Lo Yoga Del Saggio Kapila

La conoscenza perfetta nasce dalla sottomissione

La conoscenza perfetta nasce dalla sottomissione

verso 28 devahutir uvaca

kacit tvayy ucita bhaktih, kidrsi marna gocara

yaya padam te nirvanam, abjasanvasnava aham

Devahuti chiese: Quale pratica devozionale è meglio coltivare per ottenere subito e facilmente il servizio ai Tuoi piedi di loto?

La Bhagavad-gita insegna che nessuno è escluso dal servizio di devozione al Signore. Chiunque adotti questa pratica sarà elevato alla perfezione più alta e tornerà a Dio, nella dimora eterna. Per la misericordia del maestro spirituale, ogni devoto può situarsi nel servizio che più si adatta alla sua indole. In altre parole, per liberarsi dalle sofferenze della materia è necessaria la guida di un guru autentico, a cui porre domande con sottomissione. Nell’arrendersi a Krishna, Auna disse: “Signore, adesso non vorrei rivolgermi a Te come a un amico, perché in questo frangente lo scambio amichevole non mi è di alcun aiuto.” Di solito si conversa con un amico per passare il tempo, ma quando si avvicina un maestro spirituale occorre un’attitudine sottomessa.

Tra amici esiste un rapporto di parità, ma il guru non può essere visto in questa luce. Senza arrendevolezza, non si possono ricevere insegnamenti spirituali. Arjuna mette dunque da parte la sua amicizia con Krishna e si abbandona a Lui dicendo: “Ora sono un Tuo discepolo. Istruiscimi, Ti prego.”

Possiamo elucubrare per molte vite e non riuscire a comprendere qual è lo scopo dell’esistenza. Ecco perché le Scritture consigliano di cercare un guru. Il termine guru significa “pesante”, “grave”, e designa chi porta il carico di una grande conoscenza.

Si deve quindi avvicinare un guru in uno spirito di umiltà, senza avere la presunzione di sapere già tutto. Nella tradizione vedica i bambini frequentano la guru-kula e apprendono la scienza spirituale sin dalla più tenera età. Diventano poi brahmachari al servizio del maestro spirituale. Che siano figli di brahmana o di re, quando il guru dà loro un ordine, devono essere pronti a svolgere anche il servizio più umile. Questo è il compito dei brahmachari. Persino Krishna , DIO, la Persona Suprema, frequentò la guru-kula; non ne aveva alcun bisogno, ma lo fece ugualmente per istruirci col Suo esempio.

Anche Chaitanya Mahaprabhu accettò la guida di un maestro spirituale, e quando il grande studioso Prakashananda Sarasvati Lo criticò pur conoscendo la Sua fama di grande erudito, tacciandolo di sentimentalismo perché passava troppo tempo a cantare e danzare invece di studiare il Vedanta, come si addice a un vero sannyasi, Mahaprabhu rispose: ” In realtà, non sono affatto colto, anzi, il mio maestro dice che sono uno sciocco, quindi mi ha vietato di leggere il Vedanta-sutra, che non è destinato alla gente comune, e Mi ha raccomandato di cantare il maha-mantra Hare Krishna.” (Chaitanya-charitamrita, Adi 7.71)

Nell’era in cui viviamo, il Kali-yuga, la gente non è molto istruita e si limita a guadagnarsi da vivere. La filosofia del Vedanta non è destinata alle persone comuni e neppure a quelle che hanno un’istruzione ordinaria, perché richiede una buona conoscenza del sanscrito e della filosofia. Ovviamente, essendo Dio, Chaitanya Mahaprabhu possedeva la completa conoscenza, ma in quella circostanza interpretava il ruolo di un uomo comune per educare una società priva di cultura.

Oggi le persone non hanno interesse per il Vedanta-sutra, sono talmente condizionate dall’influsso di maya che non si preoccupano nemmeno di sapere se c’è vita dopo la morte o che esistono otto milioni e quattrocentomila specie viventi. Quando sentono parlare del pericolo di nascere in corpi subumani come quelli di alberi, di cani, gatti o insetti, manifestano un totale disinteresse per questo argomento. Talvolta qualcuno dice: “Non m’importa se diventerò un cane. Che male c’è? Dimenticherò tutto comunque.” Molti studenti delle università occidentali si esprimono in questo modo. In India, un tempo i brahmana volevano comprendere il Brahman, ma adesso esistono solo sudra, perciò il Brahman non interessa a nessuno. La gente pensa solo ad accumulare denaro e a divertirsi.

