Lo Yoga Del Saggio Kapila

La bhakti: libertà suprema

La bhakti: libertà suprema

verso 31 maitreya uvaca

viditvartham kapilo matur ittham

jata-sneho yatra tanvabhijatah

tattvamnayam yat pravadanti sankhyam

provaca vai bhakti-vitana-yogam

Sri Maitreya disse: Dopo aver ascoltato le parole della madre, Kapiladeva comprese il su stato d’animo e sentì per lei una profonda compassione. Le spiegò allora il sankhya, un sistema filosofico che integra servizio devozionale e yoga della meditazione, così com’era stato trasmesso dalla successione dei maestri spirituali.

Il sankhya del Kapila ateo è un’analisi degli elementi materiali e viene molto apprezzato in Occidente, mentre il sankhya esposto da Kapiladeva, il figlio di Devahuti, tratta del bhakti-yoga ed è praticamente sconosciuto ai filosofi occidentali. Dal verso si evince che per apprendere questo yoga correttamente bisogna rivolgersi a una successione autentica di maestri, evitando di cimentarsi nella speculazione filosofica, un approccio alla Verità del tutto inadeguato. I pensatori occidentali tentano di capire l’Assoluto col metodo ascendente della logica induttiva, ma qui si parla del metodo parampara, cioè della conoscenza che discende da una fonte superiore.

Dopo aver descritto vari sistemi di yoga, la Bhagavad-gita conclude che il bhakti-yoga è il più elevato. In ultima analisi, ogni yoga culmina nel bhakti-yoga. Il traguardo finale deljnana-yoga e dell’hatha-yoga è il bhakti-yoga. Nel sesto capitolo della Gita Krishna parla dell’hatha-yoga, e Arjuna si dichiara incapace di seguire questo metodo. Se l’hatha-yoga era inaccessibile già cinquemila anni fa per un uomo così speciale da avere Krishna come amico, chi potrebbe praticarlo oggi? Arjuna ne riconosce con franchezza l’estrema complessità, dicendo che dominare la mente è più difficile che controllare il vento.

L’hatha-yoga è destinato in particolare a chi si preoccupa eccessivamente del corpo; a tutti gli altri si consiglia il sankhya-yoga, o bhakti-yoga. Quando Arjuna ammise che l’hatha-yoga era troppo difficile, Krishna lo rassicurò come segue: “Chi pensa sempre a Me è lo yogi più elevato.” (Bhagavad-gita 6.47) Non dimentichiamo che Krishna è in noi e pensare sempre a Lui è la meditazione migliore. Cantando il Suo nome Lo ricorderemo, e la Sua forma si rivelerà subito nel nostro cuore.

Il metodo della coscienza di Krishna consiste nel fissare il pensiero su Krishna. Se siamo sempre coscienti di Lui grazie all’ascolto delle Sue glorie, diventeremo senz’altro yogi di prim’ordine.

E’ imperativo ricevere il Signore da una delle quattro successioni di maestri spirituali (sampradaya) esistenti: la Brahma-sampradaya (discendente da Brahma), la Sri-sampradaya (discendente da Lakshmi, la dea della fortuna), la Kumara­ sampradaya (discendente dai quattro Kumara) e la Rudra-sampradaya (discendente da Shiva).Oggi la Brahma-sampradaya è rappresentata dalla Madhva-sampradaya, che risale a Madhvacarya e a cui appartengono sia Madhavendra Puri sia il suo discepolo lshvara Puri.

Sri Chaitanya Mahaprabhu era discepolo di lshvara Puri e noi siamo parte della Sua linea di successione, perciò della Madhva-Gaudiya­ sampradaya. Non abbiamo inventato una sampradaya a nostro uso e consumo, al contrario, la nostra discende da Brahma stesso. Esistono anche la Ramanuja­ sampradaya (discendente dalla Sri-sampradaya) e la Vishnusvami-sampradaya (discendende dalla Rudra-sampradaya).

La Nimbaditya-sampradaya proviene invece dalla Kumara-sampradaya. Se non siamo collegati a una sampradaya, le nostre conclusioni non daranno alcun frutto. Nondobbiamo pensare: “Tutte queste sampradaya sono inutili, perché io sono un grande erudito e posso interpretare la Bhagavad-gita a modo mio.” Non c’è spazio per le interpretazioni personali. Molti sono i commentari ingannevoli che non portano da nessuna parte. La filosofia va accettata così come scaturisce dalla meditazione di Brahma, Narada,Madhvacharya, Madhavendra Puri e lshvara Puri.

