Visitatori dall’aldilà

Visitatori dall’aldilà

“0 figlio di Kunti, lo stato di coscienza di cui si conserva il ricordo all’istante di lasciare il corpo determina la condizione di esistenza futura.”

Bhagavad-gita 8.6

L’anima che dopo la morte intraprende il suo misterioso viaggio può, secondo le grandi tradizioni religiose del mondo, incontrare esseri appartenenti ad altre dimensioni —angeli che l’aiutano o giudici che valutano le sue buone e cattive azioni sulla bilancia della giustizia cosmica. Fin dagli albori della storia umana un’immensa varietà di opere d’arte sacra evoca questi scenari.

Per esempio, l’immagine dipinta su un frammento di ceramica etrusca ritrae una figura angelica che assiste un guerriero ferito, mentre un mosaico cristiano del medioevo rappresenta un San Michele truce che tiene tra le mani la bilancia della giustizia. Molte persone che hanno avuto esperienze di premorte dicono di aver incontrato esseri come questi.

Le Scritture vediche dell’India ci rivelano l’esistenza dei servitori di Vishn, che si manifestano in punto di morte per accompagnare le anime pure fino al mondo spirituale, e menzionano anche gli orrendi servitori di Yamaraj, il signore della morte, che prendono con la forza l’anima di un peccatore e la preparano alla sua prossima incarnazione nella gabbia di un corpo materiale.

Il racconto storico che segue vede i servitori di Vishnu e quelli di Yamaraj discutere la sorte dell’anima di Ajamil per decidere se dev’essere liberata 0 reincarnata.

Nella città di Kanyakubja viveva un giovane e santo brahmano di nome Ajamil, che invaghitosi di una prostituta deviò dal sentiero spirituale e perse ogni buona qualità. Dopo aver abbandonato i suoi doveri sacerdotali visse di ruberie e gioco d’azzardo, trascorrendo così un’esistenza dissoluta. A ottantotto anni aveva dieci figli concepiti con la prostituta; l’ultimo, ancora piccolo, si chiamava Narayana —uno dei nomi di Vishnu, il Signore Supremo.

Ajamil era molto affezionato al bambino, e osservarlo mentre cominciava a parlare e a camminare gli dava un grande piacere.

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Un giorno la morte si presentò ad Ajamil senz’alcun preavviso. Terrorizzato, il vecchio vide davanti a sé tre personaggi sinistri col volto deformato e l’espressione minacciosa. Quegli esseri incorporei armati di corde erano venuti per trascinarlo con la forza alla corte di Yamaraj.

Dinanzi a tali creature demoniache il povero Ajamil perse la testa, e in uno slancio d’affetto per il suo adorato bambino che giocava poco distante, iniziò a chiamarlo a squarciagola: “Narayana! Narayana!” Con gli occhi pieni di lacrime, piangendo per il figlioletto, il grande peccatore pronunciò inconsciamente il santo nome del Signore.

Nell’udire Ajamil che proferiva il nome del loro Maestro con grande trasporto, i Vishnuduta (servitori di Vishnu) arrivarono all’istante. Sembravano Vishnu stesso, perché avevano occhi simili ai petali del fiore di loto e indossavano caschi d’oro e abiti di seta brillante color topazio.

Collane di zaffiri e ghirlande di fiori di loto bianchi come il latte ornavano i loro corpi perfettamente formati. Giovani e vigorosi, i quattro agenti del Signore emanavano una radiosità accecante, che dissipò le tenebre della camera dove Ajamil giaceva in punto di morte. Nelle quattro mani tenevano archi e frecce, spade, conchiglie, mazze, dischi e fiori di loto.

Quando videro i servitori di Yamaraj che strappavano l’anima di Ajamil dal suo cuore, tuonarono: “Fermatevi!”

Gli Yamaduta, che mai prima di allora avevano incontrato opposizioni, nel sentire il tono duro e autoritario dei Vishnuduta cominciarono a tremare. “Chi siete? Perché cercate di fermarci?” chiesero. “Siamo i servitori di Yamaraj, il signore della morte!”

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Gli agenti di Vishnu sorrisero e parlarono con voce profonda come il rombo delle nuvole scure: “Se siete davvero i servitori di Yamaraj, dovete spiegarci il significato della ruota di nascite e morti. Diteci: per chi deve girare questa ruota e per chi no?”

Gli Yamaduta risposero: “Il sole, il fuoco, lo spazio, l’aria, gli esseri celesti, la luna, la sera, la notte, le direzioni, l’acqua, la terra e l’Anima Suprema, cioè il Signore nel cuore, sono testimoni delle azioni di ogni essere. I candidati al castigo rappresentato dalla dolorosa ruota di nascite e morti sono coloro che i testimoni appena menzionati giudicano negligenti nei doveri religiosi.

Ogni essere deve quindi raccogliere, nella prossima vita, i frutti buoni e cattivi del suo karma, calcolati sulla base degli atti religiosi e irreligiosi compiuti nella vita presente.”

