono entrambe dagli Scritti vedici, e così facendo siamo sicuri di non commettere alcun errore. A conferma di questa certezza la scienza moderna ha scoperto che lo sterco di mucca possiede proprietà antisettiche.

La conoscenza vedica, di cui la Bhagavad-gita è l’essenza, è perfetta perché trascende l’errore e il dubbio; non è il frutto di una semplice ricerca empirica, sempre imperfetta perché basata sull’esperienza di sensi imperfetti. Fin dall’origine perfetta, la conoscenza vedica fu trasmessa -come insegna la Bhagavad-gita– da una successione di maestri spirituali autentici (paramparà), da maestro autorizzato, cominciando dal maestro originale, il Signore stesso.

E in questo modo noi dobbiamo riceverla, come fece Arjuna che accolse nella sua integrità l’insegnamento di Sri Krishna. Non si può infatti accettare una parte della Bhagavad gita e rifiutarne un’altra; si deve riceverne il messaggio senza interpretarlo, senza togliere o aggiungere niente. Dobbiamo avvicinarci a questo testo sacro come all’espressione più perfetta della conoscenza vedica, perché Dio stesso, l’Essere Assoluto, è all’origine di questa conoscenza e le prime parole fu Lui stesso a pronunciarle.

Le parole del Signore sono dette apauruseya, cioè sono differenti da quelle degli uomini che, sotto l’influsso della materia, hanno quattro principali difetti che li rendono incapaci di formulare una conoscenza perfetta e completa:1) sono limitati da sensi imperfetti, 2) sono soggetti all’illusione, 3) sono soggetti all’errore, 4) hanno la tendenza a ingannare gli altri.

Bhagavad Gita cosi com’è

La conoscenza vedica, che proviene dal Signore, è trasmessa da esseri anche loro perfetti. All’inizio Brahma, la prima creatura, la ricevette nel cuore dal Signore stesso, poi la distribuì ai suoi figli e discepoli, sempre mantenendo la purezza originale del messaggio, senza cambiarne il contenuto.

Essendo purna, “infinitamente perfetto”, il Signore non può cadere sotto le leggi della natura materiale, perciò dobbiamo capire che Egli è il creatore originale e l’unico proprietario di tutto ciò che esiste in questo universo. Nell’undicesimo capitolo della Bhagavad gita, il Signore è chiamato prapitamaha, creatore di Brahma, detto anche pitamaha, “l’antenato”.

Nessuno ha dunque il diritto di considerarsi proprietario di qualcosa; bisogna soltanto accettare con gratitudine la parte che ci è assegnata dal Signore per far fronte alle nostre esigenze e usarla nel modo giusto, così come c’insegna la Bhagavad gita.

Prima della battaglia, Arjuna aveva deciso di non combattere perché diceva che sarebbe stato incapace di godere di un regno conquistato uccidendo la sua famiglia. Ma questa decisione si basa su una visione materiale della vita, infatti, identificandosi col corpo, Arjuna dà troppa importanza ai vincoli del sangue e crede veramente che i combattenti siano fratelli, nipoti, cognati e nonni; pura immaginazione, che nasce dal desiderio di soddisfare le esigenze del corpo.

Bhagavad Gita Introduzione

Per aiutarlo a correggere la sua visione materialistica, il Signore espone ad Arjuna la scienza della Bhagavad-gita, così, alla fine, Arjuna decide di combattere seguendo le istruzioni del Signore e dice: karisye vacanam tava, “Agirò secondo il Tuo desiderio.”

L’uomo non è fatto per lavorare come una bestia da soma. L’intelligenza deve servirgli soprattutto a capire l’importanza della vita umana e rifiutare di agire come un animale qualsiasi. Il suo primo dovere è quello di capire il vero significato della vita per raggiungere poi lo scopo con l’aiuto delle Scritture vediche e della Bhagavad-gita in particolare.

Queste Scritture sono destinate agli uomini, non alle bestie. Quando un animale uccide un altro animale non commette alcun peccato, ma se un uomo uccide un animale per ingordigia è responsabile per aver violato le leggi della natura.

La Bhagavad-gita spiega infatti che ciascuno agisce o si nutre in modo differente, secondo gli influssi che subisce dalla natura, e descrive le azioni -e gli alimenti- che sono sotto il controllo della virtù, della passione e dell’ignoranza. L’uomo che sa trarre profitto dagli insegnamenti vedici purificherà la sua vita e potrà sperare di raggiungere la meta ultima, situata ben oltre l’universo materiale dove tutto è effimero, in un luogo detto sanatana-dharma, il regno spirituale.

Bhagavad Gita cosi com’è

La legge dell’universo materiale vuole che tutto nasca, sussista per qualche tempo, si riproduca, deperisca, poi scompaia. E tutti i corpi -umani, animali e vegetali obbediscano a questa legge. Ma al di là si trova il mondo spirituale, di natura diversa, eterna (sanatana) e immutabile. Anche il Signore, nell’undicesimo capitolo della Bhagavad-gita, è detto sanatana, come lo sono pure i jiva.

