Lo Yoga Del Saggio Kapila

Le caratteristiche di un sadhu

Le caratteristiche di un sadhu

verso 21 titikavah karurnikah, suhrdah sarva-dehinam

ajata-satravah santah, sadhavah sadhu-bhusanah

La persona santa [sadhu] è tollerante, compassionevole e amichevole con tutti. Non ha nemici, è serena, si conforma alle Scritture e ha qualità sublimi.

Abbiamo già spiegato che il sadhu è un devoto del Signore, e la sua compassione si manifesta soprattutto nel desiderio d’illuminare gli altri sul servizio devozionale. Consapevole del fatto che senza il servizio a Dio la vita umana è sprecata, egli viaggia in tutto il mondo predicando di porta in porta: “Siate coscienti di Krishna, diventate devoti, non gettate via tempo prezioso nel tentativo di soddisfare le vostre tendenze animalesche.

Siete destinati alla realizzazione spirituale, che culmina nella coscienza di Krishna.” Questi sono gli insegnamenti del sadhu, il quale non si accontenta della propria liberazione, ma vuole liberare anche il prossimo. E’ la persona più misericordiosa, quindi la compassione (karunika) verso le anime cadute è una delle sue qualità principali.

Poiché nel corso della sua predicazione il sadhu incontra molta opposizione, deve dar prova di grande tolleranza. Può anche succedere che venga maltrattato, perché di solito la gente non è pronta a ricevere la conoscenza spirituale, non l’apprezza, ed è proprio questa la sua malattia. Il sadhu ha l’ingrato compito d’insistere sull’importanza del servizio devozionale, perciò a volte subisce attacchi violenti.Gesù fu crocifisso, Haridas Thakur fu bastonato in ventidue piazze, e Nityananda, il principale assistente di Sri Chaitanya, fu aggredito da Jagai e Madhai, due ubriaconi.

Ciò nonostante il sadhu non perde mai la tolleranza e la misericordia, perché la sua missione è salvare le anime cadute e dare beneficio a tutti, animali compresi. L’espressione sarva-dehinam si riferisce a coloro che hanno assunto un corpo materiale. Non solo gli uomini, ma anche gli animali, le piante e gli altri esseri viventi hanno un corpo materiale, e il devoto del Signore è misericordioso con tutti indistintamente, operando affinché tutti possano liberarsi dal giogo della materia.

Shivananda Sena, ad esempio, uno dei discepoli di Sri Chaitanya, permise a un cane di ottenere la liberazione rapportandosi a lui sul piano spirituale. Ci sono altri episodi che riguardano cani liberati grazie al contatto con i sadhu, i quali agiscono sul piano filantropico più alto, cioè per il vero bene di ogni essere.

Il sadhu è dunque amico di tutti, non è nemico di nessuno, ma tanti gli sono nemici perché il mondo è ingrato. Qual è la differenza tra un amico e un nemico? La distinzione si definisce in base al comportamento. Il sadhu si comporta con le anime condizionate in modo tale che si liberino dai legami materiali. Nessuno è quindi più amichevole e capace di dar loro sollievo. Serenità, fedeltà ai principi delle Scritture e devozione per il Signore sono caratteristiche ben visibili nel sadhu, che ha perciò qualità divine, mentre il non-devoto, per quanto materialmente preparato, non possiede buone qualità o tendenze idonee alla realizzazione spirituale.

Secondo il Padma Purana esistono 8.400.000 specie viventi, e l’atma è la stessa anche se abita corpi diversi. Il sadhu ne è consapevole, come indica la Bhagavad­ gita (5.18): “Illuminato dalla vera conoscenza, l’umile saggio vede in modo equanime il brahmana colto e benevolo, la mucca, l’elefante, il cane e il mangiatore di cani.” Ovviamente il brahmana non è uguale al cane, ma è pur vero che sia il brahmana sia il cane sono anime spirituali.

Purtroppo siamo condizionati dal corpo che abbiamo e che ci viene assegnato da forze superiori in base al nostro karma. I corpi sono dunque attribuiti secondo le qualità individuali: se sviluppiamo le qualità elevate di un brahmana e ci comportiamo di conseguenza, diventeremo brahmana, ma se ci comportiamo come cani, diventeremo cani. È sbagliato pensare che nascere in una certa famiglia significhi ereditarne automaticamente le qualità.

A tal proposito, la Bhagavad-gita descrive le caratteristiche dei quattro varna affinché ognuno possa individuare il proprio gruppo sociale di appartenenza. Anche Sridhara Svami sottolinea che la nascita non è l’aspetto più importante; ciò che conta è acquisire le qualità richieste.

Qualunque sia il corpo in cui viviamo, la nostra posizione è temporanea e non la manterremo. Oggi siamo americani o europei e siamo felici; continuiamo a fare progetti per prolungare la nostra felicità, ma la natura non ci permetterà di restare in questa posizione per sempre. Appena giunto il momento, dovremo lasciar tutto e morire. Avremo allora un altro corpo umano o quello di un essere superiore (deva), oppure quello di un cane, di un gatto, e via dicendo. Ora abbiamo ricevuto la forma umana, la più elevata, ma se non ne facciamo buon uso, la perderemo e regrediremo in un corpo inferiore Questo è il significato di karmana daiva-netrena.