In origine, ogni essere è un eterno servitore di Dio nel mondo spirituale, ma quando lascia questa posizione deve entrare nell’universo di materia, governato dagli influssi della virtù, della passione e dell’ignoranza.

Gli Yamaduta spiegarono che le anime desiderose di godere del mondo materiale finiscono sotto il controllo di questi tre influssi e acquisiscono corpi che sono la diretta conseguenza del rapporto stabilito con essi. Chi è influenzato dalla virtù ottiene il corpo di un essere celeste, chi è spinto dalla passione riceve un corpo umano e chi subisce l’ignoranza scivola nelle specie inferiori.

Tutti questi corpi sono come quelli che percepiamo in sogno. Quando dormiamo, dimentichiamo la nostra vera identità e possiamo anche sognare di diventare grandi re. Non riusciamo però a ricordare quanto abbiamo fatto prima di addormentarci, né a immaginare cosa faremo al nostro risveglio.

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Analogamente, quando l’anima s’identifica col corpo materiale temporaneo dimentica la sua vera identità spirituale, come pure le sue vite precedenti in questo mondo, anche se la maggior parte di coloro che hanno un corpo umano è già passata attraverso gli otto milioni e quattrocentomila specie di vita esistenti.

Gli Yamaduta continuarono: “L’anima trasmigra così da un corpo materiale all’altro diventando un uomo, un animale 0 una personalità celeste. Quando riceve un corpo superiore si sente felice, quando riceve un corpo umano è sballottato tra la gioia e il dolore, e quando ottiene il corpo di un animale vive nella paura costante.

Purtroppo, in qualunque condizione si trovi è costretta a subire i mali della nascita, della malattia, della vecchiaia e della morte. La sua sfortuna porta il nome di samsara, “trasmigrazione dell’anima attraverso le differenti specie di vita materiale.”

“Nella sua stupidità,” proseguirono gli Yamaduta, “l’anima incarnata che non domina la mente e i sensi è spinta, anche contro la sua volontà, ad agire sulla base delie tre influenze materiali (guna). Come un baco da seta forma con la propria secrezione un bozzolo in cui resta intrappolato, così l’anima si crea una rete di attività interessate da cui non riesce più a districarsi; è quindi sempre in ansia e non fa che nascere e morire ripetutamente.

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“A causa dei suoi intensi desideri materiali rinasce allora in una famiglia specifica e ottiene un corpo somigliante a quello del padre e della madre. Quel corpo è in un certo senso l’indizio dei suoi corpi passati e futuri, come una primavera è l’indizio delle primavere passate e future.”

La forma umana ha un valore molto speciale, perché solo un essere umano può acquisire la conoscenza spirituale capace di liberarlo dal ciclo di nascite e morti. Ajamil aveva però sprecato la sua vita.

Gli Yamaduta aggiunsero: “Inizialmente Ajamil aveva studiato tutte le Scritture vediche. Perfetto nel comportamento, ricco di buone qualità, dolce e modesto, dominava la mente e i sensi. Sempre veritiero, sapeva cantare i mantra vedici, era puro e mostrava il dovuto rispetto al maestro spirituale, agli ospiti e ai membri più anziani della famiglia. Era totalmente libero dalla vanagloria, benevolo verso ogni creatura e mai invidioso.

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“Un giorno, ligio all’ordine di suo padre, Ajamil andò nella foresta per cogliere qualche frutto e dei fiori, e sulla via del ritorno s’imbatté in un uomo lussurioso e volgare che abbracciava e baciava senz’alcun ritegno una prostituta.

L’uomo, ubriaco, rideva, cantava e godeva con la prostituta, anche lei ubriaca, come se nulla fosse. Gli occhi della donna roteavano per l’ebbrezza e il suo abito discinto lasciava esposte alcune parti del corpo. Nel vederla, Ajamil sentì risvegliarsi il desiderio sessuale e in preda all’illusione perse l’autocontrollo.

Cercò allora di ricordare le istruzioni delle Scritture, e con l’ausilio della conoscenza provò a dominare la lussuria, ma colpito in pieno dalle frecce di Cupido non fu capace di governare la mente.

“Dopo quell’incontro non fece che pensare alla prostituta e ben presto la impiegò come domestica in casa sua. Abbandonò quindi tutte le pratiche spirituali e spese il denaro ereditato dal padre in regali per lei. Giunse addirittura a ripudiare la giovane e bella moglie, proveniente da una famiglia rispettabile.

“Questo mascalzone si è procurato il denaro con ogni mezzo, lecito o illecito, e lo ha usato per mantenere la prostituta e i figli avuti da lei. Non ha espiato i suoi peccati prima della morte, perciò dobbiamo condurlo alla corte di Yamaraj. Là dovrà subire un castigo commisurato alla gravità delle sue colpe, dopodiché tornerà in questo mondo con un corpo adatto.”

