Lo Yoga Del Saggio Kapila

La ricchezza spirituale del puro devoto

La ricchezza spirituale del puro devoto

verso 37 atho vibhutim mama mayavinas tam

alsvaryam astangam anupravrttam

sriyam bhagavatim vasprhayanti bhadram

prasya me te ‘snuvate tu loke

Essendo pienamente assorto in Me, il devoto non è attratto dalle immense opulenze disponibili sui sistemi planetari superiori, incluse quelle di Satyaloka, né vuole le otto perfezioni materiali dell’astanga-yoga o l’elevazione al regno di Dio. Eppure, anche se non le desidera, tali benedizioni gli vengono offerte in questa vita stessa.

Le opulenze offerte da maya, definite vibhuti, sono numerose e variegate. Anche sul nostro pianeta abbiamo diverse forme di piacere materiale, ma le possibilità di sperimentare questo piacere aumentano a dismisura se ci eleviamo ai pianeti superiori, come la luna e il sole, o ancora più in alto, a Maharloka, Janaloka,Tapoloka e addirittura a Satyaloka, la dimora di Brahma.

Inoltre, su questi pianeti la durata della vita è enormemente più lunga che sulla Terra. Le Scritture insegnano che sulla luna un giorno equivale a sei dei nostri mesi, quindi non possiamo immaginare la durata della vita sul pianeta più alto. La Bhagavad-gita spiega che dodici ore di Brahma sono inconcepibili anche per i nostri matematici migliori.

Tutte queste descrizioni riguardano maya, l’energia esterna del Supremo, ma ci sono molte altre opulenze, anch’esse materiali, di cui uno yogi può godere grazie ai suoi poteri mistici. Il devoto, però, non desidera tali piaceri mondani, anche se potrebbe ottenerli con un semplice atto di volontà.

Per la grazia del Signore, potrebbe conseguire grandi successi materiali, ma non ambisce a niente di simile. Chaitanya Mahaprabhu ci consiglia di non cercare la ricchezza, la fama o la bellezza illusorie, ma di restare concentrati nel servizio devozionale, senza aspirare nemmeno alla liberazione.

In realtà, la liberazione è già garantita a chi s’impegna nella coscienza di Krishna. I devoti godono infatti di tutti i vantaggi offerti sia dai pianeti superiori che dai pianeti Vaikuntha. Il verso dice bhagavatim bhadram. Sui pianeti Vaikuntha regna sempre una grande serenità, e anche se il puro devoto non mira ad andarci, ottiene comunque questo beneficio e usufruisce in questa vita di tutte le facilitazioni offerte dal mondo materiale e dal mondo spirituale.

Sri Krishna nella Bhagavad-gita, Narada Muni nel Narada-pancharatra, Rupa Gosvami nel Bhakti-rasamrita-sindhu e Sri Chaitanya Mahaprabhu nei versi dello Shikshastaka spiegano che un puro devoto non chiede mai nulla al Signore. Non vuole neppure la liberazione, che dire dei beni terreni.

L’umanità in generale persegue quattro obiettivi: dharma, artha. kama e moksha. Desidera innanzitutto la religiosità (dharma) per ottenere l’opulenza materiale (artha) che consente di soddisfare i sensi (kama). Quando poi il tentativo ripetuto di soddisfare i sensi lascia l’uomo depresso e frustrato, emerge la voglia di liberazione (moksa).

Così queste quattro attività si susseguono in un ciclo senza fine. Di solito la gente prega, “Signore, dacci oggi il nostro pane quotidiano”. ma un puro bhakta non chiede nemmeno il pane. Krishna lo tiene dunque nel palmo della Sua mano come un gioiello prezioso. Se abbiamo in mano qualcosa di prezioso stiamo molto attenti, ed è con la stessa cura che Krishna protegge il Suo devoto.