Un intimo legame unisce il Signore agli esseri viventi e lo scopo della Bhagavad–gita è quello di ristabilirlo una volta perduto, affinché gli esseri ritrovino la loro funzione eterna, il sanatana dharma.

Se invece d’immergerci nelle occupazioni temporanee del mondo effimero seguiamo i consigli del Signore Supremo potremo ritrovare un’esistenza pura, conforme alla nostra natura spirituale. Il Signore, la Sua dimora assoluta e gli esseri viventi sono tutti sanatana, è il ritorno dell’essere individuale al Signore, in questa dimora, rappresenta la perfezione della vita umana.

Nella Bhagavad-gita Krishna Si dichiara padre di tutti gli esseri (sarva-yonisu…aham bijapradah pita). Esiste una grande varietà di specie viventi, perché ognuno ottiene un corpo differente secondo il suo karma, ma Krishna è il padre comune e a tutti mostra una bontà infinita.

Egli discende in questo mondo per richiamare a Sé le anime cadute, le anime condizionate dalla materia, e per ricondurle nella loro dimora eterna, sanatana, dove torneranno a vivere per sempre vicino a Lui. Per salvare queste anime talvolta Krishna discende personalmente nella Sua forma originale o in altre forme, oppure manda i Suoi intimi servitori, i Suoi figli, i Suoi compagni o i Suoi rappresentanti qualificati, gli acarya.

Bhagavad Gita cosi com’è

Possiamo dunque concludere che il sanatana-dharma non indica una semplice pratica religiosa riconducibile a certe “credenze”, ma è la funzione eterna di ogni anima eterna in relazione col Signore eterno. Ramanujacarya, grande saggio ed erudito, definisce la parola sanatana come “ciò che non comincia e non ha fine”.

Ed è in questi termini che parleremo del sanatana-dharma, a cui la parola “religione” corrisponde male perché comporta l’idea, in un certo senso arbitraria, di una professione di fede che si può cambiare. Infatti, si può seguire una confessione per poi abbandonarla e provarne un’altra.

Ma il sanatana-dharma è la funzione immutabile dell’essere, per definizione. Non si può privare l’anima della sua funzione eterna, così come non si può togliere all’acqua la sua liquidità e al fuoco il suo calore. Il sanatana-dharma non conosce frontiere.

Questo dharma eterno, che non ha né inizio ne fine, può essere oggetto di settarismo come sostengono alcuni che vi proiettano la propria tendenza al settarismo. La stessa scienza moderna permette di verificare che il sanatana-dharma è la funzione essenziale di tutti gli uomini, anzi di tutti gli esseri dell’universo.

E’ possibile risalire all’origine storica di tutte le religioni, ma non del sanatana-dharma, che accompagna eternamente l’essere. Le Scritture rivelate (sastra) affermano che l’essere in sé, nella sua natura originale, non è soggetto né alla nascita né alla morte: l’anima non nasce né muore, dice la Bhagavad-gita; eterna e imperitura, sopravvive alla distruzione del corpo materiale che è effimero. Le radici sanscrite del termine sanatana-dharma possono aiutarci a comprendere il concetto di “vera religione”.

Bhagavad Gita cosi com’è

Che cos’è il dharma, innanzitutto? Il dharma è costituito dalle qualità che accompagnano necessariamente un certo oggetto. Il calore e la luce, per esempio, accompagnano sempre il fuoco; senza di essi non esiste il fuoco. Dobbiamo dunque scoprire la qualità essenziale dell’essere, qualità che lo accompagna sempre e costituisce la base della sua esistenza, la sua “religione” eterna, il sanatana-dharma.

Quando Sanatana Gosvami chiese spiegazioni a Sri Caitanya Mahaprabhu sulla svarupa, la funzione originale ed eterna dell’essere, Egli rispose che questa funzione eterna era quella di servire Dio, la Persona Suprema. Si può facilmente comprendere da queste parole che l’essere si mette, per natura, al servizio di un altro essere ed così che gode della vita. L’animale serve l’uomo come un servitore il suo maestro. “A” si fa servitore di “B”, “B” di “C”, “C” di “D” e così via; l’amico serve l’amico, la madre il figlio, la moglie serve il marito, e il marito la moglie. Così tutti, senza eccezione, s’impegnano a servire qualcuno.

Sanatana Dharma

Quando un politico presenta il suo programma, è per convincere il pubblico che egli può servirlo meglio di qualsiasi altro, ed è per beneficiare dei suoi “preziosi servizi” che gli elettori gli accorderanno i loro preziosi voti. Il negoziante serve i suoi clienti, il lavoratore il capitalista, il capitalista la sua famiglia che, a sua volta, serve lo Stato, In tutti c’è una tendenza naturale ed eterna a servire, in un modo o nell’altro. Nessuno è escluso. Possiamo dunque concludere che il servire accompagna sempre gli esseri ed è il loro sanatana-dharma, la loro religione eterna.