Questi grandi acharya trascendono le imperfezioni dei cosiddetti accademici. Gli scienziati e i filosofi materialisti dicono “forse” e “può darsi” perché non sanno trarre le giuste conclusioni. Speculano, ma la speculazione mentale non è mai perfetta.

Il bhakti-yoga è l’ultimo gradino, il più elevato, sulla scala dello yoga. Il primo è il karma-yoga, seguito daljnana-yoga e dal dhyana-yoga. Tutti mirano a raggiungere la Verità Assoluta, ma solo il bhakti-yoga conduce alla realizzazione completa ed è potente anche se compiuto solo in parte. Le altre forme di yoga permettono al massimo una comprensione parziale.

Il bhakti-yoga è raccomandato inoltre dai grandi mahajan, come Brahma, Shiva e Kapiladeva. Poiché il sentiero della perfezione è difficilmente comprensibile, le Scritture consigliano di seguire queste personalità elevate, che sono menzionate nello Srimad-Bhagavatam (6.3.20) come segue: svayambhur naradah sambhuh, kumarah kapilo manuh, prahlado janako bhishmo, balir vaiyasakir vayam. Svayambhu è Brahma, così chiamato perché non concepito da un padre e da una madre, ma apparso dal fiore di loto che emerge dall’ombelico di Vishnu.

Anche Narada Muni e Sambhu (Shiva) sono mahajan. Kumarah si riferisce ai quattro Kumara: Sanaka, Sanandana, Sanatana e Sanat­ kumara. Dodici sono le autorità che seguono il sankhya o bhak ti-yoga, e includono Brahma, Shiva, Kapiladeva, Manu, Bhishmadeva, Janaka Maharaj, Sukadeva Gosvami e Prahlada Maharaj.

È sufficiente accettare uno di questi mahajan per giungere alla comprensione della Verità Assoluta. Se invece tentiamo di conoscerla con la logica e il ragionamento, resteremo delusi. Un filosofo può argomentare meglio di un altro e una tesi filosofica può essere più convincente di un’altra, ma si tratta di un percorso senza fine. un’inutile perdita di tempo. Incontreremo difficoltà anche se ci rivolgiamo alle Scritture vediche, perché sono tante: lo Yajur-Veda, il Rig-Veda, il Sama-Veda, l’Atharva-Veda, le Upanishad, i Purana, il Brahma-sutra, il Ramayana, il Mahabharata e altre. Persone diverse le leggono e traggono conclusioni diverse.

Ci sono poi la Bibbia e il Corano, di cui ognuno dà la propria interpretazione. Un filosofo ne sconfigge un altro manipolando le Scritture, perché la regola vuole che non si possa diventare filosofi senza inventare un nuovo sistema di pensiero. Ne consegue che la verità spirituale risulta macchinosa e difficile da capire.

In sintesi, chi vuole ottenere il successo spirituale deve seguire uno dei dodici mahajan. Krishna, il mahajan originale, istruì Brahma, che diventò a sua volta un mahajan. In realtà, Krishna ha insegnato la Bhagavad-gita a tutti, e tutti l’hanno appresa da Lui. Ci dà le Sue istruzioni personalmente, come fece Kapiladeva con Sua madre. Non c’è contraddizione tra l’insegnamento di Krishna nella Bhagavad-gita e quello di Kapiladeva. Sri Kapila spiega il sankhya a Sua madre perché prova per lei un affetto naturale, ma non bisogna pensare che Devahuti sia una donna comune.

È sottomessa e molto desiderosa di conoscere la Verità Assoluta, e Kapiladeva, mosso a compassione nel vedere la sua umiltà, decide di trasmetterle la filosofia suprema: il sankhya-yoga.

La bhakti: libertà suprema

verso 32 sri-bhagavan uvaca

devanam guna-linganam, anusravika-karmanam

sattva evaika-manaso, vrttih svabhaviki tu ya

animitta bhagavati, bhaktih siddher gariyasi

Sri Kapila disse: Come i sensi rappresentano metaforicamente gli esseri celesti e hanno la tendenza naturale ad agire secondo le ingiunzioni vediche, così la mente rappresenta il Signore ed è naturalmente incline a servire. Quando questa tendenza è usata nell’ambito del servizio devozionale, senza secondi fini, diventa ancor più preziosa della liberazione.