Il Signore Supremo è il proprietario di ogni cosa. Nessuno è più ricco di Lui, e se Egli dice che Si prenderà cura del devoto, questi non rischia la povertà. L’uomo vuole i beni materiali, ma ignora che ogni bene appartiene a Dio. Benché il Proprietario assoluto dica, “Abbandonati a Me e Mi prenderò cura di te”, l’uomo non Lo ascolta e replica: “Penserò io ai miei affari. Provvederò a me stesso, alla mia famiglia , agli amici e al Paese.” Conquistare Krishna è impossibile, ma il devoto ci riesce con la bhakti, l’amore.

Non è possibile arrivare a capire la grandezza di Krishna. Sri Chaitanya ci chiede pertanto di non elucubrare su di Lui. A tal proposito citiamo la storia della rana che vive in un pozzo. Un amico va a trovarla e dice: “Sai, ho visto un’immensa distesa d’acqua!” “Quale acqua?” chiede la rana. ”L’oceano Atlantico,” risponde l’amico.

”L’oceano Atlantico? è più grande di questo pozzo? Di quanto? Due metri? Cinque metri?” Inostri tentativi di capire Dio sono simili. Se vogliamo capire Dio, dobbiamo imparare da Lui stesso. Se un nostro vicino è molto ricco, influente, saggio, forte e bello, possiamo interrogarci sulle sue qualità, ma se facciamo amicizia con lui lo conosceremo molto bene.

Dio non può essere circoscritto nell’ambito della nostra immaginazione, perché la mente è limitata e i sensi imperfetti. Il bhakti-marga si basa sulla sottomissione. È del tutto inverosimile assoggettare Dio alla nostra fantasia. Dobbiamo solo diventare umili e arresi, e avvicinarlo con sincerità: “Signore, per me conoscerTi è impossibile. Ti prego, spiegami Tu come fare.” È così che Auna si rivolge a Krishna nell’undicesimo capitolo della Bhagavad-gita.

A stento riusciamo a concepire che esistono innumerevoli universi. Il termine jagat si riferisce a questo universo, ma anche se ne vediamo uno solo, ne esistono milioni e Krishna li sostiene tutti con una scintilla della Sua Persona. Questa verità trova conferma in molte Scritture vediche.

Per esempio, nella Brahma-samhita (5.48) si legge: “Brahma e gli altri dirigenti universali, che appaiono dai pori della pelle di Maha-Vishnu, vivono solo per la durata di una Sua espirazione. Adoro Govinda, il Signore primordiale, di cui Maha-Vishnu è la porzione di una porzione.”

Questa verità è affermata nella Brahma-samhita, che racchiude le preghiere di Brahma al Signore. Tale opera fu accolta con entusiasmo da Sri Chaitanya, che la fece ricopiare durante il Suo pellegrinaggio nell’India meridionale. A quel tempo non era possibile stampare i libri, perciò venivano copiati a mano.

Di conseguenza le Scritture non erano pubblicazioni a buon mercato e solo i brahmana qualificati ne potevano usufruire. Venivano adorate nei templi come Divinità-shastra e non erano facilmente reperibili.

L’invenzione della stampa ha cambiato tutto, ma dovremmo comunque capire che i grantha, le Scritture, sono degni di venerazione come Dio stesso perché sono la Sua espressione sonora. La Bhagavad-gita e lo Srimad-Bhagavatam non vanno quindi considerati libri ordinari e meritano la stessa cura riservata alla Divinità.

Quando Sri Chaitanya tornò dal sud dell’India con una copia della Brahma­ samhita, la consegnò ai Suoi discepoli dicendo che si trattava di una sintesi del Vedanta e dello Srimad-Bhagavatam. Noi l’accettiamo quindi come un Testo autorevole, perché è stata legittimata dalla Persona Suprema.

Krishna spiega nella Bhagavad-gita che l’intera creazione materiale riposa su una delle Sue espansioni, e la Brahma-samhita ribadisce la medesima verità affermando che tutti gli universi emanano dai pori della pelle di Maha-Vishnu.

In ognuno di questi universi c’è un Brahma, che riveste la posizione di primo dirigente universale e di supervisore degli altri dirigenti. Brahma vive solo per la durata di un’espirazione di Maha-Vishnu, perché quando il Signore Supremo espira, gli universi sono creati, e quando inspira rientrano nel Suo corpo.