La vita umana deve servirci a capire la nostra condizione, e a questo fine dovremmo accogliere l’insegnamento della Bhagavad-gita. Arjuna ci offre il suo esempio personale chiedendo a Krishna di diventare il suo maestro e d’istruirlo. L’insegnamento del Signore non è destinato solo a lui, ma a ognuno di noi. Nella Gita Krishna afferma che dobbiamo cercare un maestro, e il primo maestro è Krishna stesso, poi ci sono coloro che Lo rappresentano. Se sono un uomo d’affari e una persona lavora per me, mi rappresenta solo se esegue i miei ordini; se invece usa i mio denaro per altri scopi, non mi rappresenta.

Il rappresentante di Krishna non dice, “Sono diventato Krishna.” Un individuo del genere non è un guru ma un truffatore. Chi rappresenta Krishna lavora per Lui. Krishna dice, “Lasciate ogni cosa e abbandonatevi a Me”, e il Suo rappresentante dice: “Lasciate ogni cosa e abbandonatevi a Krishna.” Non è difficile da capire. Tutti possono diventare rappresentanti di Krishna, eppure nessuno dei tanti yoghi e swami che negli ultimi duecento anni si sono recati in Paesi stranieri ha parlato di Krishna. Si sono limitati a proporre un calderone di filosofie indiane senza mai presentare la cultura vedica originale.

Dovremmo quindi leggere “La Bhagavad-gita così com’è” e assimilarne la filosofia. Arjuna era un amico di Krishna, si sedeva accanto a Lui e Gli parlava in modo amichevole, ma dopo aver visto la Sua forma universale disse: “In passato non ho esitato a chiamarli ‘Krishna’, ‘Yadava’. ‘amico mio’, perché non conoscevo le Tue glorie. Ti prego, perdona gli errori che posso aver fatto per pazzia o per amore.” Arjuna capisce che Krishna è sì il suo amico, ma anche Dio, il più idoneo a essere il suo maestro, pertanto all’inizio della Bhagavad-gita (2.7) si rivolge a Lui con le parole sisyas te ‘ham sadhi mam tvam pra pannam: “Ora sono il Tuo discepolo e un’anima sottomessa a Te. Istruiscimi, Ti prego.” Questa è la Bhagavad-gita, e chiunque voglia comprenderne il significato deve accettare Krishna come il proprio maestro spirituale.

Solo il guru autentico merita servizio e sottomissione, non una persona qualsiasi. Egli rappresenta Krishna, quindi possiamo accettare la sua guida. Se ci crediamo discepoli di un guru, ma trascuriamo le sue istruzioni, non siamo sinceri. Oggi avere un guru è di moda, ma si tratta di una tendenza che non giova a nessuno. Appena Krishna assunse il ruolo di maestro, rimproverò Arjuna: “Sebbene tu dica sagge parole, ti affliggi per qualcosa che non vale la pena. I saggi non piangono né i vivi né i morti.” (Bhagavad-gita 2.11)

In sostanza, disse al suo discepolo che era uno sciocco, perché si preoccupava eccessivamente del corpo. Arjuna pensava che vedere i suoi parenti uccisi in battaglia sarebbe stato orribile, ma dato che il saggio ha a cuore la salvezza dell’anima, Krishna gli spiegò prima di tutto la differenza tra l’anima e il corpo.

Il Movimento per la coscienza di Krishna si adopera per il bene dell’anima e ciò chiarisce l’uso del termine “coscienza”. La coscienza è infatti il sintomo dell’anima, la prova della sua esistenza. Il piacere e il dolore si devono alla presenza dell’anima nel corpo; in altre parole, si manifestano se c’è la coscienza. Dopo che l’anima ha lasciato il corpo, questo non protesta neanche se viene fatto a pezzi, perché la coscienza non c’è più.