La vita umana ci deve spingere a considerare con attenzione il suo obiettivo: consentirci di diventare devoti di Krishna. Questa è la via della liberazione. Un tempo, in India, le grandi personalità si ritiravano dalla vita sociale a un certo stadio della loro esistenza per meditare e prepararsi a uscire dal ciclo di nascite e morti. Mirare a questo traguardo dovrebbe essere l’occupazione suprema di noi esseri umani, perché se invece d’interrompere il ciclo di nascite e morti, ci comportiamo come gli animali -intenti solo a mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi- sprechiamo la nostra vita.

Nell’era attuale la gente non sa distinguere tra vita umana e vita animale. Crede che la differenza stia nel fatto che l’animale dorme per strada, e l’essere umano in un bell’appartamento, ma non è questo il giusto criterio di valutazione. Che si dorma per strada o in un appartamento di lusso, l’azione è la stessa. Il cane mangia in un bidone della spazzatura e l’uomo in un piatto elegante, ma l’atto del nutrirsi è il medesimo. Il cane si accoppia per strada, sotto gli occhi di tutti, e l’uomo in una situazione comoda e appartata, ma ciò non cambia la natura dell’azione. La gente crede che il progresso della civiltà sia determinato da quanto mangiamo, dormiamo, ci accoppiamo e ci difendiamo meglio degli animali, ma queste attività non hanno nulla a che vedere col progresso, al contrario, ci legano sempre più all’esistenza materiale.

La vita umana prevede il compimento di sacrifici (yajna) per la soddisfazione della Persona Suprema. Possiamo senz’altro perfezionarci materialmente, ma il vero successo è soddisfare Krishna con inostri talenti. Ora c’interessano le attività materiali, ma se dirigiamo il nostro interesse verso un sadhu, porteremo a termine la missione della nostra vita.

Ci piacciono il denaro, le belle case, la nazione, la società, gli amici, la famiglia, e così via, ma queste attrazioni sono definite arjanam pasu. Pasu significa “corda”, e se una corda ci lega non possiamo muoverci. Adesso a legarci sono i guna, i tre influssi della natura materiale, e anche il termine guna significa “corda”. Condizionati come siamo, non possiamo liberarci da soli, né possiamo muoverci senza il consenso dell’Autorità suprema. Si dice infatti: “Non cade foglia che Dio non voglia.” Ebbene, neppure noi siamo in grado di muoverci senza il benestare di un’Autorità superiore.

Non crediate però che Dio sia costretto a occuparSi personalmente di noi. Nella direttamente, perché ha molti agenti al Suo servizio. Noi invece siamo così dipendenti da non avere neanche la libertà di sbattere le palpebre. Ora le nostre mani si muovono con destrezza, ma potrebbero paralizzarsi in qualsiasi momento. Questa è la vita condizionata. È possibile renderla migliore? Possiamo liberarci dai condizionamenti? In che modo? Dobbiamo trasferire il nostro interesse dagli oggetti materiali a un sadhu.

Tutte le Scritture vediche raccomandano di frequentare un sadhu; lo consigliava anche il grande politico Chanakya Pandit. Quando un uomo sposato chiese a Chaitanya Mahaprabhu quale fosse il suo dovere, la risposta immediata fu: “Non frequentare chi non è devoto al Signore ma cerca un sadhu.” (Chaitanya charitamrita, Madhya 22.87) Oggi è molto difficile evitare la compagnia degli asadhu, coloro che non sono devoti, mentre risulta complicato trovare un sadhu.

Proprio per offrire alla gente la compagnia dei sadhu e il conseguente beneficio della liberazione, abbiamo inaugurato il Movimento per la coscienza di Krishna. La nostra Associazione non ha altro scopo.

Nella Bhagavad -gita (6.47) si legge che il sadhu di prim’ordine è una persona che pensa sempre a Krishna. Dovremmo farlo anche noi, ma come? Gli affari, la famiglia, il nostro amore, il cane e un’infinità di altre cose affollano la nostra mente. In realtà, concentrarsi su Krishna è più facile di quanto immaginiamo.

Non dobbiamo smettere di pensare, perché senza pensare non possiamo neanche esistere. Dobbiamo solo far convergere i nostri pensieri su Krishna sotto la guida di un sadhu, la cui occupazione esclusiva è insegnare quest’arte. Si tratta spesso di un compito ingrato, ma il sadhu è tollerante, e malgrado le difficoltà, è sempre molto compassionevole verso le anime condizionate, sapendo che soffrono per mancanza di coscienza di Krishna.

Nonostante l’invidia di molti, egli medita sempre sul modo di salvare il prossimo dalle reti di maya. È gentile non solo con gli umani, ma anche con gli animali, le piante e gli insetti; esiterà perfino a uccidere una zanzara. Ai suoi occhi tutti sono fratelli, perché Krishna dice di essere il padre di ogni creatura.