Vi sono dunque innumerevoli universi e altrettanti Brahma che vanno e vengono. La durata dei respiri di Maha-Vishnu è menzionata nella Bhagavad-ghlta, che parla di numerosi miliardi di anni terrestri. Qualcuno potrebbe pensare che tutto questo sia frutto dell’immaginazione, ma chi non ha fede nella Bhagavad-gita non dovrebbe commentarla.

Di solito la gente vuole andare sui sistemi planetari superiori per godere di un maggior benessere, e il karma-kandiya, che prevede il compimento di sacrifici e atti virtuosi, permette di conseguire questo traguardo. L’idea è vivere più a lungo disponendo di grandi ricchezze, donne bellissime, luoghi meravigliosi e tante altre piacevoli amenità.

I pianeti superiori hanno davvero tutte queste agevolazioni, ma il devoto non ne è attratto perché vuole Krishna . Nella Bhagavad-gita (8.16). Krishna dice: “Tutti i pianeti del mondo materiale, dal più alto al più basso, sono luoghi di miseria dove nascita e morte si susseguono ripetutamente.” Anche se raggiungessimo il pianeta più elevato, Brahmaloka ,la residenza di Brahma, non potremmo comunque restarci in eterno. Per quale motivo il devoto dovrebbe provare interesse per un luogo simile?

Il Signore è il capo degli esseri eterni (nitya). Tutti siamo eterni, e Krishna è pronto a guidarci e a giocare con noi. Nel mondo spirituale i Suoi devoti si divertono con Lui come tanti amici (gopa) e non pensano certo a Brahmaloka o a Chandraloka.perché un giorno questi pianeti saranno distrutti. Ci sono esseri che vivono solo pochi secondi, una notte al massimo, e il mattino dopo sono già morti. Ogni vita in questo mondo è destinata prima o poi a scomparire.

Perfino Brahma, che vive miliardi di anni, deve morire. Sul pianeta più alto o su quello più basso, nel corpo di Brahma o in quello di un gatto, tutti dobbiamo morire. Agli atei Krishna Si presenta nell’aspetto della morte. Fu in questa forma che apparve a Hiranyakasipu, il quale soleva dire: “Sono onnipotente.

Sono Dio e tutti mi temono.” Con la morte Krishna priva gli atei di ogni cosa -prestigio, potere, denaro. Per i devoti non esiste invece alcuna differenza tra la vita e la morte, perché servono Dio in qualsiasi circostanza;che si tratti di Vaikuntha o di un tempio, la loro occupazione non cambia. Perché dovrebbero quindi anelare a Vaikuntha?

Sui pianeti Vaikuntha si acquisisce la magnificenza di Narayana, un’espansione di Krishna. Cinque sono le forme di liberazione (mukti) e una di queste è sarst: ottenere la medesima opulenza del Signore. A Vaikuntha tutti hanno quattro braccia come Narayana e sono ugualmente ncchi. Anche gli abitanti di Goloka Vrindavana godono della stessa opulenza di Krishna, ma non sanno che Egli è Dio e Lo considerano un loro pari.

Questa è la sublime peculiarità della loro posizione devozionale. Un puro devoto non desidera alcuno dei suddetti privilegi, ma vuole solo impegnarsi nel servizio divino, e il Signore ricambia concedendogli ogni benedizione.

Nemmeno i poteri mistici (yoga-siddhi) lo attraggono. Per esempio, non sente l’esigenza di creare un pianeta, perché può creare Vaikuntha adorando Krishna nel tempio. Il tempio è nirguna, trascendentale ai tre influssi materiali (guna).

Le Scritture vediche insegnano che la foresta è influenzata dalla virtù (sattva-guna), mentre la città è dominata dalla passione (rajo-guna), in quanto offre molteplici occasioni per indulgere nel sesso illecito, nel gioco d’azzardo e nel consumo di carne e di sostanze inebrianti. In ere passate la gente mirava alla realizzazione spirituale, quindi l’uomo si spostava dalla città alla foresta per praticare determinate austerità prima di staccarsi definitivamente dalla famiglia e abbracciare l’ordine di rinuncia (sannyasa).

