Lo Yoga Del Saggio Kapila
Kapiladeva rimane con Sua madre

Kapiladeva rimane con Sua madre
verso 5 maitreya uvaca
pitari prasthite ‘rar:ryam, matu priya-cikir aya tasmin bind usare ‘vatsid, bhagavan kapila kila
Maitreya disse: Quando il saggio Kardama partì per la foresta, Kapiladeva restò sulle rive del Bindu-sarovara per far felice Sua madre Devahuti.
Secondo la cultura vedica, l’uomo non deve restare coinvolto nell’ambito familiare fino all’istante della morte, ma deve andare via di casa quando un figlio ormai adulto è capace di accudire sia la madre che il resto della famiglia. In assenza del padre, il figlio adulto ha quindi la responsabilità di assistere la madre e servirla nel migliore dei modi affinché non senta troppo la separazione dal marito.
Essendo un grande yoghi, Kardama Munì non era molto attratto dalla vita di famiglia, ma per soddisfare la richiesta di suo padre decise comunque di sposarsi, e Svayambhuva Manu gli presentò sua figlia Devahuti, che lo avrebbe affiancato volentieri come una moglie fedele. Kardama Munì viveva in una capanna, ma Devahuti era figlia di re, quindi una principessa, e non essendo abituata ai lavori domestici, diventò ben presto magra ed emaciata. Preoccupato per lei, il marito pensò: “Ora che questa ragazza è sposata con me, la sua vita è tutt’altro che facile.”
Coi poteri dello yoga creò dunque per lei un’astronave grande come una città, su cui s’innalzava una reggia completa di giardini, servitori e ogni sorta di opulenze. Le moderne industrie aeronautiche producono Boeing giganteschi, ma grazie alle suefacoltà sovrannaturali Kardama Muni riuscì a produrre una nave spaziale con tanto dipalazzi,laghi e giardini, capace di viaggiare in tutto l’universo. Gli scienziati oggi devono lavorare duramente per costruire navicelle in grado di raggiungere la Luna, ma lo yoghi Kardama creò un’immensa astronave che poteva raggiungere tutti ipianeti.
Esistono varie siddhi o perfezioni mistiche (anima, laghima, praptie via dicendo) che permettono allo yoghi di fare ciò che vuole. livero yoga non prevede solo esercizi di ginnastica o di respirazione, ma lo sviluppo di poteri che consentono di diventare molto piccoli o molto grandi, molto pesanti o molto leggeri, spostarsi ovunque e materializzare oggetti. Avendo tutte queste facoltà, Kardama Muni era un perfetto siddhi-yoghi.
Da sua moglie Devahuti, Kardama ebbe nove figlie e le diede in spose a illustri Prajapati, tra i quali Daksha Maharaj. L’unico maschio fu Kapiladeva, un avatara di Krishna e uno dei mahajan . Il termine mahajan significa “autorità “, e secondo le Scritture vediche le autorità sono dodici: Svayambhu, Narada, Sambhu, Kumara, Kapila, Manu, Prahlad, Janaka, Bhisma, Bali, Sukadeva Gosvami e Yamaraja.
Svayambhu è un altro nome di Brahma, e Sambhu un altro nome di Shiva. Se vogliamo avvicinare Dio e capire qual è il vero scopo della vita, dobbiamo seguire queste autorità, perché aderiscono rigorosamente ai precetti stabiliti da Krishna nella Bhagavad-gita. Non è facile per noi capire in profondità i principi della religione, ma sotto la guida dei mahajan sapremo coglierne l’essenza. Kapila Muni spiegò a Sua madre Devahut1 le glorie del servizio devozionale e se Lo ascoltiamo, le capiremo anche noi.
Secondo il varnashram-dharma, chi ha raggiunto il traguardo dei cinquant’anni deve lasciare gli attaccamenti familiari e votarsi pienamente alla realizzazione spirituale. Non è una tradizione indù, perché il termine “indù” è stato coniato dai musulmani e non ricorre in alcun testo vedico. Il varnashram-dharma è invece menzionato nei Veda, e gli uomini civili dovrebbero seguirne scrupolosamente le norme. Se una persona nasce in una famiglia di brahmana, prima viene educata a osservare i principi del celibato ( brahmacharia), poi si sposa e diventa un grihastha.