I sensi sono sempre impegnati in qualche attività, o prescritta daiVeda o prettamente materiale. Sono per natura inclini ad agire, e la mente ne è il centro, anzi, la guida (sattva), così come Dio è la guida dei deva che amministrano ivari aspetti di questo mondo, tra cui le funzioni del sole, della luna e via dicendo.

Le Scritture vediche affermano che gli esseri celesti (deva) sono le diverse parti del corpo universale dell’Essere Supremo e governano anche i nostri sensi, di cui sono altrettante rappresentazioni, come la mente è la rappresentazione del Signore. I sensi agiscono guidati dalla mente e dall’influsso dei deva, e quando l’azione mira a servire il Signore, essi ritrovano la loro posizione naturale.

Il Signore è Hrishikesh, maestro e proprietario dei sensi. Come la mente, i sensi (hrishika) sono attivi per natura, ma se condizionati dalla materia, si attivano solo per conseguire benefici materiali. La loro tendenza naturale è servire Dio, Hrisikesh. ma in questo caso lo fanno indirettamente.

Kapiladeva dichiara che nel bhakti-yoga i sensi, liberi da ogni motivazione egoistica, sono occupati a servire direttamente il Signore. Quest’attitudine a servire, la bhakti, si trova su un piano spirituale di gran lunga superiore a quello della liberazione (mukti). Poiché la bhakti è successiva rispetto alla liberazione, chi non è liberato non può impiegare i sensi al servizio del Signore.

Quando i sensi agiscono per godere della materia senza restrizioni (vikarma) o secondo le ingiunzioni vediche relative all’attività fruttifera ( karma), sono spinti da ragioni egoistiche; quando invece sono impegnati al servizio del Signore senza ulteriori motivazioni (animitta), manifestano la tendenza naturale della mente. In conclusione, quando la nostra mente non si lascia sviare dal linguaggio fiorito dei Veda o dall’azione interessata, ed è fissa in coscienza di Krishna, cioè nel servizio di devozione al Signore, ci collochiamo in una posizione di molto superiore rispetto a chi si è liberato dalla prigionia materiale.

Bhakti, il servizio devozionale, trascende perfino mukti, la liberazione. Di solito la gente pensa in termini di religiosità, sviluppo economico, piacere dei sensi e fusione col Supremo (dharma, artha, kama e moksha, ma la bhakti è ben al di là di tutto questo. La mukti non è poi così importante per un bhakta. Bilvamangala Thakur scrive: “La liberazione in persona attende a mani giunte di servire il devoto.” (Krishna­ karnamrita i07)

Bilvamangala era unricchissimo brahmana dell’India meridionale, ma influenzato dalle cattive compagnie, iniziò a frequentare le prostitute e spendeva moltissimo denaro specialmente per una di nome Cintamani. Era sempre così ansioso di stare con lei che perfino durante un forte temporale notturno decise di andare a casa sua. Quando finalmente la raggiunse dopo aver superato mille pericoli, Cintamani esclamò stupefatta: “Come hai potuto venire fin qui in una notte come questa? Se avessi per Krishna la stessa attrazione che hai per il mio corpo, la tua vita sarebbe senz’altro migliore.

Bilvamangala fu scosso a tal punto da quelle parole che considerò Cintamani il suo guru, e dopo aver lasciato la sua casa andò a Vrindavana, dove riprese il percorso devozionale coltivato e poi interrotto nella vita precedente. A Vrindavana scrisse un libro intitolato Krishna-karnamrita, che Chaitanya Mahaprabhu consiglia di leggere. In un passo Bilvamangala dice: “Se offriamo a Te la nostra devozione, mio Signore, potremo facilmente vedere la Tua divina forma di ragazzo [kaishora-murti].”

Krishna Si chiama Kaishora nel Suo aspetto adolescenziale, cioè tra gli undici e i sedici anni. Il Suo corpo trascendentale non invecchia mai oltre quest’età, e il servizio devozionale ci consente di vederlo in questa Sua forma sublime. La bhakti dovrebbe essere libera da interessi personali.