Questa era la fase del vanaprastha (vana significa “foresta”), ma la vita nel tempio è superiore alla vita nella foresta, perché il tempio, essendo nirguna, trascende anche il sattva-guna. Coloro che vivono nel tempio risiedono di fatto a Vaikuntha.

Kapiladeva descriverà ora la natura della speciale ricchezza del puro devoto.

La ricchezza spirituale del puro devoto

verso 38 na karhicin mat-parah santa-rupe

nanksyanti no me ‘nimiso ledhi hetih

yeam aham priya atma sutas ca

sakha guru suhrdo daivam istam

[Il Signore continuò:] Mia cara madre, il devoto che gode di queste ricchezze trascendentali non le perderà mai, perché né le armi né il trascorrere del tempo potranno distruggerle. Riconoscendo in Me l’amico, il parente,ilfiglio, il maestro, il benefattore e la Divinità suprema, non sarà mai privato di ciò che possiede.

La Bhagavad-gita spiega che compiendo attività virtuose si possono raggiungere i sistemi planetari superiori, perfino Brahmaloka, ma che una volta esauriti i frutti di queste attività si deve tornare di nuovo sulla Terra. Anche se sui pianeti superiori si gode di un piacere e di una longevità maggiori, questi benefici non sono permanenti, mentre ibenefici che il devoto acquisisce grazie al suo servizio devozionale sono eterni.

Nel verso Kapiladeva usa l’espressione santa-rupa, a indicare che le condizioni acquisite da un devoto restano inalterate nel tempo. Il devoto è infatti situato eternamente nell’atmosfera di Vaikuntha, detta santa-rupa perché sul piano della pura virtù, immune cioè dalla passione e dall’ignoranza.

Quando una persona si stabilisce con fermezza nel servizio al Signore, la sua posizione trascendentale non subisce l’azione distruttiva del tempo; solo il suo piacere e il suo servizio crescono illimitatamente.

Per chi è situato nella coscienza di Krishna, nell’atmosfera di Vaikuntha, l’influsso del tempo non esiste. Nell’universo materiale il tempo distrugge ogni cosa, ma nel mondo di Vaikuntha non manifesta la sua forza·, quindi niente è mai distrutto. Dove non ci sono passato, presente e futuro ogni cosa è eterna. Il verso contiene dunque l’espressione nanksyanti no, a indicare che i benefici trascendentali non svaniscono mai, e ne spiega anche la ragione.

I devoti considerano il Signore la persona più cara e scambiano con Lui diverse relazioni. Lo riconoscono come il loro amico più caro, il parente più prossimo, l’amato figlio, maestro, benefattore, e come la Divinità suprema. Poiché il Signore è eterno, le relazioni che si hanno con Lui sono anch’esse eterne e i benefici che ne derivano non vanno mai perduti.

Ogni essere ha la tendenza innata ad amare. Poiché questa tendenza porta alla continua ricerca di un oggetto su cui riversare il proprio amore, se una persona non ha nessuno, di solito si affeziona a un animale domestico. Ebbene, il verso c’insegna che possiamo amare Dio come se fosse nostro figlio, amico, maestro o benefattore, e che il nostro amore non sarà mai tradito o interrotto, ma potremo goderne per sempre.

In particolare, nel verso il Signore è riconosciuto come il maestro supremo, e Arjuna Lo accettò in quanto tale dopo aver ascoltato da Lui la Bhagavad-gita. Noi dovremmo fare altrettanto.

Quando parliamo di Krishna includiamo anche il Suo nome, la Sua forma, le Sue qualità, il Suo regno e i Suoi devoti confidenziali, perché Krishna non è mai solo. Lo si può paragonare a un re, sempre attorniato da segretari, generali, servitori e da tutta la corte. Non appena accettiamo Krishna e i Suoi devoti come i nostri maestri, nulla potrà alterare la nostra conoscenza.