Secondo il luogo, l’epoca e le circostanze gli uomini professano una fede differente (cristianesimo, induismo, islamismo, buddismo e altre ancora), ma si tratta di semplici denominazioni che non hanno niente in comune col sanatana-dharma, poiché l’indù può convertirsi all’islamismo, un musulmano all’induismo, e lo stesso per il cristiano, senza che questi cambiamenti modifichino la sua tendenza a servire gli altri. Il cristiano, l’indù, il musulmano, tutti sono sempre servitori di qualcuno,

Professare il sanatana-dharma non significa dunque seguire questa o quella fede religiosa, ma semplicemente ed essenzialmente “servire”. Ed è il servizio che ci unisce al Signore. Egli gode di tutto e noi siamo i Suoi servitori.

Esistiamo unicamente per il Suo piacere, e se partecipiamo alla Sua felicità eterna vi troviamo la nostra propria felicità. E’ impossibile essere felici indipendentemente, così com’è impossibile alle parti del corpo essere soddisfatte se non sono disposte a servire il centro vitale, lo stomaco. L’anima, dunque, non può essere soddisfatta se non serve il Signore con amore puro.

La Bhagavad gita condanna il culto o il servizio reso agli esseri celesti. A questo proposito leggiamo nel settimo capitolo:

kamais tais hrita-jñanah
prapadyante ‘nya-devatah
tam tam niyamam asthaya

prakritya niyatah svaya

Coloro che hanno la mente distorta dai desideri materiali si sottomettono agli esseri celesti e seguono, ciascuno secondo la propria natura, i diversi riti del loro culto.” (Bhagavad Gita. 7.20) Gli uomini dominati dalla cupidigia preferiscono abbandonarsi agli esseri celesti piuttosto che a Krishna, il Signore Supremo.

L’uso del nome “Krishna” non implica niente di settario. Krishna significa “la gioia più grande”, e le Scritture lo confermano: il Signore Supremo è il ricettacolo di ogni piacere: anandamayo ‘bhyast (Vedanta-sutra, 1.1.12). Come il Signore, l’essere individuale è pienamente cosciente e cerca la felicità. Il Signore gode di una felicità eterna e se anche l’essere vuole conoscere la felicità deve unirsi a Lui, collaborare con Lui e cercare la Sua compagnia.

Il Signore discende talvolta in questo mondo mortale per rivelare la gioia dei Suoi divertimenti. Quando Egli appare sulla Terra 5000 anni fa, una felicità pura inondava ogni Suo atto in compagnia dei pastorelli e delle gopi, delle mucche e degli altri abitanti di Vrindavana, e tutti non vivevano che per Lui.

A quei tempi Krishna stesso, allora bambino, dissuase Suo padre Nanda Maharaja dal celebrare un culto a Indra per mostrare a tutti che non c’è bisogno di adorare gli esseri celesti. Lui soltanto dev’essere adorato, perché il fine ultimo dell’esistenza è tornare a Lui, nella Sua dimora, che la Bhagavad-gita ci descrive così:

na tad bhasayate suryo
na sasanko na pavakah
yad gatva na nivartante
tad dhama paramam mama

La Mia Dimora non è illuminata nè dal sole né dalla luna né dall’elettricità. Chi la raggiunge non torna mai più in questo mondo.” (Bhagavad Gita 15.6.). Naturalmente noi immaginiamo il mondo spirituale in base all’universo che conosciamo, col sole, la luna e le stelle. Ma in questo verso Krishna precisa che il mondo spirituale non ha bisogno per essere illuminato né del sole né della luna né del fuoco né di altre sorgenti luminose, s’illumina di luce propria bagnandosi nel brahmajyoti, la luce sfolgorante che irradia dal corpo del Signore.

sac-cid-ananda-vigraha

Al contrario dei pianeti materiali, la dimora del Signore si raggiunge facilmente. Questo pianeta, chiamato Goloka, è descritto in modo meraviglioso nella Brahma samhita. Il Signore non lascia mai Goloka, il Suo regno (goloka eva nivasaty akhilatma-bhutah); eppure noi possiamo avvicinarlo da dove siamo perché Egli discende in questo mondo per manifestarvi la Sua vera forma, sac-cid-ananda-vigraha.

Per evitare che ci perdiamo in congetture sulla Sua forma, Egli Si rivela a noi così com’è come Syamasundara. Purtroppo, quando scende tra noi l’aspetto di un essere umano e Si diverte in nostra presenza, gli stolti Lo deridono e Lo scambiano per un uomo comune, mentre è grazie alla Sua onnipotenza che Egli ci rivela la Sua vera forma e ci mostra i Suoi divertimenti, che sono repliche di quelli che si svolgono nel Suo regno.

Da Krishnaloka, o Goloka Vrindavana, luogo supremo e originale, pianeta del Signore Supremo, emana il brahmajyoti, l’abbagliante luce del mondo spirituale. In questa radiosità si bagnano i pianeti ananda-cinmaya; chiunque li raggiunga, afferma il Signore, non tornerà mai più nell’universo materiale (yad gatva na nivartante tad dhama paramam mama).

Niente sofferenze, là, niente nascita, malattia, vecchiaia o morte, che sono proprie di tutti i pianeti materiali -da Brahmaloka fino al più piccolo pianeta-, e a cui nessuno può sfuggire.