Vivendo in questo modo, il sadhu non si crea nemici. L’ostilità di alcuni è dovuta al loro carattere e non a una provocazione del sadhu, il cui unico desiderio è invitare tutti ad abbandonarsi a Krishna. l’inimicizia scaturisce dalla malevolenza insita nella natura umana. Chanakya Pandit dice che due sono gli animali invidiosi: il serpente e l’uomo. Entrambi possono uccidere senza una ragione, ma tra i due ilpiù pericoloso è l’uomo, perché a differenza del serpente non può essere ammansito col canto di mantra o con l’uso di erbe.

Nel Kali-yuga tutti sono più o meno invidiosi, ma bisogna essere tolleranti. Benché persone malevole ostacolino in vari modi la diffusione del Movimento per la coscienza di Krishna, dobbiamo tollerarle. Restare sereno e dipendere da Krishna in ogni circostanza sono gli ornamenti del sadhu. Cerchiamo dunque un sadhu e beneficiamo della sua compagnia. Si apriranno così per noi le porte della liberazione.

Nel verso che segue Kapila parlerà in modo più approfondito delle attività del sadhu.

Le caratteristiche di un sadhu

verso 22 mayy ananyena bhavena, bhaktim kurvanti ye drdham

mat-krte tyakta-karmanas, tyakta-svajana-bandhavah

Il sadhu si dedica pienamente al servizio del Signore senza mai deviare. Per amor Suo rinuncia ai rapporti mondani, come quelli che legano familiari e amici.

Il sannyasi è definito anche sadhu perché rinuncia a tutto: casa, comodità, parenti, amici e obblighi van nei loro confronti. Lo fa per amore di Dio, la Persona Suprema. La sua rinuncia è infatti utile solo se egli impiega la sua energia per servire il Signore nella massima austerità. quindi un sadhu chi ha abbandonato tutti gli oneri verso la famiglia e la società per ded1cars1 al servizio devozionale. Nascendo in questo mondo, una persona contrae debiti verso gli esseri celesti, i grandi saggi, l’umanità in generale, i propri antenati, i genitori e via dicendo, e se li trascura per servire il Signore, non incorre in alcuna punizione, ma se lo fa per indulgere nel piacere dei sensi, sarà penalizzata dalle leggi della natura.

Le Scritture vediche insegnano che il nostro unico dovere è servire Dio, la Persona Suprema. Se ci votiamo al Suo servizio, non abbiamo più alcun obbligo verso gli altri; siamo liberi per volere dell’Onnipotente.

Un uomo può essere condannato a morte, ma se ottiene la grazia dal presidente o dal re, è salvo. L’istruzione conclusiva di Krishna nella Bhagavad-gita è “offri tutto a Me”. Possiamo darGli la nostra vita, le nostre ricchezze e la nostra intelligenza, e quest’offerta è definita sacrificio (yajna). Tutti abbiamo un po’ d’intelligenza, anche la formica, e di solito la usiamo per soddisfare i sensi. Non sono però i nostri sensi che dobbiamo soddisfare, ma i sensi di Krishna; allora diventeremo perfetti. Più cerchiamo di godere, più restiamo coinvolti nel mondo materiale.

Cogliamo quindi l’opportunità di offrire il nostro servizio a Krishna o a un sadhu, il Suo rappresentante, che non dirà mai “servi me”,

ma piuttosto “servi Krishna”. L’acharya vaishnava Narottam das Thakur conferma che ci si deve avvicinare a Krishna con la mediazione di un sadhu. Non possiamo andare da Krishna direttamente, dobbiamo farlo attraverso il Suo intermediario trasparente.

La vita spirituale inizia frequentando un sadhu, perché senza la sua misericordia non si avanza nemmeno di un passo. Prahlad Maharaj lo conferma nello Srimad­ Bhagavatam (7.5.32): “Se le persone immerse nella gratificazione dei sensi non si cospargono il corpo con la polvere dei piedi di loto di un vaishnava totalmente libero dall’attaccamento materiale, non si sentiranno mai attratte dal Signore, glorificato per le Sue imprese eccezionali. E se non prendono rifugio nel Signore non si salveranno dalla contaminazione materiale.”

Hiranyakasipu domandò a suo figlio Prahlada “Come hai fatto a progredire così velocemente nella coscienza di Krishna?” Benché fosse malvagio, era curioso, e Prahlad rispose: “Caro padre, non è elucubrando che si progredisce nella coscienza di Krishna, ma solo grazie agli insegnamenti di un maestro spirituale. Le persone comuni non sanno che la loro destinazione suprema è la dimora di Vishnu.” Nel mondo materiale tutti sperano sempre in qualcosa d’impossibile e non saranno mai soddisfatti.

Cercano la felicità manipolando l’energia esterna, perché ignorano che senza Dio non si può essere felici. Pensano: “Prima di tutto devo curare il mio interesse. “Va bene, ma qualè il loro vero interesse? Non lo sanno. Credono di trovare la felicità trasformando l’energia materiale e provano a farlo individualmente e collettivamente. In entrambi icasi tutto sfocia nella frustrazione.