Krishna insegna che mentre il corpo è temporaneo, la coscienza è eterna, ma per comprendere questa verità dobbiamo purificare la nostra percezione, e ciò equivale a rendere perfetta la nostra vita. All’istante della morte sarà la coscienza a trasportarci in un altro corpo. La mente, l’intelligenza e il falso ego formano il corpo materiale sottile, ma al di là c’è l’anima spirituale, ancor più sottile. Non riusciamo a vederla, ma d’altronde non riusciamo a vedere neanche la mente, l’intelligenza e l’ego, pur sapendo di averli.

Siamo in grado di vedere solo il corpo materiale grossolano, e quando questo viene meno diciamo che tutto è finito. Per capire la realtà delle cose dobbiamo avvicinare un guru autentico, come Arjuna avvicinò Krishna.

Krishna usa parole gentili per far capire ad Arjuna che non è un uomo saggio; in sostanza gli dice: “Non sei un pandit. Devi capire che la vera vita è la vita dell’anima.” Educazione vedica significa prendersi cura dell’anima. Ora l’anima è imprigionata nel corpo e soffre perché coinvolta in relazioni illusorie. Solo se la sottraiamo alla presa della materia, tutto si risolverà a nostro beneficio. Questa è vera conoscenza e per riceverla dobbiamo avvicinare un maestro spirituale autentico. Il primo maestro è Krishna, disceso anche nella persona di Kapiladeva, un Suo avatara.

Egli spiega che l’anima non può mai essere ridotta in pezzi, bruciata dal fuoco, bagnata dall’acqua o seccata dal vento. La materia interagisce con la materia, ma l’anima non è materia; in altre parole, esiste al di là delle azioni e delle reazioni materiali. In questo mondo anche il metallo e la pietra possono sciogliersi, ma le leggi della natura non si applicano all’anima spirituale.

Per capire questi argomenti bisogna rivolgersi al rappresentante di Krishna, non a un falso guru, che è come un cieco alla guida di altri ciechi. Dobbiamo ascoltare chi ha gli occhi ben aperti e ha visto la Verità. La Verità c’è e tutti possono vederla come vediamo il sole.

Il sole non si nasconde, ma noi possiamo sottrarci ai suoi raggi nascondendoci dietro una porta chiusa. Apriamo la porta e lo vedremo di nuovo. Analogamente, Krishna c’è, e se studiamo la Bhagavad-gita sapremo chi è. Non esistono ostacoli, Krishna è qui con le Sue istruzioni, ma sebbene renda tutto molto semplice dicendo, “potete percepirMi nella luce del sole e nel sapore dell’acqua”, i mascalzoni preferiscono coniare nuove filosofie.

Sono molto ostinati. Anche maya è molto ostinata; infatti, appena decidiamo di accettare Krishna come il Supremo, ci sussurrerà: “Esistono tanti dèi, perché proprio Krishna?” La risposta è krishnas tu bhagavan svayam … ishvarah paramah krishnah: “Krishna è Dio, la Persona Suprema, causa prima di tutte le cause.” Occorre imparare dalle Scritture e dagli acharya.

L’India vanta grandi maestri, come Ramanujacharya, Madhvacharya, Vishnusvami. Perfino Sankaracharya e Guru Nanak hanno riconosciuto in Krishna la Persona Suprema. Per quale motivo non dovremmo farlo anche noi? Perché adorare qualcun altro? Piuttosto che indulgere nella speculazione mentale, dovremmo accettare Krishna con piena consapevolezza ed essere felici. Possiamo compiere questa scelta con l’aiuto del guru, perciò Devahuti continua a interrogare suo figlio, Kapiladeva.

La conoscenza perfetta nasce dalla sottomissione

verso 29 yo yogo bhagavad-bano, nirvanatmams tvayoditah

 kidrsah kati cangani, yatas tattvavabodhanam

Come hai spiegato, il traguardo dello yoga è realizzare Dio, la Persona Suprema, e porre fine all’esistenza materiale. Ti prego, svelami la natura di questo yoga sublime. Quante sono le vie che permettono di capirlo in tutta la sua verità?

Forme diverse di yoga portano a realizzare aspetti diversi dell’Assoluto. Il jnana-yoga è orientato verso la Sua radiosità impersonale (il Brahman) e l’hatha-yoga verso il Paramatma, il Suo aspetto personale “localizzato”. Il bhakti-yoga, cioè il servizio di devozione, mira invece alla realizzazione completa del Signore Supremo e conta

nove pratiche, di cui l’ascolto e il canto sono le più importanti. Esistono dunque vari sentieri di elevazione spirituale, ma qui Devahuti fa un preciso riferimento al bhakti­ yoga, del quale Kapiladeva ha già definito le basi.