Il nostro universo si divide in tre sistemi planetari, il superiore, il mediano e l’inferiore. Il sole, la luna e altri simili pianeti appartengono al sistema superiore, mentre la Terra si trova nel mediano. Per raggiungere i pianeti superiori (svarga-loka o deva-loka) basta rendere culto all’essere che governa il pianeta che desideriamo raggiungere, il sole, la luna o qualsiasi altro, com’è indicato nella Bhagavad gita (vrata devam).

Bhagavad Gita Introduzione

Ma Krishna dice ad Arjuna che andare sui pianeti materiali, anche se superiori, non è di alcuna utilità. Anche se raggiungessimo il pianeta più alto, Brahmaloka -viaggio che con mezzi meccanici richiederebbe circa 40 000 anni (e chi vive così a lungo?)- vi troveremmo sempre, come se tutti gli altri pianeti di questo universo, la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte (abrahma-bhuvanal lokah punar avartino ‘rjuna).

Invece chi raggiunge Krishnaloka, o qualsiasi altro pianeta del mondo spirituale, non conoscerà mai più queste sofferenze. La Bhagavad gita, dunque, c’insegna soprattutto a lasciare il mondo materiale per iniziare una vita completamente spirituale e perfettamente felice.

Nel quindicesimo capitolo Krishna ci dà l’immagine vera del mondo materiale:

sri bhagavan uvaca
urdhva-mulam adhah-sakham
asvattham prahur avyayam
chandamsi yasya parnani
yas tam veda sa veda-vit

Il Signore Supremo disse: “Esiste un albero baniano, le cui radici si dirigono verso l’alto e i rami verso il basso; le sue foglie sono gli inni vedici. Chi lo conosce, conosce i Veda.” (Bhagavad Gita cosi com’è 15.1.) Il mondo è paragonato qui a un albero rovesciato, come un’immagine che si specchia in un fiume o nel mare: gli oggetti vi si riflettono all’inverso. Riflesso del mondo spirituale, il mondo materiale è solo l’ombra della realtà.

Un’ombra non ha né sostanza né realtà, ma è la traccia di un oggetto reale e concreto che esiste altrove. Se per un miraggio si vede dell’acqua in un deserto significa che l’acqua esiste, ma da un’altra parte. Così è per la felicità di cui siamo assetati: non la troviamo nel mondo materiale più di quanto non troviamo nel mondo materiale più di quanto non troviamo l’acqua nel deserto, ma esiste, pura e limpida, nel mondo spirituale.

Come raggiungere il mondo spirituale? Krishna stesso ce lo indica:

nirmna-moha jita-sanga-dosa
adhyatma-nitya vinivrtta-kamah
dvandvai vimuktah sukha-duhkha-samjñair
gacchanty amudhah padam avyayam tat

Solo liberandoci dall’illusione materiale (nirmana-moha) raggiungeremo il regno eterno (padam avyayam) Bhagavad Gita cosi com’è 15.5.). Tutti desideriamo dei titoli, come “signore”, “presidente”, “re”, “benestante”, e così via. Questi titoli sono la prova del nostro attaccamento al corpo perché possono applicarsi solo ad esso. E il primo passo verso la realizzazione spirituale consiste proprio nel capire di essere distinti dal corpo.

L’identificazione col corpo è dovuta alle tre influenze della natura materiale (virtù, passione e ignoranza) e l’unico modo per sottrarci a queste influenze è praticare il distacco adottando il servizio di devozione al Signore. Tutti i titoli a cui possiamo ambire e tutti i nostri attaccamenti sono il frutto della cupidigia, del nostro desiderio sfrenato di dominare la natura materiale.

Senza abbandonare quest’ambizione non torneremo mai al regno assoluto, il sanatana-dharma, che non conosce distruzione. Lo raggiungerà soltanto colui che non si lascia sedurre dal fascino dei falsi piaceri e serve il Signore Supremo; lui lo raggiungerà facilmente.

La Bhagavad gita afferma anche:

avyakto ‘ksara ity uktas
tam ahuh paramam gatim
yam prapya na nivartante
tad dhama paramam mama

Questa dimora suprema è detta non manifestata e infallibile ed è la destinazione suprema. Chi la raggiunge non torna più indietro. Questa è la Mia dimora suprema.” (Bhagavad Gita cosi com’è 8.21). Non tutto l’universo materiale si manifesta ai nostri occhi; i sensi sono così imperfetti che ci è impossibile vedere, per esempio, tutte le stelle del firmamento.

Ma le Scritture vediche ci danno numerose informazioni su questi pianeti, e noi siamo liberi di accettarle o rifiutarle. Lo Srimad Bhagavatam, in particolare, descrive tutti i pianeti più importanti dell’universo e conferma, come la Bhagavad gita in questo verso, che il mondo spirituale, situato oltre questo universo materiale, è avyakta, non manifestato.

Dovremmo tutti desiderare ardentemente di raggiungere questo regno supremo, da dove non si è più costretti a ritornare. L’ottavo capitolo ci dà altre indicazioni sul modo di raggiungere la dimora del Signore:

anta-kale ca mam eva
smaran muktva kalevaram
yah prayati sa mad-bhavam
yati nasty atra samsayah

Chiunque, all’istante della morte, lascia il corpo ricordandosi di Me soltanto, raggiunge subito la Mia dimora. Non dubitarne.” (Bhagavad Gita cosi com’è 8.5) Colui che nell’istante preciso della morte pensa a Krishna nella Sua forma originale andrà sicuramente nella Sua dimora, raggiungerà il mondo spirituale.