Quando si ritira dalla vita di famiglia entra nel terzo ashram, il vanaprastha ; infine abbraccia l’ordine di rinuncia ,il sannyasa.Essendo uno yoghi, Kardama Muniseguì rigorosamente questo percorso e appena Kapiladeva fu cresciuto abbastanza ,affidò Devahutialle Sue cure e andò nella foresta.
La Manu-samhita ingiunge che una donna dev’essere sempre protetta, prima dal padre, poi dal marito,quindi dai figli. In genere, una donna è infelice se non ha qualcuno da cui dipendere e a cui affidarsi. Nei Paesi occidentali abbiamo visto molte donne frustrate a causa di un falso senso d’indipendenza, un’autonomia che la cultura del vamashram-dharma sconsiglia caldamente. Devahuti fu quindi affidata al figlio adulto, Kapila, che ben sapeva di doverla proteggere con ogni cura.
Kapiladeva è un avatara di Krishna che istruì la propria madre. Esistono due Kapila e sono molto diversi: il primo è Bhagavan Kapila, celebrato anche come figlio di Devahuti, e il secondo è un ateo. Entrambi hanno insegnato ilsankhya, ma il Kapila ateo lo ha esposto senza alcuna comprensione, percezione o realizzazione di Dio.
Sulle rive del lago Bindu-sarovara, Kapiladeva enunciò personalmente la filosofia del sankhya a Sua madre come Krishna espose personalmente la conoscenza della Bhagavad-gita all’amico Arjuna. Il prossimo verso dimostra che Devahuti, come Arjuna, sapeva di avere di fronte il proprio maestro spirituale. Brahma le aveva infatti annunciato che suo figlio sarebbe stato una potente manifestazione di Dio.
Kapiladeva rimane con Sua madre
verso 6 tam asinam akarmaniam, tattva-margagra-darsanam sva-su tam devahuty aha, dhatu samsmarati vaca
Vedendo il figlio Kapila, l’unico in grado d’indicarle il fine supremo della Verità Assoluta,seduto tranquillamente davantia lei,Devahuti ricordò le parole di Brahma e cominciò a interrogarlo.
Intraguardo finale della Verità Assoluta è la coscienza di Krishna, il servizio devozionale. La liberazione non è tutto. Se ci limitiamo a capire che non siamo il corpo ma anime spirituali, la nostra conoscenza resterà incompleta. Dobbiamo anche agire sul piano del Brahman; solo così la nostra posizione sarà stabile. A tal proposito nella Bhagavadgita (18.54) Krishna dichiara: “Chi raggiunge il piano trascendentale realizza subito il Brahman Supremo e sente una felicità profonda. Si mostra equanime con tutti gli esseri, non si lamenta e non desidera niente. Può allora servirMi con una devozione pura.”
La bhakti è una prerogativa delle anime liberate, non delle anime condizionate, come spiega chiaramente la Bhagavad-gita (14.26): “Chi si assorbe completamente nel servizio devozionale, senza mai deviare, trascende subito i tre influssi materiali e si eleva al piano del Brahman.” Se pratichiamo, sotto la guida del maestro spirituale e delle Scritture, i nove metodi del servizio devozionale, a partire dall’ascolto (sravana), diventeremo subito anime liberate senza sforzi aggiuntivi. indispensabile però nutrire la ferma convinzione che l’impegno nel servizio a Knshna è sufficiente a liberarci da ogni contaminazione materiale.
L’espressione tattva-margagra-darshanam è spiegata anche in un altro passo dello Srimad-Bhagavatam (1.2.11): brahmeti paramatmeti bhagavan iti sabdyate. Gli studenti comprendono la Verità Assoluta in base alla loro posizione. Alcuni La vedono come Brahman impersonale, altri come Paramatma localizzato, altri ancora come Bhagavan, la Persona Suprema. Non c’è differenza tra Brahman, Paramatma e Bhagavan; sono solo tre diversi aspetti della Verità Assoluta.
