DOMANDE PERTINENTI

Domande Pertinenti

Nonostante i media siano in genere ossessionati dalla violenza e dalla morte, la nostra percezione della morte è superficiale. Srlla Prabhupàda osserva: “Finché possiede il pieno vigore della vita, l’uomo dimentica la nuda verità della morte che deve incontrare.” Come possiamo prepararci alla morte? In questo articolo che apparve in una delle prime edizioni della rivista Back to Godhead, del 20 aprile 1960, Srila Prabhupàda spiega in che modo gli antichi insegnamenti dello Srimad Bhagavatam offrono una risposta pratica.

Un bambino rivolge continuamente domande al padre quando passeggia con lui. Queste domande riguardano gli argomenti più insoliti e il padre deve soddisfarlo con risposte logiche. Quando ero un giovane padre di famiglia, il mio secondogenito e costante compagno mi assillava con un fiume di domande.

Un giorno, sul tram, mentre stavamo incrociando un corteo nuziale, mio figlio, di quattro anni, m’interrogava su cosa fosse quella processione, e io rispondevo pazientemente ai suoi mille “perché”, finché mi domandò se suo padre fosse sposato! Questa domanda sollevò l’ilarità delle persone attorno a noi, mentre il bambino, perplesso, si domandava perché tutti quei signori ridessero in quel modo. Ma alla fine la risposta di suo padre, debitamente sposato, riuscì in qualche modo a soddisfarlo.

Questo breve episodio illustra chiaramente che l’uomo, questo animale dotato di ragione, viene al mondo per porre domande. Più domande fa e più progredisce nel campo della conoscenza e della scienza. Tutta la civiltà si è sviluppata a partire dalle innumerevoli domande che le giovani generazioni hanno rivolto agli anziani.

Le risposte che gli anziani danno ai più giovani permettono alla civiltà di progredire passo dopo passo. Tuttavia, l’uomo veramente intelligente s’interroga su ciò che accade dopo la morte con domande sempre più approfondite, mentre altri, meno intelligenti, si soffermano su domande di minore importanza.

DOMANDE PERTINENTI

Uno degli uomini più intelligenti fu Maharaja Pariksit, grande re che regnava un tempo su tutto il pianeta. Un giorno, per leggerezza, un brahmano, gli lanciò una maledizione: sarebbe morto entro sette giorni per il morso di un serpente. Il brahmano responsabile di questo grave errore era un giovane ragazzo che possedeva però grandi poteri; poiché ignorava l’importanza di questo grande re, gli lanciò stupidamente una maledizione che gli sarebbe stata fatale entro sette giorni.

Più tardi, suo padre, che era stato insultato dal re, avrebbe deplorato l’accaduto. Quando il re fu informato della funesta maledizione che incombeva su di lui, lasciò immediatamente il palazzo e si recò sulle rive del Gange, non lontano dalla capitale, per prepararsi alla morte imminente. Conoscendo il suo grande valore, quasi tutti i saggi e gli eruditi del tempo si riunirono attorno al re che digiunava e aspettava l’istante in cui avrebbe dovuto lasciare il corpo materiale.

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Infine, Sukadeva GosvàmI, il più giovane tra i santi personaggi dell’epoca, arrivò sul luogo e fu designato all’unanimità per presiedere a quell’assemblea, sebbene fosse presente anche il suo illustre padre. Il re offrì rispettosamente a éukadeva GosvàmI il seggio d’onore e gli rivolse domande pertinenti sulla sua dipartita da questo mondo, che avrebbe avuto luogo sette giorni più tardi.

Queste furono le domande che Maharaja Pariksit, il degno discendente dei Pandava, tutti grandi devoti del Signore, rivolse all’illustre saggio Sukadeva GosvàmI: “O saggio, tu che sei il più grande degli spiritualisti realizzati, imploro con sottomissione il favore d’interrogarti sul mio dovere presente. Mi trovo alle soglie della morte; che cosa devo fare in quest’ora critica? Maestro, dimmi, ti prego, che cosa devo ascoltare?

A chi devo rivolgere la mia adorazione? Chi devo ricordare? Un grande saggio come te non si attarda di certo nella dimora di un uomo di famiglia, perciò la tua presenza in questo luogo, all’istante della mia morte, indica sicuramente la mia buona fortuna. Ti prego, dunque, istruiscimi con i tuoi consigli in questo momento critico.”