Il sapere acquisito nel mondo materiale può cambiare sotto l’influsso del tempo, ma gli insegnamenti della Bhagavad-gita, che riceviamo direttamente dalla Persona Suprema non cambieranno mai. Sarebbe quindi inutile snaturare quest’opera, perché è eterna.

Possiamo vedere in Krishna anche l’amico migliore. Egli non c’ingannerà mai, al contrario, ci darà sempre buoni consigli e la Sua protezione. Se poi Lo consideriamo nostro figlio, non avremo il timore che un giorno possa morire. In questo mondo chi ha un figlio è sempre in ansia e prega: “Signore, fa’ che mio figlio non muoia.”

Krishna non muore mai,e chi pensa a Lui come a un figlio non sarà mai privato del Suo affetto. La vita spirituale è eterna, indistruttibile, mentre ciò che possediamo nel mondo materiale è destinato a finire.

Desideriamo una bella casa, una bella famiglia, amici e ricchezze, ma prima o poi tutto sarà distrutto, inclusi i nostri stessi corpi. Qui nulla permane, ed è questo il motivo per cui ogni cosa è definita illusoria. Stentiamo a capirlo, pensiamo che tutto sia eterno, ma solo Krishna lo è, mentre la Sua creazione materiale è temporanea.

I mayavadi credono che nel mondo spirituale non esistano relazioni. Le Scritture vediche affermano invece che il mondo spirituale è la sede della vera vita, che si riflette in questo mondo come un’ombra. Il quindicesimo capitolo della Bhagavad­ gita paragona l’universo a un grande albero baniano capovolto, con le radici in alto e i rami in basso, a indicarci che questo mondo è solo un’ombra, un riflesso come quello di un qualsiasi albero che si specchia nell’acqua.

Quaggiù abbiamo anche l’esperienza del miraggio: pensiamo di vedere qualcosa che non c’è. Talvolta i marinai credono di vedere la terra all’orizzonte, ma è solo un miraggio, proprio come il mondo materiale. Nel corso della vita pensiamo di avere molte relazioni (rasa); i nostri figli ci chiamano “mamma o papà” e abbiamo un bel rapporto col nostro coniuge, ma tutti questi legami sono come ombre, anche se la gente non lo sa.

Tuttavia, queste relazioni e il piacere che ne deriva esistono veramente, ma solo quando le scambiamo con Krishna nel mondo spirituale. Egli viene dunque di persona a insegnarci che possiamo considerarlo maestro, amico, figlio, padre, marito o amante.

I filosofi mayavadi sostengono che se Krishna è diventato ogni cosa, non può aver mantenuto la Sua personalità individuale. Krishna, però, non è come un foglio di carta che se strappato in tanti pezzettini non esiste più nella sua interezza.

Gli impersonalisti applicano a Dio la loro visione materiale, ma nella Brahma-samhita (5.33) si legge: “Adoro Govinda, il Signore primordiale, inaccessibile ai Veda, ma raggiungibile grazie alla pura devozione dell’anima. Egli è l’Uno senza secondi e ha una forma infinita non soggetta al decadimento. Pur essendo il Principio senza inizio e l’eterno purusha, è una persona che possiede la bellezza della gioventù in fiore.

Krishna ha una moltitudine di espansioni e risiede anche nel cuore di ogni essere – uomini, animali piante, ecc. È sintomo di materialismo credere che Egli abbia perso l’individualità dopo essere entrato in una moltitudine di cuori. In realtà, benché Si moltiplichi in una miriade di frammenti, non diminuisce mai (sarvaishvarya-purna). A tal proposito, una storia interessante narra di un alunno povero a cui l’insegnante chiede un’offerta per contribuire all’annuale festa del papà.

A quel tempo gli insegnanti erano brahmana, quindi non percepivano uno stipendio, ma ricevevano doni dai genitori dei loro allievi oppure accettavano la carità. Il nostro allievo era però talmente povero che non sapeva cosa offrire al suo maestro e gli disse che ne avrebbe parlato con la madre. Tornato a casa, chiese: “Mamma, tutti i miei compagni di scuola hanno promesso di portare qualcosa al maestro. Che cosa posso portargli io?”

