Domande e risposte
Prima Parte

Domande e risposte
PRIMA PARTE
Studiando religione al liceo, ho imparato che dopo la morte le persone buone gioiscono per sempre in paradiso e quelle cattive soffrono eternamente all’Inferno. Un giorno chiesi al mio insegnante di religione: “Dove va un neonato che muore, in paradiso o all’Inferno?” La risposta fu: “Va in paradiso naturalmente, perché non ha mai commesso alcun peccato.”
Intuii subito la conseguenza piuttosto macabra di questa logica e formulai un’altra domanda: “Allora non sarebbe meglio uccidere tutti i bambini appena nati? In questo modo non potrebbero mai commettere alcun peccato e andrebbero direttamente in paradiso. Se crescono, c’è il pericolo reale che diventino dei peccatori e finiscano con l’andare all’Inferno.”
Le mie ardite osservazioni vennero salutate da un indignato silenzio. Come poteva quel ragazzo fare una domanda simile?
Sapevo che il mio interrogativo era puramente accademico, in quanto violava uno dei precetti religiosi più basilari. Ciononostante, la questione rimaneva irrisolta. Che cosa succede al neonato? Sebbene la mia domanda esulasse dal contesto, la risposta fece cadere il mio insegnante nell’abisso di un dilemma logico.
Circa vent’anni più tardi, un giorno, mentre guidavo, vidi una scritta adesiva su un’auto che mi precedeva e che mi ricordò quest’episodio: “Se ti capitasse di morire stanotte, andresti in paradiso o all’Inferno?”
Ecco di nuovo la medesima congettura in bianco e nero senza alternative, senza zone grigie: o inferno o paradiso.
Stavolta però iniziai a riflettere sulla questione e nella scritta ravvisai tre implicazioni:
1. C’è soltanto una vita, quindi una sola possibilità.
2. Una volta morti, saremo situati eternamente in paradiso o all’inferno, perché non esistono vie di mezzo.
3. Se nella vita falliamo per ignoranza o a causa delle circostanze, non avremo mai una seconda possibilità e bruceremo all’inferno per l’eternità.
Ebbi la stessa sensazione provata al liceo vent’anni prima. Quella conclusione non aveva senso, era del tutto illogica. Perché mai Dio avrebbe dovuto far nascere e crescere un essere umano nel quartiere più malfamato di una metropoli, costringerlo a lottare per sopravvivere e poi lasciarlo soffrire eternamente all’inferno? Mi convinsi che quella scritta sull’auto era un chiaro invito all’ateismo.
Proprio pochi giorni prima avevo guardato un programma televisivo intitolato: “Perché alle persone buone capitano cose cattive?” L’autore diceva che quando a una persona buona succede qualcosa di negativo, dal punto di vista religioso i presupposti sono di solito tre:
1. La persona è buona.
2. Dio è onnipotente.
3. Dio è infinitamente misericordioso.
Secondo l’autore, di queste tre opzioni solo due alla volta potevano convergere, altrimenti sarebbe sorta una contraddizione.
Se la persona è buona e Dio è onnipotente, allora Dio avrebbe dovuto evitare che le succedesse qualcosa di cattivo. Di conseguenza, Egli non può essere infinitamente misericordioso. L’autore rifiutava però questa soluzione, perché avrebbe portato la gente a odiare un Dio privo di misericordia.
Se Dio fosse onnipotente, non permetterebbe mai che una cosa cattiva succedesse a una persona buona. Ne consegue che la persona dev’essere cattiva. Sta di fatto, però, che cose cattive accadano a persone buone e innocenti (il figlio dello stesso autore era morto in giovanissima età per un male incurabile). Dopotutto, un buon psicologo non direbbe mai a un paziente che ha meritato quanto gli è accaduto, perché in questo modo lo indurrebbe a odiare se stesso. L’autore quindi bocciò anche questa soluzione.
L’ultima combinazione possibile: la persona è buona e Dio è infinitamente misericordioso ma non onnipotente. L’autore promosse questa eventualità e concluse che gli eventi negativi non sono causati da Dio ma da gente cattiva e dalle forze della natura. Secondo questa visione, Dio è sì il creatore, ma la Sua creazione si gestisce in modo autonomo; c’è dunque poco che Lui possa fare per risolvere il problema del male. Può tuttavia aiutare i bambini a sopportare le inevitabili sofferenze che Lui stesso non riesce a impedire, e funge perciò da consolatore.