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A questa richiesta formulata dal re con tanta affabilità, il grande saggio Sukadeva Gosvàmi, degno figlio di Bàdaràyana, o Vyàsadeva, che aveva compilato in origine le Scritture vediche e dal quale aveva ereditato la grande erudizione spirituale e tutte le qualità divine, gli rispose con queste parole autorevoli: “O re, la tua domanda è pertinente e mira inoltre al beneficio di tutti gli uomini.

Queste domande, che sono le più gloriose, hanno grande valore perché sono confermate dagli insegnamenti del vedànta-darsam, la conclusione della conoscenza vedica, e sono chiamate atmavit-sammatah; in altre parole, le anime liberate, che sono pienamente coscienti della loro identità spirituale, pongono domande di questo genere al fine di fare più luce sul tema della Trascendenza”.


Lo Srimad-Bhagavatam è il commento naturale dei celebri Vedànta o (Sàriraka) siitra compilati da Srila Vyàsadeva. Questi testi, che formano l’essenza delle Scritture vediche, espongono in forma sintetica le domande fondamentali che riguardano la conoscenza trascendentale. Ma Srila Vyàsadeva non si sentiva soddisfatto dopo aver scritto quest’opera grandiosa. Nel frattempo incontrò Sri Nàrada, il suo maestro spirituale, che gli consigliò di descrivere ciò che riguarda direttamente Dio, l’Essere Supremo in persona.

Seguendo questo consiglio, Vyàsadeva meditò sul principio del bhakti-yoga, grazie al quale potè distinguere nettamente l’assoluto da maya, ciò che è relativo. Avendo perfettamente realizzato queste verità, egli compilò il grande racconto dello Srimad Bhdgavatam (o meraviglioso Bhàgavatam), che contiene, nella parte iniziale, alcuni episodi storici autentici della vita di Maharaja Pariksit.

DOMANDE PERTINENTI

Il Vedànta-sùtra comincia con una domanda-chiave sulla Trascendenza: athàto brahma-jijnàsà, “ora bisogna interrogarsi sul Brahman, sulla Trascendenza”. Finché è nel pieno del suo vigore, l’uomo dimentica la dura realtà della morte a cui non può sfuggire, perciò non s’interroga sui veri problemi dell’esistenza. Ognuno di noi pensa di non dover mai morire, sebbene a ogni istante la morte si manifesti in modo evidente, proprio davanti ai nostri occhi. Su questa base è possibile distinguere il comportamento umano da quello animale.

La capra, per esempio, non reagirà davanti alla morte imminente, anche se un suo simile viene abbattuto sotto i suoi occhi. Allettata dall’erba fresca che le si offre, la capra attenderà tranquillamente il suo turno, senza muoversi. Ma se un soldato vede che un suo compagno sta per essere ucciso dal nemico, combatte per salvarlo o tenta di fuggire per non fare la stessa fine. Questa è la differenza tra l’uomo e la capra.

L’uomo intelligente sa bene che la morte è nata insieme con lui; infatti sa di morire un po’ a ogni istante e sa che il colpo finale gli sarà dato alla scadenza del tempo a lui concesso. Si prepara dunque per la prossima vita, o meglio, per la sua liberazione, che metterà fine alla condizione morbosa rappresentata dalla ripetizione di nascite e morti.
Lo stolto, invece, ignora che la condizione umana è la conclusione di una serie di nascite e morti che le leggi della natura gli hanno imposto nel passato.

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Ignora che ogni essere vivente è un’anima eterna che non conosce né la nascita né la morte. Nascita, morte, vecchiaia e malattia sono infatti condizioni esterne, imposte all’essere vivente a causa del suo contatto con la natura materiale e a causa della dimenticanza della sua natura divina, eterna, e della sua unità qualitativa col Tutto assoluto.

La condizione umana offre l’opportunità di conoscere questa verità eterna, perciò i primi aforismi del Vedànta-sUtra affermano che l’uomo ha il dovere — adesso che beneficia del privilegio di avere la forma umana — d’interrogarsi sul Brahman, sulla Verità Assoluta.