Krishna è dotato di ogni potere e opulenza, quindi può esaudire senza difficoltà i nostri desideri. Se vogliamo da Lui la felicità materiale, ce la darà, come anche la liberazione, ma è da sciocchi chiederGli qualcosa che non sia la bhakti. Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakur diceva spesso che volere da Dio la mukti o qualcosa che non sia la bhakti è come andare da un ricco per elemosinare un po’ di cenere. A tal proposito citiamo la storia della vecchietta che attraversa il bosco con una fascina di legna secca sulla testa.

A un certo punto la fascina, molto pesante, scivola per terra e la vecchietta si chiede preoccupata: “Chi mi aiuterà a rimettere questa legna sulla testa?” Allora prega disperata: “Signore, aiutami!” E all’improvviso Dio appare: “Che cosa vuoi?”

E la vecchia risponde: “Per favore, aiutami a caricare la fascina sulla testa.” Ecco dove arriva la nostra stupidità! Quando Dio viene a offrirci una benedizione, Gli chiediamo di appesantirci di nuovo con tutti i nostri fardelli. Lo invochiamo solo per cose materiali: una famiglia felice, un bel po’ di denaro, un’auto nuova e via dicendo.

Chaitanya Mahaprabhu insegna invece che bisogna chiedere a Dio l’impegno al Suo servizio vita dopo vita. Questo è il vero significato del maha-mantra Hare Krishna Hare Krishna, Krishna Krishna Hare Hare,Hare Rama Hare Rama, Rama Rama Hare Hare. Recitandolo, ci rivolgiamo a Dio e alla Sua energia, Hara.Hara è Srimati Radharani o Lakshmi, la potenza interna di Krishna.

I vaishnava adorano quindi Radha-Krishna, Lakshmi-Narayana e Sita-Rama. Quando cantiamo Hare Krishna preghiamo innanzitutto l’energia interna del Signore: “O Hare! O Radharani! O energia divina! Per favore, concedimi di servirli.” Questa dovrebbe essere la nostra unica richiesta. Ambizioni come il denaro, il potere, una bella moglie, un folto séguito e una posizione prestigiosa sono da evitare.

Buddha suggeriva di abbandonare ogni desiderio materiale. Non possiamo disfarci di tutti i desideri, ma possiamo disfarci di quelli materiali. Desiderare è una tendenza connaturata nell’essere vivente; solo chi è morto non ha desideri. Vincere i desideri significa dunque purificarli fino al punto in cui ci resta un solo desiderio: servire Dio.

Sri Chaitanya prega: “Mio Signore, non ambisco ad avere ricchezze, belle donne o seguaci. Vorrei soltanto dedicarmi al Tuo servizio incondizionato, vita dopo vita.” (Sikshastaka 4) Non chiede la liberazione, ma di poter servire Dio vita dopo vita. I devoti non mirano a fondersi nell’esistenza del Supremo. La filosofia buddista punta al nirvana, la negazione di tutti i desideri materiali. Buddha non offre altro. Sankaracharya offre qualcosa di più perché promuove la rinuncia ai desideri mondani e l’ingresso nella radiosità del Brahman, o brahma-nirvana.

Anche la filosofia vaishnava c’insegna a superare i desideri materiali e salire al piano del Brahman, ma oltre a questo ci esorta a situarci nel servizio devozionale al Signore, o bhakti-yoga. Il servizio reso al Signore non è affatto materiale, ma del tutto spirituale, anche se gli impersonalisti (mayavadt) non riescono a comprenderlo.

La filosofia sankhya del Kapila ateo è una mera analisi dei ventiquattro elementi materiali, mentre ilvero sankhya, enunciato da Kapiladeva, trascende sia i ventiquattro elementi sia l’azione materiale e s’identifica con la bhakti escludendo ogni desiderio mondano. Sul piano condizionato dalla materia si agisce per il proprio godimento anche quando si assiste la famiglia, la società, la comunità, la nazione o l’umanità intera.

Un ladro resta un ladro, anche se ruba per la famiglia o la comunità. Si racconta di un ladro che fu fatto arrestare da Alessandro Magno e una volta portato al suo cospetto gli disse: “Che differenza c’è tra me e te? lo rubo in piccolo e tu rubi in grande.” Alessandro, uomo di buonsenso, lo liberò dicendo: “Sì, hai ragione, in realtà non c’è alcuna differenza.” Che sia destinato a se stessi, alla propria famiglia o alla nazione, il piacere dei sensi è il medesimo. Il salto di qualità c’è solo nel momento in cui agiamo per appagare i sensi di Krishna.