La madre rispose: “Figlio mio, siamo così poveri che non abbiamo niente da offrire, ma Krishna è l’amico dei poveri e se ti darà qualcosa, potrai donarla al tuo maestro.” “Dov’è Krishna?” chiese il bambino. “Mi hanno detto che vive nella foresta,” replicò la madre. Allora il bambino andò nella foresta e iniziò a chiamare Krishna, ma non vedendolo si mise a piangere.

Subito Krishna apparve, perché nella Sua infinita bontà risponde alla chiamata del devoto ansioso di vederlo. “Dimmi, che cosa vuoi?” gli domandò. “Tu sei l’amico di coloro che non hanno niente,” disse il piccolo. “lo sono molto povero e non ho niente da dare al mio maestro.” “Puoi dargli un po’ di yogurt,” propose Krishna. Il mattino dopo l’alunno tornò felice a scuola e promise all’insegnante: “TI porterò tutto lo yogurt che ti occorre.”

E l’insegnante fu molto contento della promessa, che giudicò generosa. Il giorno della festa il bambino andò nella foresta e chiamò Krishna, che apparve e gli diede un vasetto di yogurt.

L’alunno lo consegnò al maestro dicendo: “Ecco la mia offerta.” Questi guardò il vasetto, che non conteneva neanche mezzo litro di yogurt, e sbottò: “Verranno centinaia di persone ed è tutto qui ciò che mi hai portato?” Arrabbiato, rovesciò lo yogurt per terra, ma quando guardò di nuovo nel vasetto vide che era pieno. Lo svuotò ancora una volta e lo vide nuovamente pieno. Allora capì che quell’offerta non aveva nulla di materiale. Questa è la natura di Krishna.

Possiamo prenderci tutto e tutto resterà invariato. Quaggiù uno meno uno fa zero, ma nel mondo spirituale uno meno uno fa sempre uno. Tale fenomeno si chiama advaya-jnana. Il mondo spirituale è libero dalla dualità: uno più uno è uguale a uno, e uno meno uno è uguale a uno.

Se amiamo Krishna, il nostro rapporto d’amore non finirà mai. Accettando Krishna come nostro figlio, amico o amante, non resteremo mai frustrati, mentre le relazioni illusorie ci deluderanno sempre, perché l’amore materiale ha una durata effimera. Possiamo dare a un figlio tutto il nostro amore, ma lui potrebbe un giorno rivoltarsi contro di noi. Possiamo adorare il nostro coniuge, ma il suo amore potrebbe un giorno trasformarsi in odio.

La storia è piena di eventi simili. A causa dell’amara esperienza fatta con le relazioni materiali, i mayavadi temono qualsiasi legame, perciò negano ogni scambio e non vogliono piùsaperne di figli, amici, amanti, maestri o chicchessia.

Il disgusto per questi rapporti illusori li spinge a cercare il vuoto. Tuttavia, se stabiliamo le medesime relazioni con Krishna, non resteremo mai delusi, anzi, il nostro entusiasmo aumenterà sempre di più. Krishna c’incoraggia dunque ad accettarlo come nostro figlio, amico o maestro, e a ritrovare la felicità.

La ricchezza spirituale del puro devoto

versi 39-40 imam lokam tathaivamum, atmanam ubhayayinam

atmanam anu ye ceha, ye raya pasavo grhah

visrjya sarvan anyams ca, mam evam visvato-mukham

bhajanty ananyaya bhaktya, tan mrtyor atiparaye

AdorandoMi con un servizio costante, il devoto rinuncia ai piaceri dei pianeti celesti e alla gioia che in questo mondo possono dargli la famiglia, le ricchezze e qualsiasi altro oggetto relativo al corpo. Allora, lo stesso, l’onnipresente Signore dell’universo, lo conduco oltre la nascita e la morte.