Gli uomini poco intelligenti non si preoccupano dell’altra esistenza, quella spirituale; preferiscono porre domande senza valore che non riguardano il loro eterno avvenire. Fin dalla tenera infanzia interrogano padre, madre, maestri e professori, libri e altre fonti di conoscenza, ma trascurano le informazioni relative alla vera esistenza.


Come abbiamo visto, Maharaja Pariksit era stato avvertito della sua morte sette giorni prima di morire, perciò aveva immediatamente lasciato il suo palazzo per prepararsi alla fase successiva della sua vita. Il re disponeva dunque di una settimana per prepararsi a incontrare la morte, ma per quanto ci riguarda, sebbene sappiamo per certo che un giorno dovremo morire, non conosciamo la data precisa. Non so se la morte sta per cogliermi in questo momento.

Neanche un grande personaggio come Mahatma Gandhi potè prevedere, cinque minuti prima, che la sua fine era prossima, e le alte personalità che lo attorniavano non poterono, neppure loro, prevedere la sua morte imminente. Eppure tutti questi signori si fanno passare per grandi dirigenti.

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L’ignoranza dei misteri della vita e della morte è ciò che distingue l’animale dall’uomo, perché colui che può essere definito uomo nel vero senso della parola s’interroga sulla sua identità. Da dove veniamo e dove andremo dopo la morte? Perché dobbiamo subire i disagi provocati dalle tre forme di sofferenza senza desiderarli? Le domande cominciano a sorgere fin dall’infanzia e si succedono durante il corso di tutta la vita.

Alcuni, però, non s’interrogano mai sui problemi fondamentali dell’esistenza e scendono così allo stesso livello degli animali. Infatti, non esiste alcuna differenza tra l’uomo e l’animale per quanto riguarda le quattro attività principali della vita animale: ogni essere vivente, per sopravvivere, deve mangiare, dormire, difendersi e accoppiarsi. Ma solo la condizione umana è destinata alla ricerca della vita eterna e della Trascendenza. Questa ricerca deve guidare i passi dell’uomo, e il Vedànta-sùtra sottolinea che bisogna farla adesso o mai più.

Colui che non rivolge domande relative alla vita spirituale ricadrà sicuramente nel regno animale secondo le leggi della natura. Perciò, anche se uno sciocco sembra che abbia grande conoscenza nel campo della scienza materiale — cioè nell’arte di mangiare, dormire, accoppiarsi e difendersi — non potrà sfuggire alle mani crudeli della morte: questa è la legge della natura.

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Questa legge funziona secondo tre influenze — virtù, passione e ignoranza. Le persone guidate dalla virtù si qualificano per l’esistenza spirituale, di ordine superiore, quelle dominate dalla passione conservano la posizione che occupano nel mondo materiale, e quelle avvolte dall’ignoranza cadranno certamente tra le specie inferiori.


Le strutture stesse della nostra società moderna corrono grandi rischi perché non includono le risposte alle domande principali, che riguardano gli aspetti essenziali dell’esistenza. Gli uomini non sanno che come animali saranno giustiziati dalle leggi della natura. Essi sono soddifatti con una manciata d’erba verde, nella forma della cosiddetta bella vita, proprio come capre che stanno per andare al mattatoio.

Davanti alla gravità dell’attuale condizione umana, noi cerchiamo, col nostro umile sforzo, di salvare la razza umana mediante il messaggio contenuto nella nostra rivista Back to Godhead. Questo tentativo non ha niente di utopistico, e se si può sperare in un’epoca in cui la realtà riprenderà i suoi diritti, questo messaggio ne segnerà l’inizio.

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Si chiama grhamedhl l’uomo che è legato, come la capra destinata al mattatoio, a considerazioni di carattere familiare, sociale, nazionale o umanitario relative ai problemi e alle preoccupazioni della vita animale — mangiare, dormire, difendersi e accoppiarsi — e che non possiede alcuna cognizione nel campo della Trascendenza. Secondo Srl Sukadeva GosvàmI, quest’uomo non è migliore di un animale.

Colui che è animato da preoccupazioni di carattere materiale, e quindi temporanee, nel settore della medicina, della politica, dell’economia, della cultura, dell’educazione, ecc., ma non si pone le domande fondamentali della vita spirituale, dev’essere considerato come un cieco che, trascinato dai sensi, corre verso un precipizio.