Mad-bhavam designa la natura assoluta dell’Essere Supremo, che è sac-cid-anandavigraha, cioè eterno, pieno di conoscenza e felicità infinite. Invece il nostro corpo attuale è asat “mortale”, acit “pieno d’ignoranza” (perché non solo non conosciamo il mondo spirituale, ma anche gran parte del mondo materiale ci sfugge) e nirananda “sede di tutte le nostre sofferenze”.

Tuttavia Krishna promette in questo verso che se al momento della morte pensiamo a Lui otteniamo subito un corpo sat-cid-ananda e raggiungiamo il Suo regno. Infatti il passaggio da un corpo all’altro avviene secondo regole ben precise. Quando moriamo il nostro prossimo corpo è già determinato, non da noi ma da autorità superiori, secondo le azioni che abbiamo compiuto nella vita che sta per concludersi.

Bhagavad Gita cosi com’è

Secondo queste azioni saremo elevati o degradati; dunque, stiamo preparando oggi la nostra vita futura. Perciò un’esistenza di preparazione spirituale ci garantisce dopo la morte il beneficio di un corpo spirituale simile a quello del Signore e i ritorno al Suo regno.

Come si è già spiegato, esistono tre categorie di spiritualisti: i brahmavadi, i paramatmavadi e i bhakta (devoti). Nel brahmajyoti (“l’atmosfera” spirituale) si trovano innumerevoli pianeti, infinitamente più numerosi di quelli dell’universo materiale.

Quest’ultimo, che racchiude miliardi di universi con altrettanti soli, lune e innumerevoli stelle e pianeti, rappresenta circa un quarto dell’intera creazione (ekamsena stito jagat). La maggior parte della creazione si trova nell’atmosfera “spirituale“, nel brahmajyoti, che è la meta dei brahmavadi desiderosi di fondersi nell’esistenza del Brahman Supremo.

Il bhakta, che è ansioso di vivere in compagnia del Signore, raggiungerà invece uno degli innumerevoli pianeti Vaikuntha, dove potrà godere della compagnia del Signore nella Sua forma di Narayana, emanazione plenaria dotata di quattro braccia e con diversi nomi, come Pradyumna, Aniruddha e Govinda.

Atmosfera Spirituale

All’ora del trapasso lo spiritualista penserà o al brahmajyoti o al Paramatma o alla Persona Suprema, Sri Krishna. In ogni caso entrerà nell'”atmosfera” spirituale: “non dubitarne” dice Krishna. E anche se le sue parole superano i limiti della nostra comprensione, dobbiamo dargli tutta la nostra fiducia, come Arjuna, che dice al Signore: “Credo a tutto ciò che mi hai detto”.

Le parole di Krishna non possono essere messe in dubbio. Chiunque in punto di morte si ricordi di Lui come Paramatma o come Bhagavan penetra nell'”atmosfera” spirituale; ma solo il bhakta, che ha stabilito col Signore un contatto personale, raggiungerà i pianeti Vaikuntha o Goloka Vrindavana.

Bhagavad Gita cosi com’è

La natura materiale è la manifestazione di una delle molteplici energie del Signore Supremo, descritte nel loro insieme nel Visnu Purana (visnu-saktih para prokta…). Queste energie sono innumerevoli e inconcepibili per noi, ma grandi eruditi, grandi saggi e anime liberate le studiarono e le divisero in tre gruppi: l’energia superiore, l’energia marginale e quella inferiore, che costituiscono aspetti diversi della Visnu sakti, la potenza del Signore, Visnu.

L’energia superiore è para, completamente spirituale, e gli esseri individuali, come si è già spiegato, partecipano di questa energia. L’energia inferiore, invece, costituisce la natura materiale. Noi, anime prigioniere della materia, parti dell’energia marginale, possiamo scegliere al momento della morte di rimanere nell’universo materiale, inferiore, o tornare nel mondo spirituale, superiore.

La Bhagavad gita ci spiega:

yam yam vapi smaram bhavam
tyajaty ante kalevaram
tam tam evaiti kaunteya
sada tad-bhava-bhavitah

“Senza dubbio sono i ricordi all’istante di lasciare il corpo che determinano la condizione futura dell’essere.” (B.g., 8.6) Durante la vita la nostra mente si riempie di pensieri materiali e di pensieri spirituali. Oggi, un nugolo di pubblicazioni come giornali, romanzi e riviste c’infesta la mente con pensieri materiali.

Dobbiamo allontanarcene per dirigere l’attenzione verso gli Scritti vedici come i Purana e le Upanisad, che ci hanno trasmesso i grandi saggi e che costituiscono documenti autentici, parole di verità, ben lontane dalla fantasia. Un verso del Caitanya Caritamrita afferma:

maya mugda jivera nahi svatah Krishna-jñana
jivera krpaya kaila Krishna veda-purana

Le anime condizionate hanno dimenticato il legame che le unisce al Signore Supremo e sono sprofondate in pensieri materiali. Ma Krishna offrì loro l’immensità degli Scritti vedici affinché potessero volgere i pensieri al mondo spirituale.” (C.c. Madhya, 20.122).