Ascoltate le parole degli Yamaduta, i servitori di Vishnu, esperti nel ragionamento logico, replicarono: “Com’è doloroso vedere che le persone incaricate di onorare i princìpi religiosi puniscono senza ragione un innocente!

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Ajamil ha già espiato tutti i peccati commessi in questa vita. In realtà, ha espiato anche quelli commessi in milioni di vite passate, perché all’istante della morte ha cantato il santo nome di Narayana in una condizione di totale impotenza. Ora è puro e pronto per essere liberato dal ciclo della reincarnazione.”

“Il canto del santo nome di Vishnu,” proseguirono i Vishnuduta, “è il miglior processo di espiazione per un ladro e un ubriaco, per chi tradisce un amico o un parente, per chi uccide un sacerdote o ha un rapporto sessuale con la moglie del suo maestro spirituale o di un altro superiore. È il miglior metodo di espiazione anche per chi uccide una donna, il sovrano o il proprio padre, per chi macella le mucche e per ogni altro peccatore.

Semplicemente cantando il santo nome di Vishnu tutti questi malfattori attirano l’attenzione del Signore Supremo, che ritiene sia un dovere accordare protezione a chi ha cantato il Suo santo nome.”

Nell’attuale era di discordia e ipocrisia, chi vuole liberarsi dal ciclo della reincarnazione deve cantare il maha-mantra

HARE KRISHNA HARE KRISHNA KRISHNA KRISHNA HARE HARE HARERAMA HARE RAMA RAMA RAMA HARE HARE

definito il grande mantra della liberazione, perché purifica completamente il cuore da tutti i desideri materiali, responsabili dell’incatenamento dell’anima al ciclo di nascite e morti.

I Vishnuduta aggiunsero: “Cantando il santo nome del Signore, anche in tono scherzoso o per divertirsi con un po’ di musica, si è subito affrancati dalle conseguenze di un numero infinito di peccati. Le Scritture e tutti i grandi eruditi lo confermano.

“Se una persona canta il santo nome di Krishna e poi muore in un incidente 0 per malattia, oppure perché aggredito da un animale feroce 0 ucciso da un’arma, è immediatamente esonerato dal dover prendere un’altra nascita. Come il fuoco riduce in cenere l’erba secca, il nome di Krishna riduce in cenere tutte le reazioni del karma.

“Se una persona, volente 0 nolente, assume un farmaco senza conoscerne l’efficacia, il farmaco agirà a prescindere dalla sua ignoranza. Così, anche se non si conosce il valore del canto del santo nome, tale canto avrà comunque l’effetto di liberarci dal ciclo della reincarnazione.

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“In punto di morte Ajamil, disperato, ha proferito il santo nome del Signore, Narayana, e questo è sufficiente a esonerarlo dall’obbligo di reincarnarsi. Non provate dunque a portarlo dal vostro capo per sottoporlo a punizione imprigionandolo in un altro corpo materiale.”

I Vishnuduta liberarono quindi Ajamil dalle corde dei servitori di Yamaraj. Superata la paura, l’uomo riprese coscienza e offrì un sentito omaggio agli agenti di Vishnu prosternandosi ai loro piedi. Quando però essi videro che cercava di dire qualcosa, scomparvero.

“Ho sognato o era tutto vero?” si chiese Ajamil. “Ho visto degli esseri spaventosi che volevano trascinarmi via con delle corde. Dove sono andati? E dove sono i quattro personaggi luminosi che mi hanno salvato?”

Cominciò allora a riflettere sulla sua vita: “Quanto mi sono degradato per servire i miei sensi! Sono caduto dalla mia posizione di santo brahmano e ho avuto dei figli con una prostituta dopo aver ripudiato la mia giovane, bella e casta moglie.

Per di più, mio padre e mia madre erano anziani, e non avevano nessuno che potesse accudirli oltre me. La mia indifferenza ha reso la loro vita difficile e dolorosa. È ovvio che un simile peccatore avrebbe dovuto patire grandi sofferenze nella vita futura.

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“Sono molto sfortunato, ma adesso che ho un’altra possibilità, devo tentare di liberarmi dal circolo vizioso di nascite e morti.”

Ajamil lasciò la prostituta e partì per Hardwar, un luogo di pellegrinaggio tra i monti dell’Himalaya. Là trovò rifugio in un tempio di Vishnu, dove praticò il bhakti- yoga, il servizio devozionale al Signore Supremo. Quando la sua mente e la sua intelligenza si concentrarono in perfetta meditazione sulla forma del Signore, egli vide davanti a sé quattro esseri celesti, e riconoscendo in loro gli stessi Vishnuduta che lo avevano salvato dagli agenti della morte, offrì i suoi rispettosi omaggi.

Fu ad Hardwar, sulle rive del Gange, che Ajamil lasciò il corpo materiale temporaneo e riprese la sua forma spirituale eterna. Accompagnato dai Vishnuduta, salì a bordo di un vascello spaziale dorato, e viaggiando attraverso l’etere raggiunse direttamente la dimora di Vishnu per non reincarnarsi mai più in questo mondo.

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