Le pratiche della bhakti sono l’ascolto, il canto e il ricordo delle glorie del Signore, l’offerta di servizio, l’adorazione nel tempio, la preghiera, l’obbedienza, il servizio in amicizia e il pieno abbandono.

La parola nirvanatman è molto significativa. Senza il servizio di devozione non si può uscire dal ciclo dell’esistenza materiale. Quanto jnani, praticanti del jnana­ yoga, anche se riescono a raggiungere la luce del Brahman dopo aver compiuto severe austerità, possono sempre ricadere in questo mondo. Il jnana-yoga non pone quindi un termine definitivo all’esistenza materiale. Per quel che concerne l’hatha-yoga, il suo scopo è la realizzazione del Paramatma, l’aspetto “localizzato” del Signore, ma è risaputo che molti yoghi, come ad esempio Vishvamitra, hanno fallito in questo tentativo. I bhakti-yoghi raggiungono invece il Signore Supremo e non tornano più nel mondo materiale.

La Bhagavad-gita (15.6) Lo conferma: chi sale a questo livello non cade più; dopo aver lasciato il corpo non deve prenderne un altro. Il nirvana non è la fine all’esistenza dell’anima, perché l’anima esiste eternamente, ma è la fine dell’esistenza materiale e il conseguente ritorno a Dio, nella nostra dimora originale.

Talvolta ci chiediamo come l’essere individuale sia potuto cadere dal mondo spirituale nel mondo materiale. Questo verso ci dà la risposta. Finché si resta sul piano del Brahman impersonale o ci s’immerge nella meditazione estatica sull’Anima Suprema, permane la tendenza a cadere. Solo elevandosi ai pianeti Vaikuntha, ossia entrando in contatto diretto col Signore Supremo, l’essere individuale non cade più.

Particolarmente indicativa nel verso è l’espressione bhagavad-banah. Banah significa “freccia”, e il bhakti-yoga è qui paragonato a una freccia, perché mira direttamente a Dio, la Persona Suprema, senza mai deviare il praticante verso il Brahman impersonale o l’aspetto Paramatma. Questa freccia è così rapida e appuntita da penetrare le regioni del Brahman e del Paramatma, e arrivare direttamente al Signore.

Dobbiamo capire la Persona Suprema nella Sua realtà (tattvatah). La gran parte della gente non è interessata a conoscere Dio o la propria relazione con Lui, ma i Veda insegnano che è questo il traguardo della vita umana Dicono che bisogna prima conoscere Dio, poi ristabilire la relazione con Lui, e infine agire nell’ambito di questa relazione. Krishna afferma che tra milioni di persone, forse una vorrà comprendere lo scopo dell’esistenza, ma la vita umana è finalizzata proprio a questo obiettivo, e chi non lo capisce resta sul piano animale. Non solo dobbiamo conoscere Dio e il nostro rapporto con Lui, ma dobbiamo anche sapere come agire in questo rapporto.

Ecco il modo di rendere perfetta la nostra vita. Un siddha conosce se stesso ed è consapevole di non essere il corpo (aham brahmasmi ottiene così la realizzazione del Brahman, o brahma-bhuta, e sente una grande beatitudine. Occorre però avanzare ulteriormente fino al bhakti-yoga ed entrare nel mondo spirituale, dove sono presenti sia la beatitudine (ananda) che la varietà. Poiché tutti desideriamo la varietà, se restiamo nel Brahman, ricadremo inevitabilmente nell’atmosfera materiale. La varietà del mondo spirituale è descritta nella Brahma-samhita (S 29-30):”Adoro Govinda, il Signore primordiale, il primo progenitore, che porta al pascolo le mucche e soddisfa le aspirazioni del cuore.