Neanche questa soluzione aveva senso per me. Se Dio non è onnipotente, allora chi detiene il potere supremo? Se esiste un potere superiore a Dio, allora il Supremo non è Dio. Chi ha creato quel potere che Dio non può controllare? E qual è il rifugio supremo? Un Dio infinitamente misericordioso ma non onnipotente smentisce la definizione stessa di Dio in quanto Essere Supremo. La tesi sostenuta dall’autore del programma induce quindi a un ateismo celato.
Riflettendo su queste mie esperienze, posso apprezzare l’enorme beneficio tratto dallo studio ultradecennale delle antiche Scritture vediche. Contrariamente alla cultura e alla filosofia occidentali, i Testi vedici stabiliscono la legge del karma, operante sotto la supervisione di Dio, come il principio-guida fondamentale della nostra esistenza. Il karma è l’unica risposta logica e spiritualmente impeccabile a tutto ciò che di buono e di cattivo può capitarci nella vita. Il termine karma ha almeno tre significati:
1. Qualsiasi azione materiale che produce una reazione (e porta quindi a sviluppare un altro corpo).
2. La reazione risultante da un’azione materiale.
3. Le attività materiali compiute secondo le norme prescritte dai Veda.
Tutti siamo sempre impegnati in qualche sorta di attività, fisica o mentale. La Bhagavad- (3.5) lo conferma: “Nessuno può astenersi dall’agire nemmeno per un istante.” Tutti conosciamo bene la legge di Newton, secondo cui a ogni causa corrisponde un effetto, perché ne verifichiamo l’autenticità migliaia di volte al giorno. Senza la legge di causa-effetto il tempo sarebbe statico e nulla potrebbe muoversi.
Il karma è l’estensione di questa legge, perché non si limita a influenzare la materia inerte ma si applica al pensiero, alla parola e all’azione. Ne possiamo cogliere in dettaglio il meccanismo leggendo le Scritture vediche.
La comprensione del karma inizia con la comprensione dello stato dell’anima nel mondo materiale. L’anima ha la sua origine nel mondo spirituale, ma avendo un certo grado d’indipendenza può tentare di essere felice altrove, senza Dio. Il mondo materiale viene creato proprio per dare alle anime ribelli quest’opportunità.
Quaggiù l’anima, coperta dal corpo grossolano e dalla mente, prova a rifiutare l’autorità divina e cerca di controllare la natura. In questo tentativo s’identifica fortemente col proprio corpo materiale e fa del piacere dei sensi il suo obiettivo.
È ovvio che il fatto di accettare la legge del karma non si concilia con l’ateismo. Un materialista vuole avere il dominio su tutto, convinto com’è di essere indipendente, ma non controlla la natura, semmai ne è controllato. A volte il clima è troppo caldo e a volte troppo freddo. Possiamo cambiare questa realtà? Possiamo forse bloccare un uragano o far piovere quando c’è la siccità?
Nessuno ha il potere di scegliere dove nascere, da quali genitori e in quale corpo. In un modo o nell’altro la natura crea per ognuno di noi una situazione specifica, e non è mai una situazione facile.
Ci sono persone che muoiono per malanni di poco conto e ci sono persone che neppure grandi medici riescono a curare, ma che poi guariscono per miracolo. Dov’è il nostro controllo?
Due bambini nascono nella stessa famiglia e ricevono le stesse opportunità, ma uno ha successo e l’altro si rivela un fallimento. Tutti cercano la felicità, ma non tutti riescono a trovarla. Nessuno cerca la sofferenza, eppure la sofferenza arriva, come arriva la felicità, ed entrambe si presentano inaspettatamente e senza una ragione plausibile.
Se potessimo davvero controllare la natura e le nostre vite, saremmo tutti ricchi, felici e in buona salute. È chiaro invece che siamo dominati da forze più grandi di noi, quindi una persona intelligente cercherà di capire di quali forze si tratta, il loro funzionamento e come trarne beneficio. È proprio osservando e analizzando le forze della natura che Newton formulò la sua famosa legge. Non gli bastava sapere che tali forze esistono, voleva conoscerne le dinamiche, e noi dobbiamo alla sua curiosità una porzione rilevante del nostro avanzamento tecnologico.
Analogamente, se vogliamo capire che cos’è benefico per noi, dobbiamo esaminare le forze che controllano la nostra vita, ma rispetto a Newton siamo avvantaggiati, perché le leggi universali che c’interessano sono già spiegate nei Veda e confermate dalle grandi autorità spirituali. Non ci resta che studiarle.