Perché imboccare una strada che porta alla frustrazione? Se non siamo capaci di controllare i sensi, avremo moltissime delusioni; l’unica possibilità di salvezza è Krishna. Prahlad pensava sempre a Krishna, ma dovette sopportare grandi tribolazioni a causa dal padre.

La natura materiale non ci lascerà liberi molto facilmente. Se diventiamo abbastanza determinati da volerci aggrappare ai piedi di loto di Krishna, maya tenterà in ogni modo di riportarci sotto il suo dominio, ma se abbandoniamo tutto per amore di Krishna, maya non riuscirà nel suo intento. Le gopi ne sono l’esempio ideale, perché lasciarono tutto -famiglia, prestigio e onori-per seguire Krishna. Questa è la perfezione più elevata, irraggiungibile per noi, persone comuni. Dovremmo dunque ispirarci all’esempio dei sei Gosvami.

Sanatana Gosvami era un importante ministro nel governo di Hussain Shah, ma rinunciò al suo incarico e per seguire Chaitanya Mahaprabhu scelse la vita del mendicante, dormendo ogni notte sotto un albero diverso. Ma come si può vivere in modo così austero? In realtà, non serve rinunciare a tutto, e impazziremmo se provassimo a farlo prima di aver maturato, come Sanatana Gosvami, una fede incrollabile in Krishna.

Se invece abbiamo conseguito questa fede, non ci sarà difficile lasciare ogni cosa – famiglia, posizione, affari e via dicendo. Tale determinazione si ottiene però solo frequentando un devoto (sadhu-sanga).Verrà allora il giorno in cui potremo serenamente rinunciare a tutto e diventare persone libere, degne di tornare a casa, da Dio.

Oggi siamo attratti dal piacere materiale e Krishna ci consente di godere al massimo coi nostri sensi, perché questo è il motivo che ci ha spinto a venire quaggiù. Tuttavia, quello che sperimentiamo è un’illusione di maya, non è vero piacere, ma una lotta. Quando ci renderemo conto di lottare vita dopo vita senza mai trovare il vero piacere, ci abbandoneremo a Krishna, ma questa realizzazione esige una conoscenza che possiamo ricevere solo da un sadhu, un devoto del Signore.

Il modo per vincere la battaglia della sopravvivenza materiale sarà ulteriormente chiarito da Kapiladeva nel prossimo verso.

Le caratteristiche di un sadhu

verso 23 mad-asrayah katha mrstah , smvanti kathayanti ca

tapanti vividhas tapa, naitan mad-gata-cetasah

Costantemente impegnato nell’ascolto e nel canto delle Mie glorie divine, il sadhu non patisce le miserie dell’esistenza materiale, perché è sempre assorto nei Miei divertimenti sublimi.

Le miserie dell’esistenza materiale si manifestano in vari modi. Alcune sono causate dal corpo e dalla mente, e alcune imposte da altri esseri viventi o dalle calamità naturali. Il sadhu non è turbato da queste sofferenze, perché è così assorto in Krishna da provare interesse solo per la narrazione delle Sue attività.

Maharaj Ambarish, ad esempio, parlava esclusivamente di argomenti spirituali, e ogni sua parola era una lode alla Persona Suprema. Se da un canto le anime condizionate sono sempre oppresse dall’ansia e dalle tribolazioni perché dimentiche delle attività del Signore, dall’altro i devoti trascendono le miserie dell’esistenza materiale perché sempre assorti nella Sua glorificazione.

Non esiste al mondo qualcuno che possa dire onestamente “non soffro”. Quaggiù tutti soffrono in un modo o nell’altro; se così non fosse, nessuno farebbe uso di sostanze inebrianti e psicofarmaci. I mezzi di comunicazione non fanno che pubblicizzare ansiolitici, antidolorifici e analgesici, e i Paesi economicamente più avanzati ne producono in quantità industriali.

Come si può quindi affermare che non c’è sofferenza? La verità è che chiunque abbia un corpo materiale deve accettare la sofferenza nelle sue tre forme: adhyatmika, adhibhautika e adhidaivika. La parola adhyatmika indica le sofferenze del corpo e della mente: oggi ho l’emicrania o il mal di schiena, oppure la mia mente è irrequieta. Il termine adhibhautika designa invece le sofferenze causate da altri esseri viventi, e adhidaiv1ka si riferisce alle sofferenze su cui non abbiamo alcun controllo, come le calamità naturali. Oltre a queste tre forme di sofferenza, subiamo anche la nascita, la malattia, la vecchiaia e la morte, eppure

continuiamo a crederci felici in questo mondo. Dov’è tutta la nostra felicità? Succubi dell’incantesimo di maya, pensiamo di avere una posizione sicura e fingiamo di goderci la vita. Ma che razza di godimento è questo?

È ovvio che il dolore va tollerato, e una delle caratteristiche del sadhu è proprio la tolleranza. Tutti sono tolleranti in una certa misura, ma il sadhu lo è in modo diverso, perché sa di non essere il corpo. Se anche noi comprendiamo di non essere il corpo, il dolore non sarà più così acuto. È una questione di attitudine mentale. Il materialista soffre maggiormente, perché il suo approccio è simile a quello di un animale.