In dimore costruite con gemme spirituali, tra innumerevoli alberi dei desideri, è sempre servito con grande riverenza e affetto da centinaia di migliaia di Lakshmi o gopì. I Suoi occhi sbocciano come i petali di un loto e il Suo capo è ornato da una piuma di pavone. Suona il flauto e la Sua forma di bellezza, la cui avvenenza unica incanta milioni di Cupidi, ha il colore delle nuvole cariche di pioggia.” Non crediate che la forma di Krishna sia il frutto della fantasia di qualche artista, perché è descritta nei Veda con le parole venum kvanantam aravinda­ dalayataksham: Krishna, Govinda, suona il flauto e ha occhi simili ai petali di un fiore di loto. La Sua bellissima carnagione ha il colore di una nuvola scura, il Suo capo è ornato da una piuma di pavone, e la Sua bellezza è tale da affascinare milioni di Cupidi ( kandarpa-koti-kamaniya-vishesa-sobham).

La varietà del mondo materiale è molto limitata, quindi non facciamo che masticare e rimasticare le stesse cose. La varietà spirituale è invece in costante espansione. Ben diversa dall’oceano materiale, circoscritto dalla terraferma, questa varietà è un oceano di gioia trascendentale che si espande all’infinito: più ci addentriamo nelle sue profondità più diventiamo felici. I membri del Movimento Hare Krishna, per esempio, cantano sempre il nome di Krishna, ma se questo nome non fosse spirituale, per quanto tempo riuscirebbero a cantarlo? Non per molto, dopodiché subentrerebbe la noia. Possiamo ripetere un nome qualsiasi, ma dopo un’ora avremmo la nausea.

Se invece cantiamo Hare Krishna, cresciamo spiritualmente, e nel contempo crescerà anche il gusto per questo canto.

In compagnia di Krishna si vive la gioia perfetta (ananda). Possiamo avere con Lui diverse relazioni o rasa, cinque in particolare -santa rasa (contemplazione), dasya rasa (servizio), sakhya rasa (amicizia), vatsalya rasa (affetto parentale) e madhurya rasa (amore coniugale).Anche in questo mondo abbiamo rapporti paterni, materni, filiali, amicali, amorosi, direttivi e subordinati, ma si tratta sempre e solo di un riflesso distorto dei rasa che ci uniscono a Krishna nel mondo spirituale. Sento un profondo affetto per mio figlio, ma domani potrebbe morire o diventare il mio peggior nemico. È un genere di amore che non conosce l’eternità.

Oggi amo un uomo o una donna, ma prima o poi quest’amore finirà. La temporaneità è parte della natura imperfetta del mondo materiale. Nel mondo spirituale, invece, le relazioni non s’interrompono mai, anzi, s’intensificano e costituiscono ciò che si chiama perfezione.

I mayavadi restano interdetti quando sentono dire che a Krishna piace portare al pascolo le mucche surabhi. Chiedono: “Chi è questo Krishna?” Persino Brahma e lndra restarono disorientati: “Com’è possibile che questo ragazzo di Vrindavana ottenga una simile adorazione? Lo chiamano Dio, la Persona Suprema. Come mai?” Se non vogliamo rimanere confusi dobbiamo ascoltare ciò che Krishna dice di Se stesso oppure ascoltare il Suo rappresentante autentico.

Le attività di Krishna non sono ordinane ma divine, e appena lo capiremo saremo liberi. Anche i Suoi divertimenti con le gopi vanno compresi in questa luce. Nonsitratta di giochi comuni. In questo mondo un ragazzo si diverte a ballare con molte ragazze, ma la danza di Krishna con le pastorelle (gopi) è ben diversa. Quando non si conosce Krishna e si sente dire che danza con le gopi, si è portati a imitarlo equiparandosi a Lui, ma questa tendenza può condurre all’inferno. È dunque imperativo ascoltare tali argomenti dalle persone giuste. Non bisogna essere impazienti e cercare di cogliere subito il senso della relazione tra Krishna e le gopi, perché è un tema molto confidenziale.

Il fatto stesso che se ne parli solo nel decimo Canto dello Srimad­ Bhagavatam indica che per conoscere Krishna dobbiamo leggere innanzitutto i primi nove Canti. Quando 11 avremo compresi, capiremo anche il decimo; realizzeremo allora che le attività di Krishna non sono ordinarie, ma divine, e saremo subito liberati. L’ascolto delle glorie di Krishna, il canto dei Suoi nomi, l’offerta d1 preghiere e servizio sono pratiche da svolgere sotto la guida di un maestro spirituale autentico o di Krishna stesso.