L’ATTIVITÀ MATERIALE
Il karma è generalmente definito attività materiale, o azione transitoria motivata dall’attaccamento al risultato ed eseguita senz’alcuna comprensione spirituale. Possiamo suddividere l’attività materiale in karma buono e cattivo.
Karma buono: Se agiamo in modo virtuoso possiamo godere in questa vita e in quelle future. I risultati del buon karma sono ricchezza, bellezza, ottima parentela, salute, conoscenza, gioia, nascita sui pianeti celesti o in altre circostanze favorevoli.
Karma cattivo: Se agiamo in modo empio, violando le ingiunzioni delle Scritture e assecondando i nostri capricci, subiremo delle reazioni, che si manifesteranno sotto forma di povertà, malattia, bruttezza, nascita sui pianeti inferiori 0 in circostanze indesiderabili.
Apprendiamo però dalla Bhagavad-gita che tutto il karma, buono e cattivo, è in realtà solo cattivo, perché ci obbliga ad assumere un altro corpo materiale. Quali che siano i nostri meriti e demeriti, il corpo materiale che ci ritroviamo è soggetto a nascita, morte, vecchiaia e malattia. I Veda classificano ulteriori forme di sofferenza:
1. Le sofferenze inflitte dal corpo e dalla mente, come la malattia, lo stress, l’ansia e la paura.
2. Le sofferenze inflitte da altri esseri viventi: zanzare, persone invidiose, stupri, furti, guerre e così via.
3. Le sofferenze inflitte dalla natura, come il troppo caldo e il troppo freddo, la siccità, i tornado e le alluvioni.
Dato che non possiamo smettere di agire, non possiamo evitare il karma; ogni nostra attività ci lega dunque al ciclo di azione-reazione.
Tutto quanto ci accade ora è l’effetto cumulativo di azioni passate compiute sia in questa vita che nelle vite precedenti. Talvolta gioiamo, talvolta soffriamo; in una vita abbiamo il corpo umano, in un’altra quello di un animale. Finché resteremo prigionieri della ruota del karma dovremo accettare per forza un corpo materiale dopo l’altro.
L’ATTIVITÀ SPIRITUALE
L’attività spirituale si compie senz’attaccamento al risultato, per conto di Dio, la Persona Suprema, Krishna, in piena conoscenza trascendentale, liberi dal desiderio di tornaconto personale e per il beneficio eterno dell’anima.
La Bhagavad- (3.9) definisce quest’attività come segue: “L’azione dev’essere compiuta come sacrificio a Vishnu, altrimenti lega il suo autore al mondo materiale. Per questa ragione, compi i tuoi doveri prescritti per la soddisfazione di Vishnu e resterai sempre libero dalle catene della materia.”
L’azione spirituale non produce alcuna reazione, ci affranca invece dall’obbligo di assumere altri corpi e ci consente di tornare nel mondo spirituale all’istante della morte.
Se un soldato uccide in guerra per conto del suo governo non sarà punito ma onorato con la medaglia al valore. Se però lo stesso soldato uccide il suo vicino per questioni personali, sarà condannato al carcere. Analogamente, se una persona agisce per conto dell’autorità suprema, Krishna o il Suo rappresentante, il maestro spirituale, non incorre in alcuna reazione. Se invece agisce motivata dal proprio interesse, resta legata alla ruota del karma.
A questo punto rispondiamo ad alcune domande frequenti sul karma.
Domande e risposte Prima Parte
Domanda: Che effetto pratico ha credere nel karma?
Risposta: Limitarsi a credere nel karma senza cambiare la propria vita per evitare conseguenze indesiderabili non produce alcun effetto pratico. E utile quanto credere nel vivere sano senza cambiare le proprie cattive abitudini alimentari. In altre parole, credere non è sufficiente, occorre avere una chiara comprensione della scienza del karma e applicare tale comprensione alla propria vita.
Domanda: Cosa succede alla gente che non crede nel karma?
Risposta: La legge del karma è una dinamica fondamentale della nostra esistenza e riguarda tutti a prescindere dal credo. Chiunque può coglierne la validità, e le grandi autorità spirituali ne hanno insegnato il principio: ogni azione comporta una reazione. Nella Bibbia, per esempio, Gesù Cristo afferma: “Raccoglierai quello che semini.”
Domanda: lo sono già felice, perché ho bisogno di comprendere il karma?