Secondo quanto si legge nei due versi, per praticare il servizio di devozione senza deviare bisogna essere pienamente coscienti di Krishna, cioè riconoscere che Dio è l’essenza di tutto. Poiché il Signore include in Sé ogni cosa, chiunque Lo adori con una fede incrollabile adempie automaticamente ogni altro dovere e raggiunge ogni perfezione.

Tale devoto sarà elevato da Dio stesso oltre la nascita e la morte. A coloro che desiderano trascendere queste due fonti di sofferenza si consiglia dunque la purificazione dai desideri materiali, la rinuncia al benessere che in questo mondo procurano la ricchezza, la famiglia e la proprietà, e l’abbandono della prospettiva di raggiungere i pianeti superiori.

Abbiamo già descritto le caratteristiche di un puro devoto e spiegato in che modo egli ottiene la liberazione senza neanche rendersene conto. L’anima condizionata è in una posizione ben diversa: se influenzata dalla virtù si eleva ai pianeti superiori, se governata dalla passione resta in questo mondo, in un ambito sociale caratterizzato dall’azione fruttifera, se avvolta dall’ignoranza rischia di regredire a un piano umano inferiore o addirittura al regno animale. Il puro devoto non si preoccupa di questa vita o della prossima, perché non è interessato a migliorare la propria condizione materiale.

Egli prega così: “Mio Signore, non importa in quale corpo dovrò rinascere. Va bene anche quello di una formica, purché sia nella casa di un Tuo devoto.” Non chiede la liberazione dalla prigionia materiale, perché non ritiene di esserne degno, al contrario, pensando al suo passato e agli errori commessi, crede di dover nascere nelle regioni infernali.

Riflette come segue: “Anche se in questa vita mi sto sforzando di abbandonarmi al Signore, nelle altre non ho certo compiuto solo attività virtuose.” Un devoto è sempre consapevole della sua posizione e vede le sue sofferenze mitigate soltanto grazie alla misericordia del Signore e al proprio totale abbandono a Lui. Nella Bhagavad-gita si legge: “Sottomettiti a Me e ti proteggerò dalle reazioni del peccato.”

Questa è la misericordia di Krishna, ma poiché chi si arrende a Lui non è libero dai peccati commessi nel passato, prega così: “Che io rinasca pure in eterno per espiare le mie colpe. O Signore, concedimi soltanto di non dimenticare mai il Tuo servizio.” In altre parole, tornare in questo mondo non gli importa, chiede solo un’ulteriore possibilità di evolversi spiritualmente nascendo nella casa di un devoto. Non aspira nemmeno a una vita successiva più agiata; ha ormai abbandonato questo tipo di speranze.

Ovunque si nasca, fosse anche nel regno animale, si desiderano prole e proprietà, ma il devoto non aspira ad alcun possedimento materiale. È soddisfatto di ciò che ottiene per la grazia di Dio. Non è però negligente, anzi, ha un profondo senso del dovere, ma non si perde nelle questioni familiari e sociali, perché sono entrambe transitorie. S’impegna invece al servizio del Signore dedicando a tutto il resto solo il tempo strettamente necessario.

Krishna dichiara nella Bhagavad-gita che il devoto verrà trasferito, anche a sua insaputa, nella dimora trascendentale subito dopo aver lasciato il corpo.

All’istante della morte un essere ordinario viene spostato in un altro grembo materno per assumere il corpo che merita secondo le sue azioni passate (karma), ma il devoto raggiunge senza indugio il mondo spirituale per vivere in compagnia di Krishna. Questa è la speciale misericordia che riceve.

Essendo onnipotente, il Signore è libero di agire come meglio crede. Può perdonare ogni nostro peccato e condurci a Vaikunthaloka, perché è sempre favorevolmente disposto verso i Suoi devoti.

Nei due versi in questione, Kapiladeva descrive l’attitudine di chi considera Dio il supremo oggetto d’amore. Arjuna, ad esempio, voleva Krishna come amico ed Egli diventò il suo miglior amico. Se vogliamo invece amarlo come un figlio, è pronto a diventare nostro figlio. Tutti possiamo relazionare con Krishna in modi diversi, amandolo come Lo amano Arjuna o madre Yasoda, oppure seguendo le orme di Pariksit Maharaj, il cui amore per Lui nacque dal semplice ascolto delle Sue glorie.