Hanuman, per esempio, si limitò a eseguire gli ordini di Ramachandra , e benché fosse privo di cultura e incapace di spiegare il Vedanta, raggiunse comunque la perfezione. Ariuna, da parte sua, non era un vedantista, ma un guerriero. Pur non avendo il tempo di studiare il Vedanta, perché occupato in questioni belliche e amministrative, era un grande devoto e considerava Krishna l’amico più caro.

Si potrebbe obiettare: “Auna non è un vedantista e neanche un brahmana o un sannyasi, perché Krishna dovrebbe annoverarlo tra i Suoi devoti?” A parte il fatto che nella Gita (4.3) Krishna stesso definisce Arjuna un Suo devoto e un caro amico, non esistono impedimenti materiali per chi vuol essere un devoto del Signore. Anche se la bhakti dovrebbe fluire naturale e spontanea, libera da interessi personali, quand’anche vi fosse il desiderio di un tornaconto, servire Krishna è sempre positivo. Chi Lo avvicina spinto da ragioni egoistiche è da ritenersi comunque virtuoso.

Dhruva Maharaj, per esempio, cominciò ad adorarlo aspettandosi una ricompensa, ma quando raggiunse la perfezione, il suo egoismo svanì ed egli disse al Signore: “Non voglio altro che la benedizione di poterTi servire.”

Se dopo aver sentito parlare delle molte qualità trascendentali di Krishna, ci sentiamo in qualche modo attratti dalla coscienza di Krishna, la nostra vita sarà un successo. Il Signore ci aiuterà dandoci l’intelligenza dall’interno: “A chi si dedica al Mio servizio con amore, dò l’intelligenza necessaria per venire a Me.” (Bhagavad­ gita 10.10) Questo è il vero buddhi-yoga. Buddhi-yoga significa bhakti-yoga, perché solo chi è davvero intelligente sceglie di seguire la coscienza di Krishna e dedicarsi al servizio di devozione sotto la guida delle Scritture e del maestro spirituale.

Devahuti lo ha capito e si affida al figlio Kapila, proprio come Arjuna si affida a Krishna sul campo di battaglia di Kurukshetra.

La conoscenza perfetta nasce dalla sottomissione

verso 30 tad etan me vijanihi, yathaham manda-dhir hare

sukham buddhyeya durbodham, yosa bhavad-anugrahat

Kapila, caro figlio mio, dopotutto non sono che una donna e mi è difficile comprendere la Verità Assoluta. Se però vorrai gentilmente spiegarmela, la capirò nonostante la mia intelligenza limitata e potrò così gustare la felicità trascendentale.

Le persone comuni hanno molta difficoltà a comprendere la Verità Assoluta, perché mancano d’intelligenza, ma se il maestro spirituale è ben disposto verso un discepolo, lo benedirà con la sua misericordia divina, e il discepolo, per quanto poco intelligente, otterrà la rivelazione completa. Visvanath Chakravarti Thakur afferma che le benedizioni del Signore si ricevono per la grazia del maestro spirituale. Devahuti, donna semplice, prega dunque il suo glorioso figlio di concederle la Sua misericordia.

Nel verso Devahuti ci mostra che per capire le tematiche spirituali bisogna avere un’attitudine non di sfida ma di sottomissione. Questo è il segreto della bhakti ed è anche l’insegnamento di Sri Chaitanya, che raccomanda a chi vuole progredire nel canto del mantra Hare Krishna di essere più umile dell’erba e più tollerante dell’albero, evitando d’inorgoglirsi della propria intelligenza e offrendo agli altri il dovuto rispetto. Solo così è possibile cantare il mantra Hare Krishna senza commettere offese. Nonostante la sua posizione elevata in quanto madre di Kapiladeva, Devahuti si presenta qui come una persona dall’intelletto limitato.

Il metodo della bhakti dipende dall’attitudine di servizio nei confronti del maestro spirituale. È impossibile cogliere la sublime natura di Krishna con inostri ottusi sensi materiali, perché il Suo nome, la Sua forma, le Sue qualità e i Suoi divertimenti sono tutti divya, divini. I sensi devono quindi purificarsi restando impegnati nel servizio del Signore, a cominciare dalla lingua, che usiamo per cantare isantinomi, un’attività alla portata di tutti.