Risposta: Anche se adesso vivi bene, ignorando la legge del karma puoi agire nel modo sbagliato, e nessuno ti garantisce che nella prossima vita sarai altrettanto felice. Potresti rinascere in un Paese povero dove tu e i tuoi connazionali non avete neppure di che sfamarvi.
Domanda: Credo che ovunque una persona nasca, se è determinata e pronta a lavorare duro può migliorare la qualità della propria vita. Il karma non c’entra niente.
Risposta: È un’illusione. Ci sono persone che lavorano molto più duro di te e non ottengono nulla. Se a causa del tuo karma non sei destinato a essere ricco e felice, puoi lottare quanto vuoi e non arriverai da nessuna parte.
Domanda: Com’è possibile che individui malvagi e immorali si godano la vita e non subiscano alcun effetto apparente del loro cattivo karma?
Risposta: Il karma è paragonabile a una malattia contagiosa: a volte i sintomi si manifestano immediatamente e a volte sono preceduti da un lungo periodo d’incubazione. Ma se il contagio è avvenuto, è solo una questione di tempo e la malattia colpirà inesorabilmente.
Domanda: Esiste un modo per sapere quanto dura il buon karma?
Risposta: Immagina di avere un conto in banca e di spendere e spandere senza mai controllare il tuo bilancio. Un giorno ti ritroverai senza un soldo e per te saranno guai. Questo è ciò che accade col buon karma: se non maturi ulteriori reazioni positive, un giorno il tuo buon karma finirà.
Nel mondo materiale tutto è temporaneo, buono 0 cattivo che sia. La Bhagavad- (5.22) insegna: “La persona intelligente non indulge mai nei piaceri generati dal contatto dei sensi con i loro oggetti. Non se ne compiace, perché hanno un inizio e una fine, e sono portatori di sofferenza.”
Domanda: Come posso evitare il cattivo karma?
Risposta: Devi innanzitutto abbandonare le quattro attività colpevoli di base: il consumo di carne, il gioco d’azzardo, l’assunzione di sostanze inebrianti e il sesso illecito.
Domanda: Questo programma non lascia molto spazio al godimento!
Risposta: Al contrario, una volta abbandonate le forme inferiori di godimento puoi affinare i tuoi sensi e godere su un livello assai più elevato. Non sarebbe ragionevole toglierti il godimento inferiore senza darti nulla in cambio. Le attività della coscienza di Krishna non solo compensano la tua “perdita”, ma ti consentono di godere più di quanto tu abbia mai fatto. Nella Bhagavad-gita (2.59) Sri Krishna dice: “Anche se si astiene dai piaceri materiali, l’anima incarnata conserva il desiderio per gli oggetti dei sensi, ma se prova un gusto superiore metterà fine a questo godimento inutile e resterà fissa nella coscienza spirituale.”
Diversamente dall’intossicazione, dal consumo di carne, dal gioco d’azzardo e dal sesso illecito, il godimento spirituale non ti costa nulla e non danneggia la tua salute. Per ottenerlo non devi lavorare in fabbrica né cercarlo a destra e a manca, perché è dentro di te come parte della tua natura intrinseca. E una volta che ce l’hai, non soltanto lo puoi preservare, ma scopri che aumenta sempre più.
Domanda: Che rapporto c’è tra l’anima, il corpo e il karma?
Risposta: La Bhagavad- (3.27) spiega: “L’anima confusa dal falso ego crede di essere l’autrice di azioni che in realtà sono compiute dalle tre influenze della natura materiale.” L’anima che ignora la propria relazione con Krishna s’identifica con il corpo, con le sue attività e le sue reazioni karmiche, ma quando si risveglia alla consapevolezza della propria vera natura, realizza di essere diversa dal corpo e dalle sue attività. Allora non è più condizionata dal karma.
Domanda: Vedo però che i devoti di Krishna si ammalano lo stesso. Dov’è la loro libertà dal karma?
Risposta: Un devoto pienamente impegnato al servizio di Krishna sotto la guida del maestro spirituale non incorre in alcuna reazione karmica. Anche se in una certa misura deve scontare i suoi atti passati, gli effetti del suo karma si stanno esaurendo. Se stacco la spina di un ventilatore, per esempio, questo continuerà a girare per un po’, ma siccome non è più alimentato dalla corrente elettrica, prima o poi si fermerà.
Ovviamente, il corpo materiale subisce ogni sorta di miserie. Non è perché si diventa devoti che si possono evitare le punture delle zanzare o si può entrare nella gabbia di una tigre senza finire sbranati. Un devoto si distingue per il fatto che non s’identifica col corpo e con le sue inevitabili problematiche. All’Istante della morte torna a Dio e non deve più rivestirsi di un altro involucro di materia.