Il Signore divise il Veda originale in quattro parti, che spiegò nei Purana, e per le intelligenze meno acute compose il Mahabharata, che comprende la Bhagavad gita. Riassunse quindi tutte le Scritture vediche nel Vedanta-sutra e per guidare le generazioni future ne diede il commento naturale, lo Srimad Bhagavatam.

Dovremo sempre immergere la mente nella lettura di queste opere compilate da Dio stesso nella forma dell’avatara Vyasadeva, invece di appassionarci alla lettura di giornali, riviste e altri scritti simili. Saremo capaci così di ricordare il Signore in punto di morte. Questa è la sola via che Egli ci esorta a prendere, e ce ne garantisce l’efficacia nel verso seguente con le parole “senza alcun dubbio”

tasmat sarvesu kalesu
mam anusmara yudhya ca
mayy arpita-mano buddhir
mam evaisyasy asamsayah

Così, o Arjuna, pensa sempre a Me, nella Mia forma di Krishna, e allo stesso tempo compi il tuo dovere di combattere. Dedicando a me le tue azioni, fissando in Me la tua mente e a tua intelligenza, senza alcun dubbio verrai a Me.” (Bhagavad Gita., 8.7) Krishna non consiglia ad Arjuna d’immergersi nel Suo ricordo abbandonando ogni azione. Egli non propone mai qualcosa di irrealizzabile.

Infatti, per sopravvivere in questo mondo è necessario agire. Perciò la società umana fu divisa in quattro gruppi secondo le tendenze naturali di ognuno -i brahmana (saggi ed eruditi), gli ksatriya (amministratori e uomini di guerra), i vaisya (agricoltori e commercianti) e i sudra (operai e artigiani).

Operaio o mercante, amministratore o contadino, letterato, scienziato o teologo, tutti per vivere, devono compiere i loro specifici doveri. Krishna non vuole che Arjuna abbandoni i suoi doveri, vuole invece che li adempia, ma pensando a Lui. Colui che nella lotta per l’esistenza non pensa al Signore, non potrà ricordarsi di Lui al momento della morte.

Sri Caitanya Mahaprabhu

Sri Caitanya Mahaprabhu ci ha dato lo stesso consiglio: ricordarsi sempre di Krishna cantando o recitando costantemente i Suoi nomi (kirtaniah sada harih). Tra Krishna e i Suoi nomi non c’è differenza perché sul piano assoluto l’oggetto e la parola che lo designa sono la stessa cosa.

Anche il consiglio di Krishna nel verso citato prima (“Pensa sempre a Me”) e quello di Caitanya Mahaprabhu (“Cantate sempre i nomi di Krishna“) sono la stessa cosa. Dobbiamo dunque abituarci a ricordare costantemente il Signore, in ogni ora del giorno e della notte, cantando e recitando i Suoi santi nomi e modellando tutta la nostra vita in questa direzione.

Bhagavad Gita cosi com’è

Gli acarya, i perfetti maestri, illustrano con un semplice esempio questa unione mentale col Signore. Se una donna sposata s’innamora di un altro uomo, o un uomo è attratto da una donna che non è sua moglie, il sentimento che li unisce sarà certamente molto intenso. Sotto la forza di un simile legame, quella persona penserà senza interruzione all’amato.

Compiendo i doveri quotidiani, l’innamorata volgerà continuamente i pensieri all’istante in cui potrà incontrare l’amante, e curerà più che mai il suo lavoro perché il marito non sospetti del legame.

Così noi dobbiamo pensare in ogni istante al supremo amato, a Sri Krishna, pur compiendo i nostri doveri materiali nel miglior modo possibile. Questo richiede un intenso sentimento d’amore, che bisogna dapprima risvegliare in noi.

Arjuna provava un grande amore per Krishna, ma rimase pur sempre un guerriero. Il Signore non gli consigliò di abbandonare il campo di battaglia e di ritirarsi nella foresta per darsi alla meditazione solitaria. Arjuna stesso, anzi, dirà di essere inadatto a praticare quel tipo di yoga quando Krishna glielo descriverà:

yo ‘yam yogas tvaya proktah
samyena madhusudana
etasyaham na pasyami
cañcalatva sthitim sthiram

O Madhusudana, non vedo come io possa mettere in pratica questo yoga che Tu hai brevemente descritto, poiché la mente è agitata e instabile.” (Bhagavad Gita., 6.33). Ma il Signore gli dice:

yoginam api sarvesam
mad-gatenantaratmana
sraddhavan bhajate yo mam
sa me yuktatamo matah

Di tutti gli yogi, colui che con grande fede dimora sempre in Me e Mi adora servendomi con un amore trascendentale è il più intimamente legato a Me ed è il più grande di tutti.” (Bhagavad Gita., 6.47) Colui che pensa costantemente al Signore Supremo sarà dunque il più grande yogi, il più grande jñani e il più grande devoto. Come ksatriya, Arjuna non può rinunciare al suo dovere di guerriero, ma gli basta combattere pensando al Signore per ricordarsi di Lui al momento della morte.