Lo yogi perfetto vede Krishna come amante (priya), figlio (suta), amico (sakha) o maestro (guru). Questa è la vera bhakti. Se vogliamo un figlio, Krishna è pronto a essere il nostro bambino; se vogliamo un amante, Krishna è pronto ad avere con noi uno scambio amoroso; se vogliamo un amico, Egli sarà al nostro fianco. Qualsiasi relazione desideriamo nel mondo materiale, possiamo averla con Lui.

In ognuno di noi c’è la tendenza ad amare, e Krishna è pronto a soddisfarla pienamente. Non è certo una persona ordinaria. Infatti, mentre noi occupiamo un solo corpo, Krishna è il proprietario di tutti i corpi, e come un padre regala al figlio un’automobile, così Lui ci offre un corpo tra le otto milioni e quattrocentomila specie viventi.

Noi vi entriamo come se salissimo in una macchina che guideremo per molti anni, fino a quando diventerà vecchia e dovremo sostituirla con una nuova. Questo è il meccanismo della nascita e della morte.

Usiamo una macchina per qualche tempo. e quando si sfascia o si guasta per l’usura o a causa di un incidente, la rottamiamo e ce ne procuriamo un’altra. Ma se la nostra posizione trascende la nascita e la morte, per quale ragione siamo costretti ad accettare queste macchine?

Ecco il vero interrogativo. La risposta è che vogliamo godere delle ricchezze di questo mondo. Finché inseguiamo i beni materiali non potremo uscire dal ciclo dì nascite e morti; dobbiamo lasciare ogni cosa, prendere rifugio in Dio e adorarlo come Lui desidera, non secondo il nostro capriccio.

Se Krishna dice, “Vorrei un bicchier d’acqua”, non dovremmo portarGli del latte, pensando che sia migliore dell’acqua, perché gli offriremmo un disservizio. Alcuni dicono, “Adoro il Signore a modo mio”, ma la loro adorazione è fasulla.

I mayavadi sostengono che il Brahman non ha forma (rupa), quindi suggeriscono d’inventarne una qualsiasi, ma è una proposta fuorviante, perché Krishna ha una Sua forma ben definita, descritta con dovizia di particolari nei Testi vedici.

In conclusione, se vogliamo, possiamo raggiungere i pianeti superiori e ottenere il corpo di Brahma o di un altro essere celeste, restare sulla Terra, nel sistema planetario intermedio, con un corpo umano o animale, oppure assumere la nostra vera forma, sac-cid-ananda, la cui natura somiglia a quella di Krishna.

Le nostre scelte determinano la nostra prossima destinazione, e in tal senso abbiamo piena libertà. Gli atti virtuosi ci elevano ai pianeti celesti e le azioni coscienti di Krishna ci aprono le porte di Vaikunthaloka.

Siamo frammenti di Krishna, ma non lo ricordiamo più. Nella Chaitanya-charitamrita (Madhya 20.ii7) si legge: “Avendo dimenticato Krishna, l’anima è attratta dall’energia esterna da tempo immemorabile e la potenza d’illusione [maya) le infligge ogni sorta di sofferenze nell’ambito dell’esistenza materiale.”

Per aiutarci a riprendere coscienza di Lui, non solo Krishna ci dà i Veda e i Purana, ma scende personalmente tra noi. Nell’era attuale, definita Kali-yuga, agli uomini Dio non interessa. Dio invece si preoccupa degli uomini, perché sono tutti figli Suoi.

Un figlio sciocco può abbandonare la casa e i genitori, ma i genitori non cesseranno mai di essere in ansia per lui. Analogamente, i figli di Dio lasciano il mondo spirituale per entrare in vari corpi materiali e viaggiare da un pianeta all’altro nelle diverse specie di vita, ma il Signore Si preoccupa per loro e viene a salvarli.

La ricchezza spirituale del puro devoto

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