Il devoto segue invece il consiglio di Krishna nella Bhagavad-gita (2.14):Effimeri, gioie e dolori vanno e vengono come l’estate e l’inverno, o figlio di Kunti. Sono dovuti alla percezione dei sensie bisogna imparare a tollerarli senza esserne disturbati.” D’estate soffriamo e soffriamo anche d’inverno. D’estate il fuoco è sgradevole, ma lo stesso fuoco ci conforta d’inverno. Col caldo l’acqua fresca è un sollievo, col freddo diventa un problema. L’acqua e il fuoco sono sempre gli stessi, ma a volte ci procurano piacere e a volte no. Queste differenti sensazioni sono dovute al contatto con la pelle. Tutti abbiamo la “malattia della pelle”, cioè il corpo, quindi soffriamo. Quanto più siamo convinti di essere il corpo, tanto più soffriamo.

A causa dell’identificazione col corpo, oggi proliferano gli “ismi”-nazionalismo, comunismo, socialismo, umanitarismo e via dicendo. Durante i disordini di Calcutta che nel 1947 videro scontrarsi indù e musulmani, tutti soffrivano molto perché alcuni si credevano indù e altri musulmani. Chi è cosciente di Krishna non ha questo genere di problemi, perché sa di non essere né indù né musulmano né cristiano, ma un eterno servitore di Krishna.

L’odierno sistema educativo insegna a diventare sempre più coscienti del corpo, quindi le sofferenze aumentano; diminuiranno se riduciamo l’identificazione col corpo.

Le persone coscienti di Krishna hanno la mente e il cuore in Krishna, perciò anche quando devono affrontare il dolore, l’accolgono con serenità, sapendo che tutto accade per volere divino. Talvolta il devoto accoglie la sofferenza come un’occasione per ricordare Krishna, e nelle tribolazioni pensa: “La circostanza in cui mi trovo è il risultato delle mie colpe passate. In realtà, avrei dovuto soffrire di più, ma Krishna ha ridotto il mio dolore al minimo. Dopotutto, le gioie e i dolori appartengono alla mente.

Ecco la differenza tra un devoto e un non-devoto: mentre il primo non è turbato dalla sofferenza, il secondo ne rimane sconvolto.

Prahlad, un bambino di cinque anni, subì da suo padre i peggiori tormenti perché era un devoto. Vessato senza pietà, rischiò la vita più volte quando fu gettato in un precipizio, immerso nell’olio bollente e lasciato alla mercé di elefanti e serpenti. Eppure non si lamentò mai. Anche Haridas Thakur, musulmano di nascita, era un fervente devoto la cui sola colpa era cantare sempre Hare Krishna. Il governatore musulmano dell’epoca, Chand Kazi, lo convocò per dirgli: “Sei nato in una grande famiglia di musulmani, ma canti un mantra indù. Perché?” Haridas replicò dolcemente: “Mio signore, molti indù sono diventati musulmani, quindi, anche supponendo che io sia diventato indù, che male c’è?” Il Kazi s’infuriò e ordinò che fosse frustato pubblicamente in ventidue piazze. In pratica lo condannò a morte, ma Haridas era così elevato che riuscì a tollerare il dolore.

Un sadhu può dover soffrire, ma tollera; nel contempo manifesta una grande compassione verso le anime condizionate e cerca di elevarle alla coscienza di Krishna. Anche se viene messo in difficoltà, non abbandona la sua missione, perché vuole che tutti traggano gioia e beneficio dalla coscienza di Krishna.

Prahlad prega così: “Mio Signore, poiché conosco l’arte di essere felice ascoltando e cantando le Tue glorie, non soffro.” Ascoltare e glorificare il Signore è il compito del sadhu, e oggi queste due attività si stanno espandendo nel mondo grazie al Movimento Hare Krishna.

Tutti possono conseguire un tale controllo della mente da non essere turbati neppure durante un’operazione chirurgica. Accadde a Stalin, che prima di un intervento rifiutò l’anestesia. Se ciò è possibile per un comune materialista, che dire di uno spiritualista? La nostra mente dovrebbe essere assorta in Krishna. “Pensa sempre a Me”, dice Krishna. I giovani americani ed europei che si sono uniti al nostro Movimento avevano abitudini malsane, ma le hanno abbandonate tutte.

Molti credono sia impossibile vivere senza mangiare carne, avere rapporti sessuali illeciti, assumere sostanze inebrianti e giocare d’azzardo. Un famoso nobiluomo inglese chiese a uno dei miei fratelli spirituali: “Puoi aiutarmi a diventare brahmana?” Il mio confratello rispose: “Certo, non è difficile. Devi solo rinunciare agli intossicanti, al sesso illecito, al gioco d’azzardo e al consumo di carne.” Il nobile ribatté: “Impossibile! Quella che mi proponi non è vita!”

In effetti, abbiamo notato che nei Paesi occidentali gli anziani non riescono a lasciare le cattive abitudini e ne soffrono, mentre molti ragazzi e ragazze se ne sono già liberati e non soffrono più. Questi sono i vantaggi della coscienza di Krishna, una strada aperta a tutti.