E’ evidente dunque che dobbiamo abbandonarsi al Signore e servirlo con amore. Gli atti non sono compiuti direttamente dal corpo, ma sono guidati dalla mente e dall’intelligenza. Perciò se siamo assorti con la mente e l’intelligenza nel Signore, anche i sensi saranno impegnati al Suo servizio.

Così, la nostra coscienza cambierà, benché i nostri atti rimangano in apparenza gli stessi. Il segreto della Bhagavad-gita sta nell’arte di fissare perfettamente il pensiero e l’intelligenza nel Signore, di volgere verso di Lui ogni pensiero. Questo è l’unico modo per entrare nel regno supremo.

L’uomo moderno ha speso molto tempo e denaro per raggiungere la luna, ma non mostra purtroppo molto interesse per l’elevazione spirituale, per il viaggio verso la meta ultima. Non avendo che cinquant’anni da vivere il vero interesse dell’uomo sarà quello di impiegare questi anni nel migliore dei modi, fissando i pensieri in Krishna con le attività di devozione elencate nelle Scritture:

sravanam kirtanam visnoh
smaranam pada-sevanam
arcanam vandanam dasyam
sakhyam atma-nivedanam
(Srimad Bhagavatam,7.5.23)

Queste nove attività di cui la più semplice (sravana) è l’ascolto del messaggio della Bhagavad gita da un’anima realizzata, faranno volgere tutti i nostri pensieri verso l’Essere Supremo permettendoci di ricordarLo sempre e di vivere vicino a Lui dopo aver lasciato il nostro corpo
materiale.

Sri Krishna dice inoltre:

abhyasa-yoga-yuktena
cetasa nanya-gamina
paramam purusam divyam
yati parthanucintayan

Colui che medita su di Me, il Signore Supremo, e si ricorda sempre di Me senza mai deviare, certamente viene a Me, o Partha.” (Bhagavad Gita., 8.8) Questa via non è difficile, ma è necessario apprenderne l’arte seguendo gli insegnamenti di un maestro realizzato (tad vijñartham sa gurum evabhigacchet).

La mente vola senza posa da un oggetto all’altro e per controllarla bisogna imparare a fissarla sulla forma e sul nome del Signore Supremo. Di natura instabile e febbrile, la mente troverà riposo nella vibrazione sonora del nome di “Krishna”. E’ così che bisogna meditare sul parama purusa, la Persona Suprema, se si desidera avvicinarlo.

La Bhagavad gita ci indica chiaramente il metodo per ottenere la realizzazione suprema, il fine ultimo; e tutti, senza eccezione, possono accedere a questa conoscenza. Tutti possono ascoltare ciò che riguarda il Signore e fissare i pensieri sulla Sua Persona per tornare finalmente a Lui:

mam hi partha vyapasritya
ye ‘pi syuh papa-yonayah
striyo vaisyas tatha sudras
te ‘pi yanti param gatim
kim punar brahmanah punya
bhakta rajarsayas tatha
anityam asukham lokam
imam prapya bhajasva mam

O figlio di Pritha, coloro che prendono rifugio in Me, anche se sono di bassa nascita -donne, vaisya (mercanti) o sudra (operai)- possono raggiungere la destinazione suprema. Che dire allora dei brahmana, dei giusti, dei devoti e dei re santi, che in questo mondo temporaneo e pieno di sofferenze Mi servono con amore e devozione?” (Bhagavad Gita, 9.32-33). Tutti possono raggiungere il Signore Supremo e il Suo regno eterno, anche le persone di condizione inferiore.

Non è necessario avere un’intelligenza superiore, basta soltanto adottare i princìpi del bhakti yoga e fare del Signore lo scopo della propria esistenza. L’uomo che applica gli insegnamenti della Bhagavad-gita saprà rendere perfetta la sua vita e risolvere in modo definitivo i problemi che sorgono a causa del carattere transitorio dell’esistenza materiale. Questo è il significato profondo della Bhagavad gita.

In conclusione, la Bhagavad gita è un Testo completamente spirituale che si dovrebbe leggere molto attentamente. Gita-sastram idam punyam yat pathet prayatah puman: se seguiamo gli insegnamenti della Bhagavad-gita ci liberiamo da tutte le sofferenze e le ansietà della vita. Bhaya-sokadi-vivarjitah. Ci liberiamo da ogni paura, e la prossima vita sarà spirituale. C’è anche un altro vantaggio:

gitadhyayana-silasya
pranayam aparasya ca
naiva santi hi papani
purva-janma-krtani ca

Chi legge con sincerità e serietà la Bhagavad-gita non dovrà più subire, per la grazia del Signore, le conseguenze delle sue colpe passate.” Nell’ultima parte della Bhagavad gita il Signore dichiara con fermezza:

sarva-dharman parityajya
mam ekam saranam vraja
aham tvam sarva-papebhyo
moksayisyami ma sucah