Praticando la coscienza di Krishna ti distacchi dalle turbolenze materiali e riduci drasticamente i tuoi problemi perché hai staccato la spina del ventilatore. Il verso 2.70 della Bhagavad-gita è molto istruttivo in tal senso: “Simile all’oceano immutabile, che non straripa mai nonostante i fiumi che vi si gettano, solo la persona che non è turbata dal fluire incessante dei desideri può trovare la pace, non certo chi lotta per appagarli.”
Domanda: Che differenza c’è tra le attività di una persona che non incorre nel karma e quelle di un materialista?
Risposta: Il devoto agisce per il piacere di Krishna, ed è per questo motivo che non incorre nel karma. Il materialista, invece, ha la ferma convinzione di essere il corpo, quindi agisce per compiacere sé stesso e le proprie estensioni, come la famiglia e la comunità di cui è parte. Non sa che in effetti sta compiacendo solo il corpo, non il suo vero sé.
Le Scritture vediche spiegano che soddisfare Krishna, la sorgente di ogni esistenza, è come innaffiare la radice di un albero: i rami e le foglie avranno il nutrimento necessario. Cercare di appagare i propri sensi, invece, è come innaffiare le foglie e i rami dell’albero lasciando a secco la radice: non potrà mai funzionare.
Tra le attività che non producono karma c’è lo studio della Bhagavad-gita, il canto del mantra Hare Krishna e il consumo di cibo offerto a Dio. A questo proposito, nella Bhagavad-gita (3.13) Krishna dice: “I devoti del Signore sono liberi da ogni colpa perché si nutrono di alimenti offerti prima in sacrificio, mentre coloro che preparano il cibo per un piacere personale si nutrono solo di peccato.”
Domanda: Quale attitudine deve assumere chi non vuole restare coinvolto nella ruota del karma?
Risposta: Deve voler rinunciare alle attività colpevoli e cercare la guida di una persona santa, da cui imparerà come organizzare la propria vita in modo spirituale. Non è tanto questione di cambiare attività, quanto di cambiare attitudine, ossia coscienza. Nella Bhagavad-gita (2.47) il Signore dice: “Tu hai il diritto di compiere i doveri che ti spettano, ma non di godere dei frutti dell’azione. Non considerarti mai la causa dei risultati dell’azione e non cercare di sfuggire al tuo dovere.”
Riassumiamo ora la nostra lezione sul karma. Conoscendo la legge del karma capiamo che nessuno è davvero innocente. Anche se appena nati sembriamo innocenti, il tempo rivela le conseguenze dei nostri atti passati. Il corpo materiale stesso è un sintomo del nostro coinvolgimento nelle reazioni del karma, proprio come la febbre è il sintomo di una patologia.
Tuttavia, esiste sempre l’opportunità di uscire dalla ruota di nascite e morti, che viene mossa dal karma. Non esiste un inferno perenne. Entriamo nel mondo materiale per esercitare la nostra indipendenza da Dio, ma Dio ci ha dato la letteratura vedica, ossia il manuale d’istruzioni per rientrare nel mondo spirituale.
L’autore del programma televisivo sopracitato non riusciva a conciliare l’esistenza di un Dio onnipotente e infinitamente misericordioso con la sofferenza che doveva subire una persona in apparenza buona. Ebbene, la vita è come un lungometraggio, composto da innumerevoli fotogrammi. In una scena l’eroe ride e in un’altra piange, ma lo spettatore sa che si tratta di una finzione, e alla fine del film ciò che resta è lo schermo.
Altrettanto si può dire per il dramma della nostra vita: l’unico fattore reale e permanente è l’anima, che attraversa vari scenari indossando corpi diversi. L’autore del programma televisivo non riusciva però a vedere oltre lo scenario di una vita, dunque non sapeva che la persona “buona” aveva avuto ampie opportunità di causare la propria sofferenza.
Se non conosciamo la legge del karma restiamo sempre più coinvolti nella rete di azione e reazione, come mosche intrappolate in una ragnatela. La pratica della coscienza di Krishna è il solo modo per dare un lieto fine alla nostra esistenza materiale: “Dopo averMi raggiunto, le grandi anime, yoghi colmi di devozione, non tornano mai più in questo mondo transitorio dove regna la sofferenza, perché hanno conseguito la perfezione più alta.” (Bhagavad-gita 8.15)