Si può raggiungere la perfezione semplicemente applicando le istruzioni della Bhagavad-gita, un libro di cui il mondo intero ha sentito parlare. Non è necessario abbandonare le proprie responsabilità. Maharaj Ambarish era un imperatore che amministrava un grande regno, eppure aveva la mente assorta in Krishna. Se ascoltiamo le glorie di Krishna e ne parliamo, vinceremo la sofferenza e giungeremo al piano che il Vedanta-sutra definisce anandamayo ‘bhyasat. Sia Krishna che l’anima individuale sono ananda-maya, pieni di felicità trascendentale. Non si tratta di esibire poteri magici; la più grande magia è liberarsi dalla sofferenza, ed è questa la libertà del devoto.

Se il nostro desiderio di parlare e sentir parlare di Krishna cresce, allora stiamo avanzando sulla giusta via e soffriremo sempre meno. Questo è l’effetto pratico del servizio devozionale, che Sri Kapila sta illustrando a Sua madre.

Le caratteristiche di un sadhu

verso 24 ta ete sadhavah sadhvi, sarva-sanga-vivarjitah

sangas tesv atha te prarthyah, sanga-dosa-hara hi te

O madre virtuosa, queste sono le qualità dei grandi devoti liberi da ogni attaccamento materiale. Devi affezionarti a queste persone sante, perché solo così potrai neutralizzare gli effetti dannosi provocati dall’attrazione per la materia.

Kapila Municonsiglia a Sua madre Devahuti di svincolarsi dall’attrazione per la materia coltivando affetto per i sadhu, che ne sono liberi. La Bhagavad-gita (15.5) definisce questi devoti nirmana-moha ji ta-sanga-dosah, totalmente immuni dall’orgoglio che nasce dal possedere beni materiali.

Si può anche essere facoltosi e rispettabili, ma chi vuole trasferirsi nel mondo spirituale, il regno di Dio, deve liberarsi dal falso senso di possesso, perché si tratta di una condizione illusoria.

In questo contesto il termine moha indica l’illusione implicita nei concetti di ricchezza e povertà. Quaggiù tali concetti, come ogni altro stato di coscienza connesso alla vita condizionata, sono falsi, perché il corpo è transitorio. L’anima che si prepara a uscire dalla schiavitù materiale deve in primo luogo sottrarsi all’influsso dei tre guna (virtù, passione e ignoranza), che ora inquinano la sua coscienza.

La Bhagavad-gita suggerisce di liberarsene, e lo Srimad-Bhagavatam conferma che i devoti pronti a tornare nel regno spirituale li hanno trascesi. Bisogna quindi cercare la loro compagnia, ed è in quest’ottica che abbiamo fondato l’Associazione Internazionale per la Coscienza di Krishna.

Nella società esistono molte istituzioni commerciali, scientifiche, umanitarie e di altro genere, che permettono di acquisire una certa educazione o consapevolezza, ma non ce n’è una che aiuti le persone a liberarsi dall’attaccamento alla materia.

Chi vuole superare questo condizionamento deve cercare la compagnia di coloro che praticano la coscienza di Krishna.

Avendo trasceso i tre guna, un sadhu non è colpito dalle sofferenze dell’esistenza materiale anche se vive a contatto con la materia. Com’è possibile? Citiamo l’analogia della gatta che afferra con i denti sia i cuccioli che i topi. Mentre i cuccioli si sentono al sicuro nella bocca della madre, i topi vi percepiscono l’alito della morte. Analogamente, il sadhu non avverte le sofferenze materiali perché è assorto nel sublime servizio al Signore, mentre l’asadhu, il non-devoto, le patisce tutte perché è lontano dalla coscienza di Krishna.

Se vogliamo quindi favorire il nostro progresso spirituale, dobbiamo rinunciare alla compagnia dei materialisti e frequentare le persone impegnate nella coscienza di Krishna, perché grazie alle loro istruzioni saremo in grado di troncare l’attaccamento all’esistenza materiale.

Nella nostra era, il Kali-yuga, prevalgono le influenze dannose della passione e dell’ignoranza (rajo-guna e tamo-guna), e l’influsso della virtù (sattva-guna) è praticamente assente. Notiamo infatti che sensualità,avidità e illusione non risparmiano quasi nessuno. Il modo per affrancarsi dal condizionamento dei tre guna è spiegato chiaramente nel quattordicesimo capitolo della Bhagavad-gita e Kapiladeva consigliò

Devahuticome segue:”Madre, se vuoi liberarti dal giogo nefasto delle tre influenze materiali, devi cercare la compagnia di un sadhu.

La causa della nostra schiavitù è l’attrazione per i guna, e se rivogliamo la nostra libertà non abbiamo altra scelta che spostare l’attrazione verso un sadhu. Tutti sono attratti da qualcosa, nessuno può dire di non esserlo. I mayavadi e i buddisti predicano il distacco fine a se stesso, ma raggiungerlo è impossibile. Per esempio, ai bambini piace giocare, ma se si vuole che acquisiscano un’istruzione, questa loro tendenza dev’essere indirizzata gradualmente verso la lettura e lo studio.