Dopo aver elencato i difetti dell’era attuale, il Kali-yuga, lo Srimad­ Bhagavatam (12.3.51) rivela: “Quest’epoca ha però un grande pregio: è sufficiente cantare il maha-mantra Hare Krishna per ottenere la liberazione e tornare a Dio, nella dimora eterna.” Chaitanya Mahaprabhu ha poi corroborato quest’affermazione dicendo: “Cantate Hare Krishna, perché nel Kali-yuga non c’è altra via.”

Quando cantiamo Hare Krishna dovremmo cercare di evitare le dieci offese*, ma in ogni caso chi canta sinceramente si purifica. Per pulire lo specchio della mente non esiste metodo più semplice. Se Krishna, situato nel cuore, vede la nostra sincerità nel canto dei santi nomi, ci aiuterà sia dall’interno, dandoci l’intelligenza necessaria, sia dall’esterno facendoci pervenire le istruzioni del Suo rappresentante.

Chaitanya Mahaprabhu afferma dunque: “E’ per la grazia di Krishna che si arriva al maestro spirituale, ed è per la grazia del maestro spirituale che si arriva a Krishna.” (Chaitanya­ charitamrita, Madhya 19.151) Le Scritture ci mostrano così un sentiero molto facile per giungere ad apprezzare la nostra natura trascendentale: il Movimento per la coscienza di Krishna.

Devahuti ha accettato con sottomissione la guida del figlio ed è per la Sua grazia che vuole comprendere Krishna nel modo più completo. È quindi essenziale ottenere la piena misericordia di Krishna e del maestro spirituale. Srila Vishvanath Chakravarti Thakur attribuisce un’estrema importanza alla misericordia del guru, ed è un fatto che se il guru è contento del nostro servizio ci darà le sue benedizioni. Si tratta di una grande opportunità, perché il guru è il servitore più intimo di Krishna, e anche se non dice mai di essere Krishna, riceve la medesima considerazione.

Le Scritture lo pongono infatti sullo stesso piano d1 Dio perché Lo rappresenta, e ingiungono di onorarlo con uguale rispetto. Poiché va di casa in casa chiedendo a tutti di diventare coscienti di Krishna, è molto caro al Signore, e se Gli raccomanda una persona, il Signore la accoglierà senz’altro. Il maestro autentico non chiede alla gente di arrendersi a lui, ma a Krishna.

L’abbandono a Dio deve quindi compiersi con la sua mediazione, non direttamente. Questo è il metodo prescritto. Il guru non tiene per sé la venerazione dei discepoli, ma la offre a Krishna. Se non riusciamo a ottenere la sua misericordia, molto difficilmente avremo un contatto diretto con Krishna.

La Bhagavad-gita spiega che per conoscere Dio occorre avvalersi di una successione autentica di maestri spirituali (parampara). Ogni esponente di questa successione serve il proprio maestro in una sequenza che sale fino a Dio, il Maestro originale. La misericordia del Signore scende quindi. attraverso la parampara, e l’adorazione offerta al Signore attraverso la parampara sale fino a Lui. Poiché l’unico modo per raggiungere il Supremo è affidarsi a un maestro spiritale, Devahuti cerca la misericordia di Kapiladeva e si rivolge a Lui con estrema umiltà: “Caro figlio, Tu sei Dio, la Persona Suprema, e io sono una donna dall’intelletto limitato. Vorrei però conoscere le sublimi verità trascendentali e so che la Tua misericordia lo renderà possibile.

Il metodo per avvicinare e comprendere la Verità Assoluta è stato oggetto di conversazione anche tra Ramananda Ray e Chaitanya Mahaprabhu, episodio narrato nella Chaitanya-charitamrita (Madhya-lila, capitolo 8). Inizialmente, Ramananda Ray propose il varnashram-dharma, sostenendo che lo scopo della vita umana è collegarsi a Vishnu mediante le norme che regolano i varna e gli ashram, ma Sri Chaitanya replicò che nella nostra era non si può far rivivere quest’antica cultura.

Il varnashram non è dunque un sistema pratico. Sri Chaitanya viene definito da Rupa Gosvami “l’avatara più magnanimo”. perché ha distribuito liberamente l’amore per Dio. In realtà,noi non riusciamo neppure a conoscere Dio, che dire di amarlo! Si può amare qualcuno che non si conosce?