È interessante il fatto che nella Bhagavad-gita e nello Snmad-Bhagavatam non si legge Krishna uvacha (“Krishna disse”) o Kapila uvacha (“Kapila disse”), ma Bhagavan uvacha (“Dio, la Persona Suprema, disse”). Ciò indica che la conoscenza enunciata è perfetta. Se la conoscenza ci viene trasmessa da una persona qualsiasi, fosse anche un grande accademico, vi troveremo numerosi difetti, perché gli esseri ordinari sono soggetti all’illusione e hanno la tendenza a ingannare.

L’assenza di errori, d’illusioni, inganni e imperfezioni esula completamente dalla sfera materiale. Si usa l’espressione bhagavan uvacha proprio perché Bhagavan è perfetto. Dobbiamo quindi ricevere la conoscenza da Bhagavan o da chi Lo rappresenta.

Il Movimento per la Coscienza di Krishna si basa su questo principio. Non presentiamo una conoscenza elaborata autonomamente, perché tutto ciò che potremmo inventare sarebbe senz’altro difettoso e carente. A che servirebbe una mia filosofia? Che valore avrebbe il mio pensiero? In generale, le persone dicono “secondo me…”, credendo che la loro opinione significhi davvero qualcosa. Nessuno pensa mai di essere un mascalzone e tutti stimano molto le proprie convinzioni, attribuendo loro una grande importanza.

Purtroppo, in questo mondo abbiamo sensi imperfetti, perciò qualsiasi conoscenza otteniamo tramite i sensi sarà di certo imperfetta. Come già detto più volte, la conoscenza dev’essere ricevuta da Bhagavan attraverso la successione dei maestri spirituali. È sufficiente seguire questo metodo per diventare noi stessi maestri del mondo intero.

Non è difficile diventare guru, basta ripetere ciò che Krishna dice nella Bhagavad-gita (18.66): “Lascia ogni altro dharma e abbandonati a Me.” In realtà, abbandonarsi a Krishna è l’unico dharma, perché dharma significa obbedire agli ordini di Dio. Se non conosciamo né Dio né i Suoi ordini, divulgheremo fantasie prive di valore e innescheremo dei conflitti. Questo non è dharma, bensì speculazione filosofica.

Lo Srimad-Bhagavatam respinge con forza i dharma inventati, perché sono un inganno. Solo il bhagavat-dharma, in quanto connesso al Signore Supremo, non lo è.

La bhakti va offerta esclusivamente a Bhagavan, e se non c’è Bhagavan non può esserci la bhakti. Bhakti è la relazione tra Bhagavan e il devoto, che Lo serve cantando i Suoi nomi, parlando di Lui alla gente, pubblicando i Suoi libri, adorando o, offrendoGli del cibo e pensando sempre a Lui.

La bhakti: libertà suprema

verso 33 jarayaty asu ya kosam, nigimam analo yatha

La bhakti, il servizio devozionale, ha in sé il potere di dissolvere il corpo sottile dell’essere condizionato, proprio come il fuoco presente nello stomaco scioglie tutto ciò che si mangia.

La bhakti è di gran lunga superiore alla mukti, perché il servizio devozionale include la liberazione dalla prigionia della materia. Se il potere digestivo è adeguato, tutti gli alimenti che ingeriamo verranno sciolti dal fuoco presente nello stomaco. In modo analogo, il devoto non ha bisogno di compiere sforzi aggiuntivi per ottenere la liberazione. in quanto l’impegno nel servizio al Signore è già di per sé sufficiente.

La mukti, a cui aspirano gli impersonalisti sottoponendosi a severe austerità e penitenze, non rappresenta dunque un problema per il devoto, che la ottiene automaticamente col servizio devozionale. In particolare, il canto del maha-mantra Hare Krishna e l’assunzione del cibo offerto al Signore,gli conferiscono immediatamente il controllo della lingua, da cui dipende il controllo degli altri sensi.

La perfezione dello yoga si basa sul pieno controllo dei sensi, e la liberazione si ottiene appena ci si dedica al servizio del Signore. Kapiladeva conferma pertanto che la bhakti è gariyasi, più gloriosa della mukti, la liberazione.