Non si tratta perciò di azzerare il desiderio, ma di trasferirlo; chi cerca di cancellarlo impazzirà. Occorre solo cambiare l’oggetto del desiderio.

Noi chiediamo ai nostri discepoli di non mangiare più la carne, ma come possono smettere? Gustando prelibatezze come kaciori e rasgu/la.t così che il distacco diventa facile e naturale: il gusto inferiore va sostituito con il gusto superiore. Non si tratta di

forzare, ma di procedere con gradualità. Quando il nostro cuore, ora pieno di desideri materiali, sarà purificato, la coscienza di Krishna si risveglierà spontaneamente, perché è innata in noi.

Come sostituire quindi il desiderio materiale col desiderio per Krishna? Il metodo è sadhu-sanga, la compagnia dei sadhu. Abbiamo molti desideri e non possiamo annullarli, dobbiamo solo purificarli. Se un occhio è malato, espiantarlo non è certo la soluzione migliore; bisogna curare la malattia. Se si è formata una cataratta, rimuovendola si restituisce la vista al paziente. Tutti i nostri desideri vanno dunque incanalati nel servizio a Krishna.

Per esempio, a una persona che vuole guadagnare, Krishna dice: “Continua pure i tuoi affari, non c’è nulla di male, ma offri i risultati a Me.” Nella Bhagavad-gita (9.27) leggiamo: “Qualunque cosa tu faccia, mangi, sacrifichi o prodighi, qualsiasi austerità pratichi, che sia un’offerta a Me, o figlio di Kunti.

Se ci occupiamo di affari e accumuliamo denaro, dovremmo spenderlo per Krishna. Questa è una forma di bhakti. Un altro esempio è Arjuna, un guerriero, che diventò un grande devoto combattendo nella battaglia di Kurukshetra. Krishna gli aveva consigliato di combattere e all’inizio Arjuna aveva esitato, perché essendo un vaishnava tendeva naturalmente a non danneggiare nessuno.

Tuttavia, obbedì all’ordine di Krishna, benché non desiderasse affatto impegnarsi nello scontro. Quando un vaishnava sa che il Signore vuole da lui un determinato servizio, mette da parte ogni considerazione personale. Ognuno di noi ha un dovere specifico, e se lo svolgiamo per la soddisfazione di Krishna, la nostra vita sarà perfetta. Questo è anche l’insegnamento dello Srimad-Bhagavatam (1.2.13): “La perfezione più alta si raggiunge compiendo i doveri prescritti, secondo la propria posizione sociale e spirituale, per la gioia di Dio, la Persona Suprema.

Un tempo il varnashram-dharma era l’ordinamento pubblico predominante e ognuno aveva un dovere specifico, relativo alla posizione che occupava nell’ambito della società. Oggi questo sistema non esiste più, ma qualunque sia la nostra attività

-ingegneri, operai, medici, commercianti o altro-dobbiamo solo sforzarci di servire Krishna offrendoGli i frutti del nostro lavoro: questa è la bhakt. Distogliere le persone dalle loro occupazioni non è la filosofia della coscienza di Krishna; ciascuno deve svolgere il proprio dovere senza mai dimenticare Krishna . Egli stesso lo raccomanda nella Bhagavad-gita (8.7).

Ovviamente, non dobbiamo agire a capriccio, ma secondo le Sue istruzioni o quelle del Suo rappresentante. Se facciamo una sciocchezza e pensiamo di offrirGliela, Lui non l’accetterà. L’azione dev’essere sancita da Krishna o dal Suo rappresentante. Arjuna non intraprese il combattimento senza l’approvazione divina, e noi dobbiamo seguire il suo esempio, ma potremmo domandarci : “Se non vedo Dio, come posso eseguire i Suoi ordini?” Ecco allora che interviene il sadhu e trasmette gli ordini di Krishna in quanto Suo rappresentante. Kapiladeva consiglia dunque a Sua madre di cercare un sadhu.

Abbiamo già descritto le caratteristiche del sadhu e chiarito che lo si riconosce dalle sue qualità. Non dobbiamo accettare chiunque si faccia passare per sadhu senza averne le qualifiche, né seguire chi sostiene di essere un avatara. Le caratteristiche di Dio sono elencate con chiarezza nelle Scritture vediche. Sadhu-sanga, la compagnia dei devoti, è quindi essenziale nella coscienza di Krishna.

In questo mondo si soffre per l’influsso della passione e dell’ignoranza, e il sadhu insegna come restare sul piano della virtù coltivando la veridicità, la pulizia, il controllo della mente e dei sensi, la semplicità, la tolleranza, la fede e la conoscenza. Invece di pensare “impazzisco se non bevo alcolici”, è meglio pensare “impazzisco se non ho la compagnia di un sadhu”. Questa modalità di pensiero conduce alla liberazione.

Chaitanya Mahaprabhu dichiara che il Suo desiderio sarà soddisfatto quando in ogni città e villaggio del mondo sorgeranno centri della coscienza di Krishna, dove tutti potranno beneficiare della compagnia dei sadhu e sviluppare le loro stesse qualità. Questa è la missione del nostro Movimento.