Sri Chaitanya è stato però così gentile da donare l’amore per Krishna (krishna-prema) a chiunque lo volesse e ha addirittura pianto per Krishna dimostrando col Suo esempio che si può impazzire per Lui: “Govinda! Immerso nel sentimento di separazione da Te, mi sembra che un istante sia lungo dodici anni e più. Le lacrime scorrono dai miei occhi come torrenti di pioggia e il mondo intero è vuoto in Tua assenza.” (Sikshastaka 7) Senza Krishna tutto dovrebbe apparirci vuoto. Naturalmente l’emozione espressa in questo verso appartiene a Radharani, a Chaitanya Mahaprabhu e a pochi altri devoti,non certo alle persone comuni.

Alcuni discepoli diretti di Sri Chaitanya, come i sei Gosvami di Vrindavana, seguirono le orme del loro divino maestro e adorarono Krishna in separazione cercandolo dappertutto. “Offro i miei rispettosi omaggi ai sei Gosvami di Vrindavana, Sri Rupa, Sri Sanatana, Sri Raghunath Bhatta, Sri Raghunath das, Sri Jiva e Sri Gopal Bhatta, che cantavano a gran voce: ‘Regina di Vrindavana, Radharani! Lalita! O figlio di Nanda Maharaj! Dove siete? Sulla collina Govardhana o sulle rive della Yamuna?’

Questa era la loro estasi.” (Sad-gosvamy-astaka 8) Non dissero mai: “Abbiamo visto Krishoa.” Il metodo raccomandato è dunque adorare il Signore in un sentimento di separazione, sentimento che non solo risveglierà la nostra coscienza di Krishna, ma ci farà impazzire di nostalgia. Quest’amore si chiama krishna-prema ed è un regalo di Chaitanya Mahaprabhu.

Poiché siamo imperfetti, se cerchiamo di capire Krishna con la nostra minuscola capacità cognitiva, non potremo che formulare vane ipotesi. Molti, tra cui jnani e teosofi, tentano di cogliere la Verità Assoluta mediante la speculazione, ma è un’impresa impossibile. Lo Srimad-Bhagavatam (10.14.29) lo conferma: “Mio Signore, chi è favorito anche da una sola goccia della misericordia che scaturisce dai Tuoi piedi di loto può cogliere la Tua grandezza, ma chi si vota alla speculazione mentale nell’intento di conoscerTi non ci riuscirà neppure studiando i Veda per centinaia di anni.

Si può elucubrare a oltranza, ma capire Krishna è impossibile se non si ottiene la Sua misericordia attraverso il maestro spirituale: questa è la via raccomandata da Chaitanya Mahaprabhu. Krishna è anche Ajita, “Inconquistabile”, ma Si lascia facilmente conquistare dal Suo devoto. Bisogna dunque arrendersi a Lui e pregare: “Krishna, stupido come sono non ho alcuna possibilità di conoscerTi. Abbi pietà di me e dammi per favore l’intelligenza per capirTi e abbandonarmi a Te.” Infinitamente misericordioso, Krishna aiuta dal cuore chi esprime questo desiderio di resa e sottomissione.

  • Riportiamo la lista delle offese da evitare quando sicanta o si recita il maha-mantra Hare Krsna:

1) Ingiuriare un devoto che ha dedicato la sua Vita alla diffusione del santo nome del Signore;

2) mettere il nome dei deva. come Shiva o Brahma, sullo stesso piano del nome di Vishnu o crederli indipendenti da esso;

3) Trascurare le 1struzioni del maestro spirituale;

4) bestemmiare le Scritture vediche o gli altri Scitti che le sostengono;

  1. considerare immaginarie le glorie del maha-mantra;
  2. interpretare il santo nome del Signore;

3 compiere atti colpevoli contando sul potere del santo nome per annullarne le conseguenze;

8)considerare il canto del maha-mantra uno dei atti propiziatori che i Veda propongono nell’ambito dell’azione interessata (karma-kanda);

  1. parlare delle glorie del santo nome ai non-credenti;
  2. non avere una fede completa nel canto del santo nome e rimanere attratti dalla vita materiale anche dopo aver compreso gli 1nsegnament1 del maestro spirituale.

La conoscenza perfetta nasce dalla sottomissione

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