Nel verso leggiamo che la bhakti dissolve il corpo sottile. L’anima spirituale è ricoperta da due involucri, uno grossolano composto di terra, acqua, fuoco, aria ed etere, e uno sottile composto di mente, intelligenza ed ego materiale. Di questi otto elementi, i tre sottili sono invisibili, e al di là di essi c’è l’anima, più sottile ancora.

Chiunque può vedere il corpo, ma non tutti possono percepire l’anima. Quando un nostro caro muore, ci lamentiamo: “Ah, se n’è andato!” Il suo corpo è ancora lì, ma è ovvio che manca qualcosa. Il nostro caro è dunque diverso dal corpo. Con gli occhi fisici non riusciamo a vedere oltre il corpo, e se non siamo capaci di percepire l’anima, come speriamo di vedere Dio? Se non ci vediamo veramente l’un l’altro, come possiamo vedere Dio? Le Scritture affermano, atah sri-krishna-namadi na bhaved grahyam indriyaih: “I sensi materiali non hanno la facoltà di apprezzare il nome, la forma, le qualità e i divertimenti di Krishna.

I nostri sensi attuali sono incapaci di percepire Dio. Quando un nostro caro congiunto muore, ci accorgiamo che qualcosa se n’è andato dal suo corpo e ciò che rimane è solo un blocco di materia. Questa è conoscenza. Chi già prima della morte comprende che il corpo è solo un blocco di materia è definito saggio, perché vede l’anima con gli occhi della conoscenza, mentre chi è situato sul piano materiale grossolano non può vedere né l’anima né Dio.

I karmi, immersi nelle attività fruttifere, non capiscono che l’anima è diversa dal corpo, e tra molti milioni di karmi ci sarà forse un jnani, qualcuno che riesce a capirlo. Tra molti milioni di jnani, uno forse potrà liberarsi.

Essendo anime spirituali, i mayavadisi credono uguali all’Anima Suprema, ma l’uguaglianza qualitativa non implica l’uguaglianza quantitativa. Una goccia d’acqua marina ha le stesse qualità del mare, ma non può mai uguagliarlo. I devoti impegnati a servire ipiedi di loto del Signore lo sanno e demoliscono la tesi dei mayavadicon una semplice domanda: “Se è vero che siamo il Supremo, come mai ci ritroviamo in una condizione tanto miserabile?

Talvolta i mayavadi adorano Vishnu, senza però credere che abbia una forma. Considerano la Sua figura una fantasia da usare come strumento per raggiungere la realizzazione spirituale, ma sono convinti che l’Assoluto sia privo di forma (rupa). Tuttavia, nella Brahma-samhita (5.1) leggiamo, ishvarah paramah krishnah sac-cid­ ananda-vigrahah: “Krishna, conosciuto col nome di Govinda, è il Signore Supremo e ha un corpo spirituale, eterno e colmo di beatitudine.

La parola vigraha si riferisce alla forma suprema, ma i mayavadi non lo capiscono. Molti presunti vaishnava adorano Vishnu allo scopo di fondersi in Lui, e citano l’esempio della goccia che si perde nel mare. Si tratta però di un paragone assurdo. Infatti, il mare è composto da innumerevoli molecole d’acqua ed è impossibile che una molecola diventi il mare. I raggi del sole sono composti da un’infinità di piccole particelle luminose e ciascuna possiede un’identità atomica individuale. Anche se inostri occhi non sono in grado di vedere i singoli atomi e percepiscono una sostanza unica, in realtà la materia non è omogenea.

Analogamente, noi, frammenti infinitesimali di Dio, abbiamo identità distinte. Krishna lo afferma nella Bhagavad-gita (2.12): “Mai ci fu un tempo in cui non esistevamo, lo, tu e tutti questi re, e mai nessuno di noi cesserà di esistere.” Krishna non dice mai che alla fine Lui, Arjuna e gli altri guerrieri diventeranno un essere unico; sostiene invece che ciascuno manterrà la propria natura individuale.

Le persone di conoscenza sanno bene che non si fonderanno mai nel Supremo, ma resteranno sempre i Suoi frammenti infinitesimali. Anche se ora siamo coperti da un involucro materiale, il bhakti-yoga può dissolverlo facilmente. Se infatti diventiamo stabili nella devozione, non avremo più un corpo di materia ma una forma spirituale e saremo liberi.