Non dobbiamo far altro che sottoporci di buon grado ad alcune austerità. All’inizio può sembrare difficile, anche un po’ penoso, astenersi dal consumo di carne, dal sesso illecito, dalle sostanze inebrianti e dal gioco d’azzardo, ma dobbiamo tollerare come si tollera una dolorosa operazione chirurgica necessaria per guarire da una malattia. Dobbiamo inoltre sviluppare compassione per le anime condizionate e andare di città in città per illuminarle sulla coscienza di Krishna.

Questo è il dovere di un sadhu. Il predicatore è superiore a chi sceglie di meditare sull’Himalaya. t bello meditare in solitudine, ma è ancor più bello affrontare grandi difficoltà in nome della predica, perché ciò equivale a combattere per Krishna ed è senz’altro un sintomo di compassione.

Un sadhu che lascia il santo luogo di Vrindavana per girare il mondo e diffondere la coscienza di Krishna è certamente di qualità superiore. Questo è anche il giudizio espresso da Krishna nella Bhagavad­ gita (18.68-69): “Chiunque insegni ai Miei devoti questo supremo segreto ottiene di servirMi con una devozione pura e alla fine torna a Me. In questo mondo nessuno Mi è più caro d1 lui e mai nessuno Mi sarà più caro.”

Se vogliamo che Krishna ci riconosca al più presto, dobbiamo diventare predicatori. Questo è anche il messaggio di Chaitanya Mahaprabhu: non dobbiamo restare in India, ma viaggiare da un capo dall’altro del mondo per diffondere la coscienza di Krishna. Un sadhu vuole il bene di tutti, non solo quello della propria nazione o di qualche comunità specifica; è addirittura il benefattore dei cani e dei gatti perché li nutre con del cibo offerto a Krishna (prasada ). Una volta, mentre i devoti viaggiavano dal Bengala per recarsi da Sri Chaitanya, un cane iniziò a seguirli, e Shivananda Sena, il capo-carovana, gli diede un po’ del suo prasada.

Quando si trovarono a dover attraversare un fiume, il barcaiolo rifiutò di prendere a bordo il cane, ma Shivananda Sena gli offrì qualche moneta in più e gli disse: “Per favore, porta anche lui. Visto che si è unito a noi, lo consideriamo un vaishnava. ” In seguito, Chaitanya Mahaprabhu diede personalmente un po’ del Suo cibo al cane, che a tempo debito raggiunse Vaikuntha, il mondo spirituale.

Il sadhu è sempre sereno, desidera il bene di tutti e non è nemico di nessuno.

Queste sono le sue caratteristiche. Inoltre, ama solo Krishna pur rispettando gli esseri celesti, di cui conosce la posizione rispetto al Supremo. Nella Brahma-samhita (5.44) la dea Durga, personificazione della potenza esterna del Signore, viene glorificata come segue: “La potenza esterna, maya, l’ombra naturale della sublime potenza cit, è venerata da tutti come Durga, colei che crea, preserva e distrugge l’universo materiale. Adoro Govinda, il Signore primordiale, al cui volere Durga conforma ogni sua azione.

La dea Durga è così potente da creare, mantenere e distruggere, ma non può agire autonomamente. È l’ombra di Krishna. Il sadhu sa che la natura (prakrit1) opera sotto il controllo del Signore come un agente di polizia esegue gli ordini del governo. Come il poliziotto, anche Durga ha un certo potere, ma non detiene il controllo supremo e ne è consapevole. Dio ha infinite energie e lei è una di queste. Esistono milioni di Durga, milioni di Shiva, di deva e di universi, ma c’è un solo Dio che può espanderSi in milioni d1 forme.

Il devoto rispetta gli esseri celesti (deva) in quanto assistenti di Dio e non detentori del sommo potere, ma le persone di scarsa intelligenza conferiscono loro una posizione suprema perché non conoscono Dio nella Sua realtà. Krishnas tu bhagavan svayam.

Un sadhu, cioè un vaishnava, ha rispetto per tutti, ma è pronto a sciogliere ogni legame materiale per amore di Krishna. Gli piace parlare e sentir parlare solo dei Suoi divertimenti, come le lotte con i demoni e la loro uccisione, i giochi con le gopi e i gopa di Vrindavana , e le Sue gesta regali a Dvaraka. Numerosi sono 1 libri che trattano di Lui, e il Movimento per la coscienza di Krishna ne ha già pubblicati molti. Vi basterà ascoltarne gli insegnamenti per provare subito un senso di sollievo dalle sofferenze dovute al condizionamento materiale.

Le qualità d1 un sadhu si manifesteranno in noi quando non avremo più desideri materiali. Allora non ci riterremo più cristiani, musulmani, indù, americani, europei, indiani e via dicendo, ma penseremo: “Sono il servitore di Krishna.” Sri Chaitanya Mahaprabhu insegna: “Non sono brahmana, ksatriya , vaisya, sudra, brahmachari, grihastha , vanaprasta o sannyasi. Sono soltanto il servitore del servitore del servitore di Krishna.” Se davvero vogliamo rendere un servizio utile all’umanità dobbiamo percorrere questo sentiero.

Le caratteristiche di un sadhu

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