Se guardiamo una montagna da lontano, ci appare come una nuvola dai contorni indefiniti; se la guardiamo da vicino intravediamo la sua vegetazione, e se percorriamo i suoi sentieri, vi troviamo case, alberi e animali. La montagna è sempre la stessa, ma secondo la nostra posizione la vediamo indistinta, verdeggiante o variegata. Nel Suo aspetto finale, l’Assoluto è altrettanto variegato. Proprio come esiste la varietà materiale, così esiste la varietà spirituale.
I filosofi mayavadi guardano l’Assoluto da lontano, perciò credono che sia indefinito. Considerano la diversità una prerogativa della materia, ma si sbagliano. La varietà spirituale è descritta nella Brahma-samhita (5.29): “Adoro Govinda, il Signore primordiale, il primo progenitore, che porta al pascolo le mucche e soddisfa le aspirazioni del cuore. In dimore costruite con gemme spirituali, tra innumerevoli alberi dei desideri, Egli è servito con grande reverenza e affetto da centinaia di migliaia di laksmi o gopi.“
Nel cielo spirituale fluttuano ipianeti Vaikuntha e devoti liberati che li abitano non cadono mai nel mondo materiale perché sono aksara, infallibili. Pur essendo persone come noi, sono eternamente piene di conoscenza e gioia. Questa è la differenza. Se non comprendiamo la natura variegata dell’Assoluto, saremo sempre a rischio di caduta, perché il Suo aspetto indefinito e impersonale non ci basterà.
L’impersonalista non può aver accesso ai pianeti Vaikuntha, e dato che resta nella luce del Brahman torna alla varietà materiale. Abbiamo visto molti spiritualisti che dopo essersi distaccati dal mondo ritenendolo falso, hanno dovuto ripiegare sull’umanitarismo perché si sono privati della varietà spirituale. Si sottopongono quindi a grandi penitenze e austerità per raggiungere il Brahman impersonale, ma non trovandovi alcuna forma di piacere, scendono di nuovo quaggiù per godere della varietà materiale.
Possiamo costruire una bella astronave e viaggiare nello spazio, ma poiché lo spazio è impersonale, ci stancheremo presto di rimanere lassù e pregheremo di poter tornare sulla Terra. Abbiamo letto di cosmonauti in missione che pensavano con nostalgia alle loro città. Come il viaggio impersonale provoca turbamento, così la realizzazione impersonale della Verità Assoluta non può durare, perché l’anima desidera la varietà. La caduta è dunque inevitabile. Dopo aver letto uno dei miei libri, un signore accolse con entusiasmo l’idea di poter andare su altri pianeti. “Certo” gli dissi, “questo libro insegna come raggiungerli.” “Sì,” replicò lui “ma poi voglio tornare qui.” “Perché? Non vorrebbe restare là?” “No, no,” ribatté, “non voglio.
Desidero solo andare e tornare.” Questa è la mentalità. Poiché la varietà è madre del piacere, senza varietà non c’è piacere, e realizzare il Brahman o il Paramatma non dà la gioia che tutti cerchiamo. Anandamayo ‘bhyasat, siamo Brahman, parti integranti del Parabrahman, Krishna, e dal momento che Krishna gode in eterno di una felicità stabile e duratura (ananda). la desideriamo naturalmente anche noi. Questa felicità non può essere vuota o impersonale, ma deve includere la varietà. A nessuno piace bere solo latte o mangiare solo zucchero, ma con il latte e lo zucchero si possono preparare molti dolci squisiti – sandesh, rasgulla, rasmalai, berfi, kshira, rabri, dahi ecc. La felicità è dunque imprescindibile dalla varietà.
L’apogeo della conoscenza spirituale (tattva-jnana) è comprendere Krishna, sorgente della varietà. Kapiladeva è un avatara del Signore, perciò insegnerà a Sua madre cos’è il tattva, come ottenere il tattva-jnana e come gustarne i frutti. La coscienza di Krishna, lungi dall’essere arida speculazione,include la varietà spirituale, e chi considera materiale questa varietà finisce col desiderare il vuoto, nirvisesa . Sri Kapila spiegherà con chiarezza che la nostra filosofia non è vuota, ma piena di varietà e felicità.