Molti si chiedono: “Perché Dio ci ha creati? Perché Si è moltiplicato? Perché siamo Sue parti infinitesimali?” La risposta è che esistiamo eternamente per il Suo piacere, anandamayo ‘bhyasat. L’analogia è quella di un uomo che si sposa, mette al mondo dei figli e si assume la responsabilità di mantenerli, pensando che lo renderanno felice. Quaggiù le persone cercano di godere della vita con la famiglia e gli amici, e a tal fine si caricano di molte responsabilità. Credono che tutto ciò dia gioia (ananda), ma purtroppo nel mondo materiale la gioia si trasforma in disgusto.

Possiamo godere realmente solo vicino al Padre Supremo. Siamo tutti figli Suoi ed Egli rivendica la Sua paternità nella Bhagavad-gita (14.4): “Sappi, o figlio di Kunti, che tutti gli esseri nascono nel grembo della natura materiale e lo sono il padre che dà il seme.

Il Padre Supremo, Sri Krishna, ci ha creati per il Suo piacere, non per portare dolore. Siamo i Suoi figli, ma avendo scelto di godere indipendentemente da Lui, soffriamo. Se il figlio di un uomo ricco lascia la casa per cercare la felicità altrove, incontrerà solo problemi. Per il nostro bene dobbiamo tornare da Dio, nella dimora eterna, e vivere accanto al nostro Padre originale. Soltanto allora saremo davvero felici. Krishna possiede ricchezza, forza, bellezza, fama, conoscenza e rinuncia – tutto in quantità illimitata- e se torniamo da Lui, la nostra gioia non avrà limiti.

Non possiamo godere senza Krishna, né possiamo godere fondendoci nella Sua esistenza. Quaggiù abbiamo un padre che ci mette al mondo, e sia noi che lui siamo dei singoli individui, perciò quando soffriamo non gli diremo mai: “Caro papà, sto soffrendo, per favore riassorbimi in te.” Sarebbe una richiesta assurda e nostro padre risponderebbe: “Ti ho generato affinché tu godessi della vita. Saremo entrambi felici se manterremo ciascuno la propria individualità. Perché mi chiedi di riassorbirti in me? Che sciocchezza e mai questa?”

I mayavadi ambiscono a diventare tutt’uno col Supremo perché soffrono nel mondo materiale. Krishna ci ha creato per farci gioire in Sua compagnia, ma dato che vogliamo gioire autonomamente, non adempiamo il Suo scopo e soffriamo. Questo dolore ci porta a desiderare di fonderci in Lui. Maya ha il compito di spingere l’essere individuale a inorgoglirsi, a diventare superbo, e la sua trappola finale è proprio indurlo a credere di potersi fondere in Dio.

Benché i mayavadi pensino che questa fusione rappresenti il traguardo supremo, non lo è, in quanto per nostra stessa natura possiamo godere solo in compagnia di Krishna. Gli amici si divertono quando stanno insieme. Che gusto c’è a isolarsi? La varietà è la madre del piacere, e il vero piacere è stare con Krishna. I devoti non vogliono mai annullarsi in Lui. Chaitanya Mahaprabhu prega: “Mio Signore, non sono impaziente di uscire dal ciclo di nascite e morti e ottenere la liberazione. Vorrei solo restare impegnato al Tuo servizio vita dopo vita.” (Sikshastaka 4) Questa è la vera felicità.

Finché non avremo acquisito tutte le qualità del devoto non saremo ammessi ai pianeti Vaikuntha, ma dovremo restarne ai margini, nel brahmajyoti. Se è questo ciò che vogliamo, Krishna ce lo darà. Dopotutto, Egli è anche il brahmajyoti e il Paramatma. Se dunque intendiamo fonderci nel Supremo, ci verrà concesso di risiedere fuori dai pianeti Vaikuntha, ma si tratta di una posizione transitoria. Come abbiamo già spiegato, non possiamo restare per sempre nel brahmajyoti, perché siamo costituzionalmente inclini alla varietà. Senza varietà non proviamo piacere.

Il puro devoto è un’anima liberata in ogni circostanza, perché anche mentre lavora o svolge una qualsiasi attività medita su come servire Krishna. Non vuole liberarsi fondendosi nel Supremo, perché si sente già libero e felice nell’ambito della sua relazione personale col Signore.

La bhakti: libertà suprema

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