Lascia ogni forma di religione e abbandonati a Me. Io ti libererò da tutte le reazioni dei tuoi peccati. Non temere.” (Bhagavad Gita, 18.66). Il Signore Si prende cura dell’essere che si abbandona a Lui e lo libera dalle conseguenze dei suoi errori.

maline mocanam pumsam
jala-snanam dine dine
sakrd gitamrta-snanam
samsara-mala-nasanam

Ogni giorno purifichiamo il nostro corpo con un bagno, ma le onde della Bhagavad gita, sacre come le acque del Gange, hanno un effetto purificatore incomparabilmente più grande: se ci bagniamo in esse, anche una sola volta, laviamo il cuore da tutto il fango materiale.

gita sugita kartavya
kim anyaih sastra-vistaraih
ya svayam padmanabhasya
mukha-padmad vinihsrta

Dio stesso ha dato la Bhagavad gita per raggiungere il Signore non c’è alcun bisogno di leggere altre Scritture vediche. La letteratura vedica è così vasta che per un uomo della nostra epoca, preso dalle attività materiali, sarebbe impossibile anche solo sfogliarla tutta. Ma è sufficiente leggere e ascoltare con attenzione e regolarmente la Bhagavad gita, perché quest’opera è l’essenza di tutti questi Scritti e contiene le parole stesse di Dio, la Persona Suprema.

bharatamrta-sarvasvam
visnu-vaktrad vinihsrtam
gita-gangodakam pitva
punar janma na vidyate

Bevendo l’acqua del Gange si ottiene sicuramente la liberazione; che dire allora di chi beve le acque sacre della Bhagavad gita, il nettare intimo del Mahabharata, che emana da Sri Krishna, il Visnu originale?” La Bhagavad-gita scorre dalle labbra del Signore Supremo, mentre il Gange sgorga dai Suoi piedi di loto. Non esiste naturalmente alcuna differenza tra la bocca e i piedi del Signore, ma noi comprendiamo che la Bhagavad gita è più importante del Gange.

sarvopanisado gavo
dogdha gopala-nandanah
partho vatsah sudhir bhokta
dugdham gitamrtam mahat

Si può paragonare la Bhagavad gita a una mucca, che un giovane pastore, Krishna comincia a mungere. Il suo latte è l’essenza dei Veda e Arjuna è come un giovane vitello. L’uomo intelligente, il saggio e il puro devoto berranno il nettare della Bhagavad-gita a lunghi sorsi.

ekam sastram devakiputra-gitam
eko devo devakiputra eva
eko mantras tasya namani yani
karmapy ekam tasya devasya seva

L’uomo moderno aspira all’unione di tutti gli uomini sotto una sola Scrittura, un solo Dio, una sola religione e un solo dovere. Che questa Scrittura sia dunque la Bhagavad gita e questo Dio, Sri Krishna. Che si canti un solo mantra:

Hare Krishna Hare Krishna Krishna Krishna Hare Hare

Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare Hare

E che un solo dovere unisca tutti gli esseri: il servizio a Dio, la Persona Suprema.

Bhagavad Gita cosi com’è

Tutte le Glorie A Sua Divina Grazia Srila Prabhupada

2 thoughts on “Bhagavad Gita cosi com’è

  1. Per me è una vera scoperta leggere la BHAGAVAD GITA , che in tempi ” non sospetti” ha generato probabilmente tutte le Religioni, attraverso i Maestri Spirituali o Messia.
    Rileggerò con più attenzione i contenuti Spirituali che la identificano, cercando quell’unione con l’Entità Suprema, così difficile da realizzare, se non ci liberiamo dai ” metalli ” che ci tengono prigionieri nel mondo materiale.
    Grazie Mario

    1. Hare Krishna Mario Prabhu,
      In realtà non devi MAI confondere il tipo di fede con la religione, e oltretutto non è nemmeno paragonabile alla Coscienza di Krishna.
      Prima di tutto devi comprendere che non sei il corpo grossolano e nemmeno il corpo sottile fatto di mente, intelligenza e falso ego. Sei anima spirituale e sei costituito da eternità, conoscenza e felicità. Quello che ti ricopre è pragonato ad un vestito grossolano e intimo. Sono temporanei e quell’identità/mentalità che credi di essere non sei assoluatamente tu….. Questa cosa si realizza attraverso la pratica, non deve essere una semplice credenza o comprensione generica.
      Quindi devi comprendere e realizzare che cosa sei tu, che cos’è Dio e qual’è la relazione che ti lega a lui.
      Poi devi comprendere che cos’è il tempo, questa manifestazione cosmica e il karma.
      Nella Bhagavad Gita Cosi com’è troverai tutto questo e grazie al commento di SDG Srila Prabhupada comprenderai tutto.
      L’importante è che non paragoni la coscienza di Krishna al tipo di fede che non è religione.
      E’ importante comprendere bene queste cose, e avere delle solide basi, perche, se credi che esitono i religiosi cristiani, musulmani, ebrei o tutti quelli che vuoi, non hai ancora capito che cos’è la Religione e quindi sei illuso, molto illuso.
      Se hai altre domande lascia altri commenti, molto felice di rispondere, Haribol

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