Questa è la descrizione del grhamedhì, che si oppone per definizione al grhastha. Il grhastha-dsrama, che corrisponde a una vita di famiglia spirituale, ha lo stesso valore della rinuncia, purché ci si ponga domande pertinenti; un sannyasi a cui non interessano tali domande è un ciarlatano, mentre un grhastha che si pone questo genere di domande è una persona onesta.

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Quanto al grhamedhì, egli si preoccupa solo dei problemi di carattere animale, ma per la legge della natura la sua vita è solo una serie di disgrazie, mentre quella del grhastha è piena di felicità. Tuttavia, poiché nella società moderna i grhamedhì si fanno passare per grhastha, è importante saper riconoscere la posizione di ciascuno.

Ignorando i princìpi che regolano la vera vita di famiglia, il grhamedhì trascorre la vita nel vizio; non sa che ogni sua azione è controllata da una forza che gli è superiore e inoltre non ha alcuna conoscenza della vita futura.

Cieco riguardo al suo avvenire, egli non è in grado di porsi domande profonde. Le catene dell’attaccamento lo legano a tutto ciò che di falso ha conosciuto durante la vita, ed è questa la sua unica caratteristica. Questi grhatnedhi sprecano le loro notti a dormire o a obbedire ai diversi impulsi sessuali che li conducono ai cinema, ai locali notturni e ai casinò per ubriacarsi e godere senza ritegno della compagnia femminile.

Di giorno perdono il loro tempo prezioso ad accumulare denaro oppure, se hanno abbastanza denaro, ad accrescere le comodità della loro famiglia. Il loro tenore di vita e i loro bisogni personali aumentano in proporzione al loro reddito, e così spendono a non finire, senza mai essere sazi.

In questo modo si spiega la competizione in continuo aumento che si osserva nel quadro dello sviluppo economico, con la conseguenza che l’uomo non può vivere in pace in nessuna parte del mondo.

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Come guadagnare più denaro? Come spenderlo? Queste domande assillano la mente di tutti, ma in fin dei conti è Madre Natura che provvede ai bisogni dell’uomo. I politici con le loro inutili previsioni sono pronti ad accusare la natura quando sopraggiunge una penuria o una calamità voluta dal destino, ma evitano accuratamente di studiare come e da chi sono fatte le leggi della natura.

La Bhagavad-gità insegna che la natura agisce sotto la direzione di Dio, la Persona Suprema e Assoluta. Lui solo ne è il controllore. I materialisti ambiziosi si limitano a studiare alcune leggi della natura, ma non si preoccupano mai di conoscere Colui che le ha create. In realtà, la maggior parte di loro non crede

nell’esistenza di un Essere Assoluto, di un Dio Supremo sotto la cui direzione la natura agisce. Preferiscono interessarsi solo dei princìpi che regolano l’interazione dei differenti elementi, trascurando l’autorità ultima che permette a questi fenomeni naturali di prodursi; in questo campo essi non hanno né domande né risposte valide da offrirci.

Il secondo sutra del Vedànta risponde invece alla domanda essenziale che riguarda il Brahman, affermando che questo Brahman supremo, la Trascendenza suprema, è Colui da cui tutto emana, cioè la Persona Suprema.

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Privo d’intelligenza, non solo il grhamedhì non realizza la natura transitoria del particolare corpo che ha acquisito, ma è anche incapace di vedere nella loro vera prospettiva gli avvenimenti che si susseguono nella sua vita quotidiana. Anche se vede morire suo padre, sua madre, un parente o un vicino, non si preoccupa di sapere se gli altri membri della sua famiglia moriranno a loro volta.

A volte è consapevole che tutti i suoi parenti e amici moriranno un giorno o l’altro, e che lui stesso, la famiglia, la società, la patria e altri simili “scenari” non sono che bolle nell’aria, effimere e senza valore permanente. Ciò nonostante insegue follemente queste condizioni temporanee e non s’interessa affatto dei problemi essenziali.

Non ha la minima idea di ciò che gli accadrà dopo la morte e lavora per migliorare temporaneamente la condizione materiale della sua famiglia, della società o del suo Paese, ma non si preoccupa mai del suo futuro né di quello degli altri, eppure tutti devono incontrare prima o poi la fine della presente vita.

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Su un treno, per esempio, alcuni viaggiatori dividono uno stesso scompartimento, poi si separano e non si rivedono più. La stessa cosa accade per il lungo viaggio della vita. Ognuno riceve un ruolo nell’ambito di una famiglia, di una collettività, di un Paese, ma venuto il momento bisognerà di nuovo separarsi, e per sempre. Il grhamedhi si pone innumerevoli domande che riguardano la sua situazione temporanea nel mondo materiale e la situazione di coloro che, per un certo periodo di tempo, formano il suo “seguito”; ma non s’interroga mai su ciò che è permanente.

Così, dalle nostre rispettive posizioni, siamo tutti occupati a fare progetti che vorremmo fossero permanenti, senza tuttavia sapere ciò che è davvero permanente. A questo proposito Sripàda Sankaràcàrya, che cercò con ogni mezzo di eliminare questa ignoranza dalla società e lottò in favore della conoscenza spirituale basata sul Brahman impersonale e onnipresente, espresse il suo rammarico con queste parole:

“I bambini passano il loro tempo a giocare, i giovani sono occupati con i loro ‘amori’, e gli anziani si domandano con inquietudine come possono rassegnarsi al fallimento di tutta una vita dedicata alla lotta accanita per 1’esistenza. Purtroppo nessuno ha l’intelligenza per interrogarsi sulla scienza del Brahman, la Verità Assoluta”.


Ecco come Srl Sukadeva GosvamI rispose alle domande pertinenti di Maharaja Parlksit:

tasmad bharata sarvatmà

bhagavan Tsvaro harih
srotavyah klrtitavyas ca
smartaryas cecchetdbhayam

“O discendente di Bharata, ogni essere mortale ha il dovere di porre domande che riguardano Dio, di ascoltare ciò che si riferisce a Lui, di glorificarLo e di meditare su di Lui. Tutte le qualità che Egli possiede, e in modo completo, fanno di Lui la Persona più affascinante che ci sia. Il Signore è chiamato Hari perché solo Lui può sciogliere i nodi dell’esistenza condizionata. Se desideriamo sinceramente liberarci da questa esistenza dobbiamo informarci sulla Verità Assoluta con domande pertinenti, in modo che il Signore sia portato ad accordarci la libertà perfetta.” (Srimad-Bhàgavatam 2.1.5)

Sri Sukadeva GosvàmI ha usato in questo verso quattro termini che distinguono Dio, la Persona Suprema, o Parabrahman, dagli altri esseri individuali che fanno tutt’uno con Lui solo sul piano qualitativo. Egli Lo definisce sarvàtmà, onnipresente, perché nessuno è indipendente da Lui, sebbene non tutti lo realizzino.

Grazie alla Sua emanazione plenaria, il Paramàtmà, Dio è nel cuore di ognuno come Anima Suprema e accompagna così le anime individuali che sono tutte unite a Lui da una relazione intima. L’oblìo di questa relazione eterna è la causa del condizionamento a cui gli esseri sono soggetti da tempo immemorabile. Ma poiché il Signore è anche Bhagavàn — l’Essere Sovrano — Egli può rispondere immediatamente all’appello sincero del Suo devoto.

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Inoltre, nella Sua qualità di Essere perfetto, la Sua bellezza, la Sua ricchezza, la Sua gloria, la Sua potenza, la Sua conoscenza e la Sua rinuncia sono altrettante fonti inesauribili di felicità spirituale per l’anima individuale. L’anima subisce il fascino di tutte queste meravigliose qualità quando queste appaiono in modo imperfetto nelle altre anime condizionate, ma delusa da questi riflessi imperfetti cerca continuamente l’Essere perfetto.

Niente può essere paragonato alla bellezza di Dio, alla Sua conoscenza o alla Sua rinuncia. Ma Dio è soprattutto Ytsvara, il controllore supremo. Attualmente siamo controllati dal Suo dipartimento di polizia. Questo avviene perché abbiamo disobbedito alle Sue leggi. Il Signore, però, conosciuto col nome di Hari, può mettere termine a questa esistenza condizionata accordandoci la piena libertà della vita spirituale. Ogni uomo ha dunque il dovere di fare domande pertinenti su Dio e tornare così nel Suo regno.

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